
Aver insistito tanto per portare Kiev nel Patto atlantico, senza credere alle minacce di Vladimir Putin, è stato un errore. Agli Stati Uniti però la propria leadership sembra interessare più del negoziato.Se la politica seguita nel corso degli ultimi anni dall’Occidente e, in particolare, dagli Usa nei confronti dell’Ucraina e della Russia, potesse essere valutata secondo le regole stabilite dalla legge per i giudizi di Cassazione, sarebbe pressoché impossibile sottrarla alla mannaia costituita dall’art. 606, comma 1, lett. e), del codice di procedura penale che prevede, come causa di annullamento delle sentenze dei giudici di merito, quella che consiste nella «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione» sulla quale esse si reggono. Tanto per cominciare, infatti, non risulta che sia mai stata fornita alla pubblica opinione la benché minima motivazione a sostegno di quanto deciso in alcune segrete stanze del potere («colà dove nel muto aere il destin de’ popoli si cova», per dirla con le sempre attuali parole di Giuseppe Parini), secondo cui era da attribuirsi vitale importanza all’obiettivo di attrarre nell’orbita occidentale, fino a farlo anche entrare a far parte della Nato, un Paese come l’Ucraina, che, divenuta indipendente soltanto nel 1991, per ragioni del tutto contingenti, legate alla ultime e convulse fasi di vita dell’Unione sovietica, era sempre stata, in precedenza, nel lungo corso dei secoli, per lingua, storia, cultura, religione, eccetera, quasi un tutt’uno con la Russia, della quale, anzi, era stata addirittura, storicamente, la matrice. Quando poi la più che prevedibile opposizione della Russia alla realizzazione di un tale obiettivo è giunta al punto da far temere l’intervento armato (come in effetti, purtroppo, è avvenuto), si è creduto o mostrato di credere, da parte occidentale, che potesse bastare, per scongiurarlo, la ripetuta, pubblica minaccia (più volte espressa soprattutto dall’attuale presidente americano), di non meglio precisate «gravissime conseguenze politiche ed economiche» (cioè, in pratica, «sanzioni») che la Russia avrebbe dovuto subire qualora avesse deciso di effettuarlo. Certo, sarebbe stata follia minacciare anche reazioni di tipo militare, con la prospettiva che, se si fosse poi dovuto dar loro attuazione, ne scaturisse l’apocalittica conseguenza di una terza guerra mondiale. Ma allora la logica più elementare avrebbe dovuto suggerire di evitare anche le minacce dell’altro tipo, dal momento che esse, per un verso, come ampiamente dimostrato dalla passata esperienza (leggasi: avvenuta annessione della Crimea) non avrebbero avuto, con ogni evidenza, alcuna efficacia dissuasiva nei confronti del potenziale aggressore ma sarebbero, semmai, state da lui interpretabili come una sorta di disco giallo all’attuazione del suo proposito; per altro verso avrebbero potuto indurre il potenziale aggredito a fare invece improvvido affidamento sulla loro efficacia e a irrigidirsi, quindi, sulle sue posizioni invece di ricercare le vie di un possibile accordo. Basti ricordare, a quest’ultimo proposito, che fino a uno o due giorni prima dell’attacco militare russo, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, aveva incautamente e provocatoriamente ribadito la propria ferma intenzione di chiedere l’adesione del suo Paese alla Nato; intenzione alla quale ha poi dichiarato, negli ultimi tempi, quando però era ormai troppo tardi, di aver rinunciato. Ma la contraddittorietà e l’illogicità manifesta hanno continuato a contraddistinguere le scelte politiche dell’Occidente anche dopo che l’attacco russo si era verificato. Da un lato, infatti, gli Stati Uniti e tutti gli altri principali Paesi aderenti alla Nato hanno escluso un qualsivoglia intervento attivo di quest’ultima a sostegno dell’Ucraina; il che è sicuramente un bene, giacché, altrimenti, vi sarebbe stato non il rischio ma la quasi certezza dello scoppio di una guerra mondiale. Dall’altro lato, però, non solo hanno continuato a moltiplicare le sanzioni contro la Russia e a enfatizzarne la pretesa efficacia (nonostante la mancata adesione di tre quarti dei Paesi del mondo, ivi compresi la Cina e l’India, che contano da soli, quasi 3 miliardi di abitanti), ma hanno anche continuato (cosa assai più grave) a promettere e, in parte almeno, a effettuare, l’invio di armi all’Ucraina al dichiarato scopo di metterla in grado di meglio resistere all’aggressore. Il che, però, data la schiacciante superiorità militare di quest’ultimo, non può in alcun modo alterare i rapporti di forza tra i contendenti, per cui ad altro non può servire se non a prolungare e ad aggravare senza scopo le sofferenze del popolo ucraino in una lotta che non presenta per esso alcuna speranza di un decisivo successo, allontanando, per converso, l’unica prospettiva che ragionevolmente dovrebbe essere invece perseguita da chi volesse agire per il suo vero interesse: quella, cioè, di un onorevole e dignitoso accordo di pace, come quello per il quale sembra, ad esempio, che si stia adoperando, in particolare, la Turchia, pur essendo anch’essa - vale la pena di ricordarlo - un membro della Nato. Ma un tale accordo, sicuramente auspicabile anche per tutta l’Europa (sulla quale grava, di fatto, gran parte dell’effetto negativo delle sanzioni che teoricamente dovrebbero danneggiare la Russia), sarebbe visto come vantaggioso anche dall’altra parte dell’Atlantico? Sembra lecito nutrire, al riguardo, qualche dubbio, considerando che la perpetuazione dello spauracchio russo, pur dopo la scomparsa dell’Unione sovietica, ha offerto in passato e offrirebbe ancor più in futuro agli Usa la possibilità di far apparire come necessario il mantenimento e anzi il rafforzamento della Nato; vale a dire dello strumento mediante il quale essi, nel loro prevalente (se non esclusivo) interesse, possono ancora conservare la funzione di «leadership» esercitata su pressoché tutti i Paesi del nostro Vecchio continente. Pietro DubolinoPresidente di sezione a riposo della Corte di cassazione
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.
Matteo Bassetti (Imagoeconomica)
L’infettivologo Matteo Bassetti «premiato» dal governo che lui aveva contestato dopo la cancellazione delle multe ai non vaccinati. Presiederà un gruppo che gestirà i bandi sui finanziamenti alla ricerca, supportando il ministro Anna Maria Bernini. Sarà aperto al confronto?
L’avversione per chi non si vaccinava contro il Covid ha dato i suoi frutti. L’infettivologo Matteo Bassetti è stato nominato presidente del nuovo gruppo di lavoro istituito presso il ministero dell’Università e della Ricerca, con la funzione di offrire un supporto nella «individuazione ed elaborazione di procedure di gestione e valutazione dei bandi pubblici di ricerca competitivi».
Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
- La trasmissione lancia nuove accuse: «Agostino Ghiglia avvisò Giorgia Meloni della bocciatura del dl Riaperture». Ma l’attuale premier non ebbe alcun vantaggio. Giovanni Donzelli: «Il cronista spiava l’allora leader dell’opposizione?». La replica: «Sms diffusi dal capo dell’autorità».
- Federica Corsini: «Contro di me il programma ha compiuto un atto di violenza che non riconosce. Per difendersi usa la Rai».






