2024-02-10
Roma fa slittare la norma Ue che sanziona le imprese se i fornitori non sono green
Stallo sulla norma che punisce le aziende ove clienti e venditori violassero regole etiche o ambientali. Decisivo il no italiano e tedesco. Possibile il rinvio pure sugli imballaggi.Contrordine, compagni, gli stati membri dell’Unione europea frenano sull’adozione della direttiva che contiene il dovere di diligenza per le imprese (direttiva Csdd), con cui Bruxelles vorrebbe imporre alle aziende un dovere di sorveglianza del rispetto di alcune norme lungo tutta la filiera. Norme che hanno a che fare con la sostenibilità e il rispetto dei diritti umani in Ue e nel resto del mondo.Ieri gli ambasciatori permanenti degli Stati presso l’Unione, che operavano riuniti come Consiglio europeo mercato interno e industria, hanno rinviato il voto sulla direttiva, dopo che la annunciata astensione di Germania, Finlandia e Austria ha convinto anche l’Italia a orientarsi verso l’astensione. Considerato che il non voto in quel contesto vale quanto un voto negativo, il solo annuncio di Germania e Italia è bastato a fare intendere che non esisteva la maggioranza qualificata necessaria e che dunque un voto avrebbe esposto il provvedimento a una bocciatura clamorosa e politicamente indigesta. La paventata mancanza di una maggioranza ha consigliato il rinvio del voto a data da destinarsi.L’orientamento di Germania e Italia verso il no è stato determinante per bloccare il provvedimento. Del resto, le imprese tedesche, francesi e italiane avevano fatto sentire la loro voce già da tempo, contestando l’onerosità e la indeterminatezza del provvedimento, che lo rende costosissimo e pressoché impossibile da applicare.Come abbiamo spiegato sulla Verità del 27 dicembre, si tratta di una norma che impone alle aziende di verificare il rispetto delle regole sulla sostenibilità ambientale e sullo sfruttamento dei lavoratori, non solo al proprio interno, ma anche nelle aziende fornitrici e clienti, e anche fuori dal territorio dell’Unione europea. Ogni azienda obbligata dovrà valutare gli impatti negativi (anche quelli soltanto potenziali!) su ambiente e diritti umani che si possono generare dall’attività di impresa, compresi quelli di fornitori e clienti nella propria filiera. Una direttiva che trasformerebbe ogni azienda in una sorta di poliziotto a caccia di reati, con in più il rischio di sanzioni se l’impresa non si accorge che qualcosa non va nelle aziende fornitrici o clienti.Un pacchetto di norme che ha dell’incredibile e contro cui si sono scagliate le associazioni degli industriali, preoccupatissime degli impatti devastanti che una norma di questo tipo avrebbe sui costi di produzione, sui rischi legali, sulla flessibilità di domanda e offerta e dunque sulla possibilità di restare competitivi in una economia globalizzata, dove le aziende europee sarebbero le uniche ingessate da un tale carico di controlli orwelliani.I soggetti obbligati, secondo il testo per ora non approvato, dovrebbero essere le imprese con più di 500 dipendenti e un fatturato annuo al sopra dei 150 milioni di euro. La soglia scenderebbe a 250 dipendenti e 40 milioni di fatturato in alcuni casi.Il problema di questa normativa è che essa verrebbe imposta anche alle aziende a monte e a valle del soggetto obbligato, anche se piccole e medie. Questo comporta quindi che non solo le grandi aziende, ma anche le piccole e medie dovrebbero dotarsi di processi per la compliance, il che significa… maggiori costi, spesso insostenibili per le Pmi. Un grosso impiccio burocratico che impone alle aziende di sostituirsi ai governi nella ricerca di reati, abbattendo la competitività delle aziende europee rispetto a quelle degli altri paesi. Mercoledì 7 febbraio, intanto, il Consiglio europeo e il Parlamento europeo si sono accordati per rinviare di due anni l’applicazione della Corporate sustainability reporting directive (Csrd), un’altra tegola sulle aziende, che le obbliga a pubblicare un report di sostenibilità secondo alcuni parametri Esg (ambiente, società e governance aziendale), mentre è aperta fino al 24 maggio la consultazione avviata da Efrag (European Financial Reporting Advisory Group) sui principi di rendicontazione di sostenibilità per le Pmi.La situazione di stallo e rinvio potrebbe ripetersi nel corso dell’iter di approvazione del regolamento sugli imballaggi, per il quale è in corso il trilogo, cioè il negoziato tra Parlamento europeo e Consiglio Ue con la mediazione della Commissione europea. Su questo tema, il Consiglio Ue Ambiente aveva adottato la sua posizione negoziale lo scorso 18 dicembre, con il voto contrario dell’Italia, mentre il Parlamento ha adottato il mandato negoziale a Strasburgo in assemblea plenaria già il 22 novembre.La frenata in atto in Europa sui temi della sostenibilità e sul Green deal è ormai eclatante, ma molto probabilmente tardiva. Il clima elettorale, con la campagna per il rinnovo del parlamento europeo e della Commissione ormai iniziata, certo favorisce rallentamenti e ripensamenti. Come dimostra la protesta degli agricoltori, quando la parola sostenibilità viene declinata nella pratica, ci si rende conto che è fatta di costi esorbitanti, condizioni insostenibili e impatti sociali devastanti. Difficile però che nei quattro mesi che restano alle elezioni l’Unione europea riesca a far dimenticare i segni indelebili che sta lasciando nel tessuto sociale.