2021-12-17
Per scongiurare il rischio blackout il governo si riaffida al carbone
A due settimane dal via libera allo spegnimento, Terna chiede a Enel di riattivare la centrale della Spezia. È la dimostrazione che le rinnovabili non bastano e che la transizione verde non può essere ideologica.A distanza di due settimane dallo spegnimento della centrale a carbone Enel della Spezia, in nome della transizione verde, questa riapre i battenti per «garantire la continuità del servizio e della sicurezza del sistema elettrico» nazionale. Queste le parole con cui Terna giustifica la riaccensione della centrale. Il riavvio è avvenuto nella giornata di lunedì e ha costretto i lavoratori a interrompere lo sciopero contro l’assenza di qualsiasi certezza per il futuro, che stavano portando avanti da fine novembre, per rimettere in moto l’impianto. Mossa che è frutto di un andamento internazionale del mercato energetico e più in generale delle materie prime che sta mettendo in seria difficoltà l’Unione europea e non solo. E che dunque ha come obiettivo quello di evitare che l’Italia si ritrovi in una situazione estrema che la porti verso un blackout. Ipotesi non così paradossale se si pensa che proprio un paio di settimane fa Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, durante l’assemblea di Confartigianato aveva dichiarato: «Un blackout non è da escludere rispetto all’attuale assetto dell’approvvigionamento energetico». Da mesi l’Europa trema infatti al pensiero di un’interruzione dell’energia elettrica generale che potrebbe estendersi a macchia d’olio in tutti i Paesi membri. Una situazione non facile che ha iniziato ad avere ripercussioni anche sulle tasche degli italiani. Infatti nel nostro Pese il problema del caro bollette è all’ordine del giorno e sta influenzando anche l’iter della legge di Bilancio, con l’esecutivo che è alla continua ricerca di nuovi fondi contro i rincari. Il governo Draghi ha, nei mesi scorsi, cercato di calmierare l’impennata dei prezzi e sta tentando di fare lo stesso adesso, per il primo trimestre del 2022, ma l’aumento nelle bollette del gas e dell’energia rimane forte, e colpirà lo stesso gli italiani l’anno prossimo. Da ricordare inoltre come l’Italia sta particolarmente patendo questa situazione a causa del suo «mix energetico». Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ecologica, questa settimana in audizione alla Camera e al Senato ha spiegato a riguardo dei prezzi dell’energia e dell’approvvigionamento: «Noi siamo più deboli per il nostro mix energetico, dove il gas ha un ruolo significativo. Importando il 93% del gas e il 10% dell’elettricità, non abbiamo la capacità di adattarci allo sbalzo dei prezzi. In Italia paghiamo l’elettricità fino a 270 euro al megawattora. Altrove in Europa la pagano 130 euro, a causa di un mix energetico diverso». Il nostro Paese, conclude Cingolani, «importa il 41% del suo gas dalla Russia, il 19% dall’Algeria, il 10% dal Qatar, il 9% dalla Norvegia e il 3% dagli Stati Uniti. Il 39,80% del metano arriva in Italia tramite gasdotti, il restante 20% via nave sotto forma di Gnl (Gas naturale liquefatto)». Una situazione che ci mette in una posizione di netto svantaggio, soprattutto nel contesto internazionale attuale, rispetto a Paesi come la Francia che possono contare su un approvvigionamento legato alle proprie risorse interne molto più corposo rispetto alle nostro. Da ricordare come il Paese di Emmanuel Macron continua a puntare sulle centrali nucleari, che l’Italia ha invece escluso dal suo orizzonte. Per non parlare poi di realtà come la Cina che non ci pensano neanche lontanamente a rinunciare al carbone. E infatti tutta questa situazione rientra all’interno del quadro più ampio del progetto europeo della transizione verde. L’Ue ha deciso che entro il 2050 si dovrà arrivare ad eliminare l’uso dei combustibili fossili, che danneggiano il nostro pianeta. Un obiettivo sicuramente nobile che però si scontra con la realtà dei fatti. O meglio con le reali necessità dei singoli Paesi. La stessa Terna più di una volta ha messo nero su bianco la necessità di compensare la chiusura delle centrali a carbone con quelle a gas, coinvolgendo anche tutti quegli impianti già esistenti nella zona del Nord ovest e nelle isole che stanno ancora aspettando le autorizzazioni necessarie. Una decisione quella della transizione verde che dunque non ha fatto bene i conti con la realtà dei fatti. L’Ue si è infatti mossa sull’onda della moda di «un mondo più green» senza pensare di creare una forte base tecnologica da cui far partire il vero cambiamento. Si è così pensato di poter dipendere dalle energie rinnovabili, senza però svilupparne il loro vero potenziale, o realizzare una fonte energetica di transizione che potesse traghettare i vari stati membri verso il cambiamento verde tanto voluto. Si è fatto il passo più lungo della gamba e adesso non si sa come uscirne senza farsi male.