2019-05-15
Giudici scatenati: dobbiamo tenerci gli immigrati
anche se sono una minaccia
La Corte di giustizia europea stabilisce che ci dobbiamo tenere persino i terroristi. Intanto, a Venezia, un magistrato decide che lo straniero può restare in Italia anche senza requisiti, se è «ben integrato».I nomadi della tragica rapina di Roma: «Eravamo brilli, ci siamo detti: andiamo a rubare». E nessuno si indigna per i diritti violati.Lo speciale contiene due articoliChi decide il destino dei migranti? Il lettore potrebbe rispondere che esistono le leggi dello Stato a regolamentare chi ha diritto di restare e chi invece deve essere rimpatriato. Risposta sbagliata. Quella giusta è che la sorte dei profughi dipende dai magistrati, che spesso interpretano le norme a loro discrezione. Talvolta anche in modo opposto uno dall'altro. Dipende da (...) tanti fattori, forse anche dall'umore. Ci sono due verdetti che fanno discutere: il primo italiano, il secondo della Corte europea e si spinge a vietare l'espulsione del rifugiato anche se commette reati gravi.Danno sproporzionatoL'ultima sentenza nostrana, definibile creativa, arriva da Venezia dove il tribunale ha accolto il ricorso di un africano che, nel 2017, si era visto respingere dalla commissione territoriale di Verona la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale. Cosa ha decretato il giudice? Che il giovane del Mali può restare comunque in Italia. Non perché abbia i requisiti per ottenere lo status da profugo, ma perché si è integrato talmente bene che, se dovesse essere rimandato indietro, si arrecherebbe un «danno sproporzionato alla sua vita privata». Come ammette lo stesso magistrato la domanda d'asilo sarebbe da bocciare seguendo le regole: il ricorrente non può essere considerato un rifugiato perché non è «oggetto di persecuzione per razza, religione o appartenenza a un determinato gruppo sociale» e aggiunge che «né in altro modo le circostanze fanno emergere la sussistenza di un danno grave in caso di rientro in Mali, cioè il rischio verosimile di essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti».Un bravo ragazzoQuindi come concludere? Può tornare a casa senza pericoli? No, poiché stiamo parlando di un bravo ragazzo. Infatti secondo il tribunale veneziano, lo straniero «ha dato prova di una perfetta padronanza della lingua italiana e per ciò stesso di una seria capacità d'inserimento». Non solo: «Ha dimostrato», scrivono le toghe, «di essere occupato a tempo pieno in molteplici attività lavorative, dalla vigilanza al lavoro in ristorazione e in agricoltura, di aver frequentato e concluso la scuola secondaria, oltre allo svolgimento di volontariato e di essere in procinto di acquisire la patente». Questi elementi impedirebbero dunque l'allontanamento del malese. Insomma, per il giudice è fondamentale in questi casi fare una «valutazione comparata tra le condizioni raggiunte nel Paese ospitante rispetto a quelle del Paese di origine» perché bisogna «assicurare una tutela sia alla vita familiare che alla vita privata di un individuo».Il diktat UeMa se il migrante delinque si può mandarlo via? No, neppure in questo caso e a stabilirlo è la Corte di giustizia Ue, che fissa i paletti per la revoca o il rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato in uno Stato membro. Tra questi spicca che il rimpatrio è vietato, anche fosse per questioni di sicurezza nazionale, se nel Paese di origine il migrante rischia la tortura o la vita. Quindi anche nel caso si trattasse di un terrorista. Secondo i giudici del Lussemburgo, la decisione di revocare o rifiutare lo status di rifugiato non permette di togliere tale status (né i diritti che derivano dalla Convenzione di Ginevra) o di rimpatriare l'extracomunitario se ci sono «fondati timori» che sia perseguitato. Prevalgono, quindi, i fondamenti della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue che vieta il respingimento in un Paese dove la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate e dove siano in vigore «la tortura e le pene e i trattamenti inumani o degradanti». La Corte in sostanza stabilisce che la protezione dell'Unione ai rifugiati che delinquono è più ampia di quella assicurata dalla Convenzione di Ginevra. La sentenza riguarda il caso di tre migranti (un ivoriano, un congolese e un ceceno) che in Belgio e in Repubblica Ceca si sono visti revocare lo status di rifugiato perché considerati una minaccia per la sicurezza o perché condannati per un reato particolarmente grave. In effetti, resta da comprendere come questo verdetto possa impattare sulla legislazione italiana: il decreto sicurezza, infatti, prevede lo stop ai benefici dell'asilo se lo straniero commette una serie di delitti. C'è però da aggiungere che la nuova sentenza non innesca automatismi: per far valere il principio lo straniero dovrà comunque avviare una causa. Poi toccherà ai tribunali decidere in merito, ma la questione non è semplice: chi stabilisce infatti quali sono i Paesi dove si rischiano trattamenti inumani e degradanti? Il ministro dell'Interno Matteo Salvini è intervenuto per commentare il pronunciamento: «Ecco perché è importante cambiare questa Europa, con il voto del 26 maggio. Comunque io non cambio idea e non cambio la legge: i richiedenti asilo che violentano, rubano e spacciano, tornano tutti a casa loro. E nel decreto sicurezza bis norme ancora più severe contro scafisti e trafficanti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/rimpatri-impossibili-grazie-ai-giudici-2637132784.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-sinistra-cala-il-silenzio-sui-rom-che-hanno-ucciso-unanziana-per-divertirsi" data-post-id="2637132784" data-published-at="1757669257" data-use-pagination="False"> A sinistra cala il silenzio sui rom che hanno ucciso un’anziana per divertirsi Un appello a Casapound: consegni la tessera alla banda di rom assassini. Forse, in questa maniera, qualcuno s'indignerà per ciò che hanno fatto a Montesacro, una tranquilla zona residenziale a Nord Est della capitale. La sera del 5 maggio, cinque delinquenti si sono introdotti in casa di Anna Tomasino, una signora di 89 anni che in quel momento era al telefono con un'amica. Hanno rotto la finestra, lei li ha sorpresi e loro l'hanno colpita alla testa con un arnese. Anna è morta il giorno dopo in ospedale. I malviventi, di origine serbo-bosniaca, li hanno arrestati tutti: il primo si era costituito ai carabinieri di Cinecittà. Uno era stato sorpreso domenica a Ventimiglia, mentre cercava di passare la frontiera. Un altro è stato fermato nei pressi della stazione di Pomezia, poco fuori Roma. Un altro ancora era stato bloccato a Moncalieri: si era rifugiato a casa di alcuni parenti. Il quinto è stato rintracciato nel campo di via Salviati. E sapete come hanno giustificato il crimine? «Eravamo tutti nel campo nomadi di via dei Gordiani (nel quartiere Prenestino, ndr) a festeggiare San Giorgio, il nostro patrono. Avevamo mangiato e bevuto un bel po' e per chiudere in bellezza la serata ci siamo detti: andiamo a rubare». Capito? Si banchetta, si alza un po' il gomito e si decide di fare la zingarata: amici miei, andiamo a tirare gli schiaffi a chi si affaccia dai treni in partenza? Ma no, meglio un bel furto in appartamento. Volete forse che Repubblica, presidio di civiltà e democrazia, si scandalizzi? Volete che il Corriere si sdegni? Chissà, invece, se Darko Kostic, il trentunenne che si era presentato in caserma, Miki Trajkovic (36 anni, che avrebbe scagliato il colpo fatale), Dennis Trajkovic (19 anni), Dylan Trajkovic (pure lui diciannovenne) e Bidam Sulejmanovic (41 anni, proprietario dell'auto utilizzata per la rapina), fossero stati militanti di destra. Ai presunti stupratori di Casapound, in fondo, è stato (comprensibilmente) riservato un severo trattamento mediatico. Ai massacratori di una donna sola e indifesa, no. Chissà se i cinque rom fossero stati dei lumbard di fede salviniana. Chissà se, dopo aver ammazzato un'anziana, avessero commentato: «Eravamo andati a festeggiare il dio Po, abbiamo bevuto qualche birra di troppo e ci siamo detti: andiamo a rubare in casa di un'anziana». Non sarebbero bastate tutte le rotative del mondo per mettere su carta la riprovazione per i fascisti maschilisti. Ma per i cinque rom, niente. Eppure, il campo in cui hanno gozzovigliato prima di andare a delinquere non è nuovo ai misfatti, dalla morte di una studentessa cinese, Zhang Yao, che finì travolta da un treno nel 2016 mentre inseguiva i nomadi che l'avevano scippata, al rogo di tre sorelline, bruciate nel loro camper. Per l'anziana di Montesacro, solo cordoglio posticcio. Ma come? Non ci basta che la vittima sia una donna? Non è l'ennesimo femminicidio? Nun ve sta bene che no? Nel tempo in cui, per la lotta al patriarcato, agli uomini si comminerebbe la carcerazione preventiva, nessuno si scompone per cinque rom che uccidono una donna. Anzi, la loro cultura, autenticamente patriarcale, viene presentata come eterna vittima di dolorose discriminazioni. E pensare che solo l'anno scorso, alla Camera, alcune organizzazioni di femministe rom avevano presentato i risultati del progetto «Sposati quando sarai pronta», dedicato alla piaga dei matrimoni precoci tra i nomadi. Era emerso che il 50% delle ragazze rom contrae matrimonio tra i 16 e i 20 anni, il 40% addirittura prima dei 15 anni. L'età media delle spose è di 16 anni e i mariti sono quasi sempre scelti dalla famiglia o dal clan. Sono tradizioni, direte. Peccato che il 75% del campione della ricerca dichiarasse di considerare negativa la scelta di sposarsi prima dei 18 anni e l'84% reputasse una vera violenza il matrimonio prima dei 15 anni. Ma di questa segregazione nei confronti di donne e minori, i giornaloni pronti a difendere le attrici ultramiliardarie di Hollywood, non se ne curano. I Corrado Formigli, anzi, ci inviteranno a non generalizzare. Che aspettano i rom a iscriversi alla Lega?
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Flaminia Camilletti