2024-03-11
«Rimetto in strada l’Isotta Fraschini»
L'Isotta Fraschina (Laurent Cartalade/Eurasia Sport Images/Getty Images). Nel riquadro, Alessandro Fassina
Parla l’ex pilota Alessandro Fassina che ha dato nuova vita allo storico marchio italiano: «Ora corriamo il Mondiale endurance, mentre dal 2026 venderemo i primi modelli. E da concessionario vi dico: l’auto elettrica ha limiti evidenti».Una «signora» di 124 anni che corre in un Mondiale endurance (Wec), la seconda competizione automobilistica più famosa al mondo dopo la Formula 1 (quest’anno al via ci sono case automobilistiche come Toyota, Peugeot, Ferrari, Lamborghini, Porsche, Bmw), non è una cosa che si vede tutti i giorni. Infatti la protagonista di questa storia non è una macchina che si vede tutti i giorni: è l’Isotta Fraschini. Era il 1900 quando dallo stabilimento milanese della neonata Isotta Fraschini, casa fondata dall’avvocato Cesare Isotta e dai tre fratelli Antonio, Oreste e Vincenzo Fraschini, uscì il primo modello, la Vettura Leggera. Isotta Fraschini furono le auto guidate da Gabriele D’Annunzio e Rodolfo Valentino, da Umberto di Savoia e Benito Mussolini. Un modello berlina fu regalato a papa Pio XI, un altro fu oggetto di un dono del duce a Henry Ford. Miti e leggende che non sono servite a far resistere il marchio nel tempo. Già durante la Prima guerra mondiale, l’Isotta Fraschini incontra il primo periodo di difficoltà, dal quale cercò di uscire diversificando la propria attività ma sempre nel settore che oggi viene definito automotive, iniziando a produrre motori per dirigibili e locomotive e pure autocarri per uso militare. La rinascita degli anni Venti e Trenta si scontra con il secondo conflitto bellico mondiale. Nel 1949 l’Isotta Fraschini chiude: ci saranno tentativi di rilancio infruttuosi e resterà in piedi solo la produzione di motori per fuoribordo, oggi inglobata in Fincantieri. Ma da qualche anno un gruppo di imprenditori italiani, appassionati del marchio e di corse, ha varato un piano di rilancio. Al comando della nuova Isotta Fraschini Milano c’è Alessandro Fassina, presidente della società e a capo dell’omonimo gruppo di famiglia (insieme a lui, ci sono il fratello Ado e il papà Antonio) che commercializza nel Nord Italia i marchi del gruppo Stellantis, Bentley, McLaren, Volvo, Audi e molti altri, per un fatturato annuo che si aggira sui 350 milioni di euro. Quello di Alessandro Fassina non è un nome sconosciuto agli appassionati di motori: nel 1990 vince il titolo di campione italiano rally alla guida di una Ford Sierra Cosworth, mentre nel 1993 è campione del mondo rally tra le vetture di produzione a bordo di una Mazda GT-R.Partiamo dalla fine: facciamo un bilancio della prima tappa del Wec in Qatar dello scorso fine settimana.«Direi che il nostro primo weekend di gare sia stato positivo, visto che tutti i debutti nel mondo delle gare di durata sono difficili. Abbiamo avuto dei picchi di eccellenze: se prendiamo i migliori giri dei nostri piloti, sono tutti stati dei buoni giri. Le gare di endurance sono diverse da tutte le altre: se la macchina ha un vizio anche minimo, alla lunga questo emerge e la vettura si rompe. Fare una macchina resistente è più difficile che farla veloce e nel Wec servono tutte e due le componenti. Ci siamo ritirati dopo una sessantina di giri, fino ad allora giravamo a un secondo dalla Ferrari hypercar. Non male per una scuderia appena nata. Insomma, la macchina c’è, ora è solo questione di setup».Perché questo progetto legato alla rinascita di Isotta Fraschini?«Il marchio è rimasto appoggiato, per così dire, in un angolo per diversi anni. Poi un gruppo di imprenditori molto articolato, guidato all’inizio dal colombiano Franck Kanapet Yepes, da anni impegnato con successo nel settore dell’automotive in Europa, ha deciso di investire per rilanciarlo. Oggi la società è in mano saldamente italiana, grazie a un gruppo di imprenditori confluiti nella Isotta major, che detiene la maggioranza della proprietà. Proprietà, progettazione, costruzione, telaio: tutto è italiano». Come mai avete scelto per il debutto il mondo delle corse?«Isotta Fraschini ha, come obiettivo, la produzione di automobili stradali, bollate e assicurate. Per riuscire a venderle, non bastava essere meramente proprietari del marchio, bisognava rivitalizzarlo. Il modo migliore che abbiamo pensato per farlo vedere e conoscere in tutto il mondo era quello di farlo partecipare al Wec, nel cui calendario di gare c’è 24 ore di Le Mans, forse la corsa più famosa al mondo. Si è creata, poi, l’occasione della disponibilità di un preparatore molto competente e competitivo, la Michelotto engineering, l’officina privata più vittoriosa al mondo (ha lavorato per Ferrari), per creare e curare la macchina. Ed eccoci qui».Oltre al mondo delle competizioni, dove potremo vedere IF? Quali saranno le sfide del futuro?«Adesso siamo concentrati sulle competizioni, sia per avere un risultato sportivo soddisfacente, sia per una questione legata al marketing. A parità di spesa, quanto investiamo nel Wec ha un ritorno pubblicitario e d’immagine che non è paragonabile alla resa che avremmo spendendo la stessa cifra per una campagna pubblicitaria “normale”. Con il Wec andiamo in tutto il mondo, soprattutto ci facciamo vedere in quei mercati dove le nostre hypercar di futura produzione potranno essere vendute: Stati Uniti, Canada, Cina ed Emirati Arabi. In questi Paesi è concentrato il 90% del mercato hypercar. E l’unico modo per far sapere che esisti è spendere per competere, non per fare pubblicità. Per adesso abbiamo tre modelli: la Tipo 6 Lmh Competizione, che è quella che usiamo nel Wec; la Tipo 6 Lmh Pista, praticamente identica alla macchina da gara ma dedicata ai privati; la Tipo 6 Lmh Strada, che è una versione un po’ addolcita e, come dice il nome, utilizzabile anche sulle strade di quei Paesi in cui vale l’omologazione per farle circolare. Ogni esemplare costa sui 3 milioni di euro e dovrebbero essere commercializzate a partire dal 2026-2027 (la produzione della stradale avverrà a Padova, sono previsti circa 40 esemplari all’anno, ndr)».Al debutto del progetto di rilancio avevate dichiarato che non volevate sposare una visione soltanto elettrica della vettura. È ancora così?«Sì, la nostra sfida non contempla l’elettrico. Per le hypercar non ha senso. Certo, ci sono dei marchi che ti vendono il fatto di avere nel motore ben 1.400 cavalli grazie all’elettrico. Ma poi 500 di questi li sfrutti per pochi secondi. A cosa servono, dunque? Carico la macchina per un’ora e poi non ci riesco a fare neanche un giro di pista? Questi numeroni servono al marketing, non al cliente finale, che deve poi tenere conto di un altro fattore: il maggior peso della vettura dovuto al comparto elettrico, che te lo ritrovi sempre in frenata. Un controsenso per delle vetture pensate e costruite per competere. All’ibridazione della vettura ci stiamo pensando, alla sua elettrificazione no».La sua attività lavorativa principale è nel gruppo di famiglia, che ha concessionarie un po’ ovunque tra Milano e il Nord Est: un punto di vista privilegiato per fare una fotografia del mercato dell’automotive oggi. Per un cliente, è più importante la transizione ecologica oppure guarda al portafoglio, quando deve acquistare una macchina?«La quota dell’elettrico nel mercato italiano è scesa, nel 2023, al 3,5%. Era poco superiore al 4% l’anno prima. È pochissimo rispetto alla media europea, sul 15%. Da noi l’elettrico non sfonda perché non ci sono soldi. Il sistema degli incentivi è farraginoso, i fondi non bastano a coprire le richieste e il limite imposto dei 40.000, soglia oltre la quale i contributi non vengono più erogati, taglia fuori al momento gran parte delle vetture a listino. Poi c’è un problema che io chiamo di “mood negativo” e che deriva da quei clienti che hanno acquistato una vettura elettrica due o tre anni fa. Vetture sbagliate, carissime e con pochissima autonomia. Quei clienti oggi parlano male dell’acquisto fatto, proprio perché hanno speso tantissimo per avere un prodotto non performante. Oggi il progresso ha permesso di abbassare il costo dei modelli e di innalzare la loro autonomia. Ho voluto, come auto personale, una vettura elettrica, per provarla così da saperla raccontare ai clienti e posso dire che ha due limiti evidenti: il freddo penalizza molto la batteria, si perde in media il 20% della carica, e in autostrada consuma tantissimo, troppo se si superano i 120 km orari. Quando ti arriva un cliente e ti dice l’uso che deve farne, non puoi dirgli di andare piano con la macchina nuova perché se no si scarica in fretta sulle lunghe distanze. Oppure che in autostrada proprio non gli conviene usarla».C’è poi il problema della ricarica…«Certo. La prima domanda che pongo ai clienti è: ma dove hai intenzione di ricaricarla? Io consiglio di farlo sempre a casa propria e di organizzarsi se non ha una charge-box nel garage. In una notte fai il pieno spendendo 0,2-0,25 centesimi di euro al kilowatt. Se si pensa di ricaricarla velocemente in una colonnina del tipo supercharge, ad esempio, si finisce a spendere tra gli 80 e i 90 euro. Se considero poi i km che ci posso fare con quella carica, mi costa meno fare il pieno a un motore turbo benzina. Se l’autonomia è di 400 km al giorno e non si usano autostrade, ce la si può cavare tranquillamente. Se se ne fanno di più, una famiglia si deve organizzare con un’altra auto».L’Italia rischia di diventare un Paese produttore di nicchia per quanto riguarda il settore dell’automotive?«Ah, il made in Italy è una frase che vogliono dire tutti, però l’Italia dissuade gli investitori. Abbiamo vincoli incredibili, tipo il costo dell’energia o quello del lavoro. Incidono in maniera pazzesca sui costi industriali. E sì, ci stiamo deindustrializzando, nel settore automotive come in altri. Quelle delle auto è uno specchio delle difficoltà in cui siamo: possiamo essere Usain Bolt, ma a Bolt ci mettiamo addosso uno zaino da 20 kg».
(Ansa)
Nuova tappa della Made in Italy Community all'Istituto Europeo del Design. Le interviste a Roberto Santori (founder Made in Italy community), Patrizia La Daga (ambassador Made in Italy community Spagna), Alessandro Di Salvo (country manager Italtel Spagna).