
Il caso GameStop continua a scuotere la politica americana. Ne abbiamo parlato con Richard Smith, presidente e direttore esecutivo della Foundation for the study of cycles. Era fine gennaio, quando l'app di trading Robinhood limitò le transazioni, dopo che numerosi piccoli investitori avevano acquistato titoli di una società in declino (GameStop per l'appunto), creando così non pochi problemi a quei grandi hedge fund che avevano invece scommesso sul suo ribasso. L'evento è stato di per sé significativo, aprendo nuovi (e problematici) scenari di natura finanziaria. Un elemento che ha suscitato la vivida reazione di numerosi parlamentari americani, alcuni dei quali – in modo bipartisan – si sono mostrati particolarmente critici verso Robinhood. Tanto che il Congresso ha già tenuto due audizioni sulle sue attività e sul suo modello di business. Si tratta del resto di una questione complessa. Una questione che innescato anche una narrazione forse un po' troppo semplicistica dei piccoli investitori che, coalizzandosi, "puniscono" gli squali dell'alta finanza: una sorta di riedizione di "Davide contro Golia", per intenderci. Eppure la situazione rischia di essere ben più complessa, anche perché questa retorica lascia in ombra due questioni significative: il crescente ruolo della Silicon Valley nelle operazioni di natura finanziaria e l'assenza di adeguata regolazione per queste tipologie di investimento "dal basso". Per cercare quindi di fare maggiore chiarezza sulla situazione, La Verità ha deciso di intervistare Richard Smith. Presidente e direttore esecutivo della Foundation for the study of cycles, Smith ha avuto modo di intervenire in riferimento a questa questione su svariate testate internazionali (come Forbes e Cnn Business). Richard Smith, quali sono state le principali implicazioni finanziarie del caso GameStop? «Temo che l'intero episodio rappresenti soltanto quello che accade solitamente a Wall Street. Gli estremi della speculazione finanziaria sembrano essere una parte inestricabile dei mercati finanziari. È una novità che questo particolare episodio sia stato diffuso sui social media, ma per il resto è solo vino nuovo in bottiglie vecchie». Qual è la sua opinione sulle reazioni che hanno avuto i parlamentari americani rispetto alla piattaforma Robinhood? «L'audizione alla commissione Servizi finanziari della Camera dei Rappresentanti non è stata particolarmente stimolante. Sembrava un mucchio di frasi ad effetto da cinque minuti. L'audizione tenutasi al Senato il 9 marzo, tuttavia, è stata un'altra storia. C'era molta unità tra i senatori e i relatori erano premurosi e informati. Mi ha fatto sperare che potessero arrivare dei veri cambiamenti». Che cosa mi dice sul modello di business, adottato da Robinhood? «Il modello di business di Robinhood è correlato negativamente con il successo dei suoi utenti. Robinhood guadagna come percentuale dello spread sul pagamento per il flusso degli ordini (il compenso che un broker riceve da una terza parte, e non dal proprio cliente: una terza parte che vuole influenzare il modo in cui il broker stesso instrada gli ordini dei clienti per l'adempimento, ndr). Guadagnano di più quando i loro clienti scambiano gli strumenti meno liquidi. Guadagnano di più quando i mercati vanno in tilt. Fino a quando Robinhood non eliminerà questa fonte di entrate, saranno sempre in conflitto con i migliori risultati per i loro utenti. In questo momento, i loro utenti sono il loro prodotto, non i loro clienti».Qual è il ruolo della Silicon Valley nelle dinamiche dei piccoli investitori?«La Silicon Valley sta guidando la carica per importare i modelli di business "user-as-product" di Google, Facebook e altri nei servizi finanziari al dettaglio. La Silicon Valley cerca di ridurre i costi attraverso la tecnologia e trasferire tali costi su altri. Un ottimo esempio chiarificatore è il modo in cui Robinhood offre poco o nessun servizio-clienti di persona. Ciò mantiene bassi i costi, ma costa caro agli utenti inesperti di Robinhood. Investire è rischioso e gli investitori a volte hanno bisogno di parlare con le persone per ottenere aiuto». Come dovrebbero essere regolate, secondo lei, dinamiche come quelle verificatesi nel caso GameStop? «Mi piace l'idea lanciata all'audizione del Senato di una piccola tassa sulle transazioni finanziarie. Tale tassa dovrebbe essere reinvestita in tecnologia e istruzione per supportare la partecipazione sostenibile retail nei mercati dei capitali. Le autorità di regolamentazione dovrebbero anche continuare a imporre una maggiore trasparenza nella struttura del mercato come hanno fatto quando hanno modificato la Rule 606, per richiedere la divulgazione del pagamento per il flusso degli ordini tra grossisti e i broker retail. Se la Sec non avesse implementato tale emendamento, non avremmo la discussione sul pagamento per il flusso degli ordini che stiamo avendo oggi. Una maggiore trasparenza porta a più discussioni. Questo è ciò che è veramente necessario più di ogni altra cosa».
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
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Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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