
Una cifra che non si vedeva da 10 anni. E la domanda globale nel 2023 tocca un record, spinta da Cina e India.Il petrolio non dorme mai, verrebbe da dire parafrasando il Gordon Gekko del celebre film Wall Street. Mentre non si parla d’altro che di lotta al cambiamento climatico, l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), controllore-in-chief della transizione ecologica, prevede che quest’anno gli investimenti nel settore della ricerca ed estrazione di petrolio e gas cresceranno dell’11% a circa 528 miliardi di dollari. Una cifra ragguardevole, che non si vedeva da quasi dieci anni. Magari un po’ c’entra anche l’inflazione, ma gli analisti di Wood Mackenzie, dal canto loro, vedono un settore di E&P (Exploration & Production) in crescita del 20% entro il 2025 e investimenti di oltre 180 miliardi per sviluppare riserve di petrolio pari a 27 miliardi di barili, soprattutto offshore. Ad influire sulle decisioni di investimento sono le notevoli incertezze legate alla transizione ecologica, che procede su un percorso assai accidentato, ma anche la guerra in Ucraina. Le prospettive di utili a medio termine nel settore petrolifero, considerata la situazione attuale, rimangono attraenti.Non a caso due big del settore come Shell e BP hanno rallentato i piani per abbandonare le attività tradizionali, avendo sperimentato ritorni sugli investimenti nelle fonti rinnovabili pari a meno della metà di quelli in idrocarburi. Il ragionamento degli azionisti del settore petrolifero è che la transizione verso Net Zero richiede tempi ancora lunghi e nel frattempo è operazione finanziariamente sensata sfruttare il più possibile gli asset esistenti. Un buon testimone di questo fatto può essere il confronto tra numero di pozzi attivi (il cosiddetto rig count, un indicatore monitorato settimanalmente da Baker Hughes) e produzione di petrolio negli UsaA. A fronte di un rig count al 30 giugno 2023 di -76 rispetto al 1° luglio 2022, la produzione americana di greggio è la stessa di un anno fa, pari a 12,2 milioni di barili al giorno. Segno di una maggiore efficienza negli investimenti. In più, sempre Baker Hughes fa notare come il numero di strutture offshore per E&P (Exploration & Production) sia tornato ai livelli precedenti il periodo Covid, facendo segnare un +45% rispetto ai minimi dell’ottobre 2020.Si tratta dunque di una massimizzazione del ritorno degli investimenti in un’ottica di medio termine. Del resto, la domanda di petrolio nel 2023 raggiungerà un nuovo record a 102,3 mb/giorni (fonte: Iea), con la Cina e l’India a trainare i consumi mondiali. Mentre i Paesi dell’Ocse cercano di ricostituire le scorte (ancora inferiori di 86 milioni di barili rispetto alla media degli ultimi 5 anni), l’Asia cresce sia nel consumo che nella raffinazione, grazie alle nuove raffinerie in Oman e Kuwait. Dall’Occidente arrivano, in effetti, segnali di debolezza per i consumi energetici in generale. Gli indicatori macroeconomici europei non sono buoni, con una Germania in recessione, un’attività manifatturiera in contrazione e un’inflazione che agita i sonni di Madame Christine Lagarde (ma soprattutto del capo della Bundesbank, Joachim Nagel). Ne consegue che anche gli utilizzi di petrolio e raffinati/distillati non sono e non saranno particolarmente brillanti. Da altre parti nel mondo però non è così ed infatti la maggiore crescita dei consumi è prevista nei Paesi non-Ocse, mentre globalmente la domanda di carburante per aerei crescerà in maniera significativa. Pare insomma che gli appelli a diminuire i consumi dei combustibili fossili siano poco ascoltati in Asia, mentre l’Occidente, più che diminuire volontariamente i consumi, vede un’inerzia in calando soprattutto per la debolezza dell’economia, che probabilmente sarà molto più evidente nella seconda parte di quest’anno. Intanto, l’Arabia Saudita ha annunciato l’estensione a tutto il mese di agosto del taglio alla produzione da 1 milione di barili al giorno già previsto per luglio, mentre per lo stesso periodo la Russia ridurrà di 500.000 barili/giorno. I prezzi del greggio Wti hanno risentito immediatamente dell’annuncio e sono risaliti a 71 dollari al barile. L’intento smaccato di questa mossa è quello di tenere i prezzi sopra i 70 dollari al barile, un livello che ai paesi Opec e Opec+ va più che bene.Non è estranea a questa nuova ondata di investimenti nel più old economy dei settori l’insperata messe di profitti realizzati nel 2022, allorché le turbolenze sui mercati innescate dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno gonfiato i bilanci di molte major dell’oil & gas. Le maggiori compagnie hanno frenato sugli investimenti, negli ultimi anni, ed ora sono sedute su un bel mucchio di liquidità. Il fatto che preferiscano continuare ad investire nel settore di elezione anziché nella transizione può significare due cose. La prima è che gli azionisti sono convinti che ci sarà sempre bisogno di petrolio e che la transizione energetica, in fondo, non si realizzerà mai. La seconda è invece che questa è l’ultima finestra temporale da cui poter trarre il massimo vantaggio economico, prima del declino inesorabile portato dalla transizione verso il Net Zero. Forse questa seconda ipotesi è più realistica, ma visto il numero di volte in cui in passato il petrolio è stato dato per morto, preferiamo astenerci dal fare profezie che sembrano avere quale unico risultato quello di allungarne la vita.
(Guardia di Finanza)
Sequestrate dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri oltre 250 tonnellate di tabacchi e 538 milioni di pezzi contraffatti.
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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