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2023-12-01
Il «rientro dei cervelli» fa bene all’erario
Nelle ultime settimane si è parlato molto di incentivi fiscali per il «rientro dei cervelli». Serpeggia talvolta in questi dibattiti l’infondato pregiudizio di chi pensa che si tratti di mancette elettorali, ignorando il problema socioeconomico di fondo a cui la normativa fiscale ha tentato parzialmente di porre un argine, in linea peraltro con iniziative simili di altri Paesi Europei, tra cui Belgio, Olanda, Portogallo.
Al 1° gennaio 2023, i nostri connazionali residenti all’estero e iscritti all’Aire risultavano essere 5.933.418, il 10,1% dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre il Paese continua inesorabilmente a perdere residenti, l’Italia fuori dall’Italia cresce. Secondo il Rapporto italiani nel mondo 2023 della Fondazione Migrantes, la presenza all’estero dei nostri connazionali è aumentata dal 2006 del +91%. Il 48,2% dei 6 milioni di italiani all’estero è donna (oltre 2,8 milioni). I minori in Paesi esteri sono in crescita del +78,3%.
Il fenomeno del «controesodo» è stato affrontato dai diversi esecutivi che si sono succeduti negli ultimi 13 anni anche attraverso la leva fiscale. La disciplina originaria nasce con la legge 238 del 2010 per far rientrare i primi cervelli in fuga (governo Berlusconi). Potevano accedere ai benefici i cittadini dell’Ue laureati che avessero svolto per almeno 24 mesi un’attività di lavoro o conseguito una specializzazione fuori dall’Italia e che fossero venuti a lavorare nel nostro Paese. Ad essi era riservato un beneficio fiscale consistente in un imponibile ridotto su cui pagare l’Irpef. Nel 2015 (governo Renzi) è la volta del regime speciale per i cosiddetti lavoratori «impatriati». Il decreto legislativo 147/2015 invitava a rientrare coloro i quali fossero stati residenti all’estero per almeno cinque anni, con l’impegno a restare in Italia per almeno due, offrendo loro uno sconto sul reddito a condizione che l’attività venisse svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato e i lavoratori rivestissero ruoli direttivi. Nel 2019 è il governo Conte I a intervenire sulla materia, imprimendo una forte accelerazione al controesodo. Il decreto Crescita non limitava più i benefici soltanto ai lavoratori altamente qualificati, ma si rivolgeva anche alle professionalità minori e agli imprenditori individuali con riduzioni sino al 70 per cento del reddito imponibile (90 per cento per i trasferimenti al Sud) e possibilità di usufruire del regime speciale per 10 anni grazie alle misure sul «radicamento» previste in caso di figli o acquisto di immobili in Italia. Nel 2022 (governo Draghi) arriva una stretta sui lavoratori sportivi, a cui gli incentivi si applicano con detassazione al 50% e contributo dello 0,5% dell’imponibile per l’accesso, ma con soglie di età e di reddito. Veniamo ai giorni nostri. Lo schema di decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale proposto dal governo Meloni ha riacceso il dibattito soprattutto nella comunità degli «expats». L’attuale esecutivo riduce nuovamente il perimetro soggettivo degli incentivi. I lavoratori, dipendenti o autonomi, che si trasferiranno in Italia dovranno essere dotati di stringenti requisiti di elevata qualificazione o specializzazione (come iscrizione ad albi, qualifiche professionali superiori). Fuori le professionalità minori e gli imprenditori individuali, abrogato il regime per i lavoratori sportivi. Stretta anche sul fronte delle agevolazioni applicabili che varranno complessivamente per 5 anni a partire dal rientro: la percentuale di reddito detassata scende al 50% e il reddito agevolato non può superare il limite di 600.000 euro. Cambiano anche i requisiti legati alla residenza estera pregressa (tre anni) e al mantenimento della residenza in Italia (cinque anni), pena il recupero delle minori imposte versate e relativi interessi. Inoltre, le nuove previsioni limiteranno i trasferimenti di lavoratori infragruppo e lo smart working dall’estero, casistiche sempre più frequenti. Le nuove regole troveranno applicazione per chi si trasferirà in Italia dal periodo di imposta 2024. Si prevede tuttavia un’apposita disciplina transitoria che fa salvo l’attuale e più favorevole regime per chi trasferisce la residenza anagrafica in un comune italiano entro il prossimo 31 dicembre (ovvero, per i rapporti di lavoro sportivo, per chi stipula il relativo contratto entro tale data). La sintetica ricostruzione appena fatta è una storia di continue modifiche, incertezze normative, interpretazioni talvolta creative dell’amministrazione finanziaria. Nel dibattito che coinvolge il mondo politico, professionale e principalmente la comunità dei lavoratori occorrerebbe seriamente ragionare partendo da almeno cinque punti fermi. Il primo. I regimi di attrazione del capitale umano non hanno effetti negativi sulle casse erariali. Lo afferma la Ragioneria generale dello Stato. Non sfuggirà, peraltro, che i lavoratori che rientrano in Italia o che ci arrivano per la prima volta portano con sé un indotto di consumi e investimenti che genera anche addizionali imposte indirette come l’Iva. Il secondo. Afferma uno studio pubblicato a febbraio 2023 da due studiosi dell’Institute for Employment Research )di Norimberga e della University of California, Davis, che la propensione degli italiani all’estero a ritrasferirsi in Italia è aumentata del 30% grazie all’introduzione delle agevolazioni e il fenomeno non è limitato ai redditi più alti, ma coinvolge persone con diversi profili reddituali. Il terzo. Tutti questi soggetti versano contributi previdenziali agli enti di appartenenza contribuendo al nostro sistema pensionistico. Il quarto. L’aspetto demografico che contribuisce alla tenuta del sistema Paese afflitto dal problema della denatalità. Il quinto. Gli incentivi, oltre a favorire i lavoratori, rappresentano una importante occasione per il mondo delle imprese. Le persone che si trasferiscono portano, infatti, con sé un bagaglio di conoscenze e competenze di cui molte aziende italiane sono alla ricerca. In conclusione, si tratta di norme che hanno dimostrato con i fatti la loro efficacia, sotto tanti punti di vista. Nel 2021 (dati Mef sulle ultime dichiarazioni fiscali disponibili) hanno portato in Italia 21.200 lavoratori. Talmente efficaci che l’attuale governo intende introdurre un meccanismo simile anche per le imprese extra Ue che si trasferiranno nel nostro Paese. E allora le si lasci lì, senza toccarle a ogni cambio di governo e si rafforzi l’idea di una stabilità del quadro normativo.
Altra stretta per gli affitti brevi: arriva il nuovo codice identificativo
Si nasconde dietro a una semplice sigla di tre lettere il nuovo colpo al mercato degli affitti brevi che arriva dalla maggioranza di governo. Si tratta del Cin, codice identificativo nazionale, che sarà attribuito dal ministero del Turismo e sarà obbligatorio per tutti i proprietari di casa che affittano a turisti, pena sanzioni fino a 8.000 euro e verifiche fiscali approfondite. Le nuove norme sono inserite in un emendamento dei relatori Claudio Borghi (Lega), Dario Damiani (Fi), Vita Maria Nocco (Fdi), al dl Anticipi, con lo scopo dichiarato di contrastare l’evasione fiscale che talvolta si annida dietro ai B&b. Oggettivamente, però, sono anche un notevole appesantimento delle incombenze burocratiche per i locatori e un nuovo occhiolino strizzato alle organizzazioni degli alberghi. Il Cin, del resto, era stato annunciato un mese fa dal Ministro Daniela Santanchè.
L’emendamento riguarda le locazioni turistiche, le locazioni brevi e le attività turistico ricettive. Sugli affitti brevi infuria la battaglia da mesi e i proprietari di casa sono riusciti a limitare i danni. Così, l’aumento delle tasse con la cedolare secca al 26%, inserito nella Manovra 2024, alla fine è stato deciso solo per il secondo immobile concesso in affitto. Che quella delle locazioni turistiche sia una mezza giungla è opinione comune, anche perché si tratta di un settore che è cresciuto enormemente negli ultimi anni e che però spesso è una fonte integrativa di reddito per tante famiglie. In ogni caso, la soluzione trovata dall’emendamento è tipicamente italiana: un po’ burocratica e un po’ vessatoria. Ogni proprietario di casa dovrà dotarsi di questo Cin, autocertificando tutti i dati catastali e varie altre cose, oltre alla sussistenza dei requisiti di sicurezza. E il codice dovrà essere esposto alla clientela. Le pene per la mancata esposizione del Cin andranno da 500 a 5.000 euro; mentre quelle per la mancata richiesta del numero magico potranno arrivare a 8.000 euro per gli immobili più grandi.
Al punto 12 dell’emendamento spunta anche un riferimento esplicito alla lotta all’evasione. Il testo prevede che, in caso di locazione senza il codice identificativo nazionale, Guardia di finanza e Agenzia delle entrate effettuino insieme controlli fiscali incrociati sui proprietari degli immobili.
Il nuovo Cin va anche a sovrapporsi a un codice analogo che esiste già in alcune Regioni come Lombardia, Puglia, Veneto e Campania. E così, le nuove norme prevedono che gli enti locali debbano convertire i loro codici in quelli nazionali e far sparire quelli vecchi, il che ovviamente non sarà una passeggiata.
Lo scorso 9 ottobre, Santanchè aveva affermato che gli affitti brevi «vanno regolamentati perché c’è un Far west, ma non va criminalizzata la proprietà privata». Poi aveva aggiunto che «la cosa più importante è il Cin, che deve essere uguale in tutte le Regioni perché non possiamo confondere i nostri turisti e ci vuole uniformità». In realtà, dalla lettura dell’emendamento si capisce bene che le finalità sono ben altre.
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Il ritorno degli espatriati italiani, grazie ai benefici fiscali, è un’opportunità per Paese e aziende. L’arrivo di lavoratori qualificati, infatti, spinge consumi e investimenti. Uno schema efficace, che il governo pensa di estendere anche alle compagnie extra Ue. Un emendamento introduce l’obbligo di Cin, ulteriore onere burocratico per i locatori. Lo speciale contiene due articoli. Nelle ultime settimane si è parlato molto di incentivi fiscali per il «rientro dei cervelli». Serpeggia talvolta in questi dibattiti l’infondato pregiudizio di chi pensa che si tratti di mancette elettorali, ignorando il problema socioeconomico di fondo a cui la normativa fiscale ha tentato parzialmente di porre un argine, in linea peraltro con iniziative simili di altri Paesi Europei, tra cui Belgio, Olanda, Portogallo. Al 1° gennaio 2023, i nostri connazionali residenti all’estero e iscritti all’Aire risultavano essere 5.933.418, il 10,1% dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre il Paese continua inesorabilmente a perdere residenti, l’Italia fuori dall’Italia cresce. Secondo il Rapporto italiani nel mondo 2023 della Fondazione Migrantes, la presenza all’estero dei nostri connazionali è aumentata dal 2006 del +91%. Il 48,2% dei 6 milioni di italiani all’estero è donna (oltre 2,8 milioni). I minori in Paesi esteri sono in crescita del +78,3%. Il fenomeno del «controesodo» è stato affrontato dai diversi esecutivi che si sono succeduti negli ultimi 13 anni anche attraverso la leva fiscale. La disciplina originaria nasce con la legge 238 del 2010 per far rientrare i primi cervelli in fuga (governo Berlusconi). Potevano accedere ai benefici i cittadini dell’Ue laureati che avessero svolto per almeno 24 mesi un’attività di lavoro o conseguito una specializzazione fuori dall’Italia e che fossero venuti a lavorare nel nostro Paese. Ad essi era riservato un beneficio fiscale consistente in un imponibile ridotto su cui pagare l’Irpef. Nel 2015 (governo Renzi) è la volta del regime speciale per i cosiddetti lavoratori «impatriati». Il decreto legislativo 147/2015 invitava a rientrare coloro i quali fossero stati residenti all’estero per almeno cinque anni, con l’impegno a restare in Italia per almeno due, offrendo loro uno sconto sul reddito a condizione che l’attività venisse svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato e i lavoratori rivestissero ruoli direttivi. Nel 2019 è il governo Conte I a intervenire sulla materia, imprimendo una forte accelerazione al controesodo. Il decreto Crescita non limitava più i benefici soltanto ai lavoratori altamente qualificati, ma si rivolgeva anche alle professionalità minori e agli imprenditori individuali con riduzioni sino al 70 per cento del reddito imponibile (90 per cento per i trasferimenti al Sud) e possibilità di usufruire del regime speciale per 10 anni grazie alle misure sul «radicamento» previste in caso di figli o acquisto di immobili in Italia. Nel 2022 (governo Draghi) arriva una stretta sui lavoratori sportivi, a cui gli incentivi si applicano con detassazione al 50% e contributo dello 0,5% dell’imponibile per l’accesso, ma con soglie di età e di reddito. Veniamo ai giorni nostri. Lo schema di decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale proposto dal governo Meloni ha riacceso il dibattito soprattutto nella comunità degli «expats». L’attuale esecutivo riduce nuovamente il perimetro soggettivo degli incentivi. I lavoratori, dipendenti o autonomi, che si trasferiranno in Italia dovranno essere dotati di stringenti requisiti di elevata qualificazione o specializzazione (come iscrizione ad albi, qualifiche professionali superiori). Fuori le professionalità minori e gli imprenditori individuali, abrogato il regime per i lavoratori sportivi. Stretta anche sul fronte delle agevolazioni applicabili che varranno complessivamente per 5 anni a partire dal rientro: la percentuale di reddito detassata scende al 50% e il reddito agevolato non può superare il limite di 600.000 euro. Cambiano anche i requisiti legati alla residenza estera pregressa (tre anni) e al mantenimento della residenza in Italia (cinque anni), pena il recupero delle minori imposte versate e relativi interessi. Inoltre, le nuove previsioni limiteranno i trasferimenti di lavoratori infragruppo e lo smart working dall’estero, casistiche sempre più frequenti. Le nuove regole troveranno applicazione per chi si trasferirà in Italia dal periodo di imposta 2024. Si prevede tuttavia un’apposita disciplina transitoria che fa salvo l’attuale e più favorevole regime per chi trasferisce la residenza anagrafica in un comune italiano entro il prossimo 31 dicembre (ovvero, per i rapporti di lavoro sportivo, per chi stipula il relativo contratto entro tale data). La sintetica ricostruzione appena fatta è una storia di continue modifiche, incertezze normative, interpretazioni talvolta creative dell’amministrazione finanziaria. Nel dibattito che coinvolge il mondo politico, professionale e principalmente la comunità dei lavoratori occorrerebbe seriamente ragionare partendo da almeno cinque punti fermi. Il primo. I regimi di attrazione del capitale umano non hanno effetti negativi sulle casse erariali. Lo afferma la Ragioneria generale dello Stato. Non sfuggirà, peraltro, che i lavoratori che rientrano in Italia o che ci arrivano per la prima volta portano con sé un indotto di consumi e investimenti che genera anche addizionali imposte indirette come l’Iva. Il secondo. Afferma uno studio pubblicato a febbraio 2023 da due studiosi dell’Institute for Employment Research )di Norimberga e della University of California, Davis, che la propensione degli italiani all’estero a ritrasferirsi in Italia è aumentata del 30% grazie all’introduzione delle agevolazioni e il fenomeno non è limitato ai redditi più alti, ma coinvolge persone con diversi profili reddituali. Il terzo. Tutti questi soggetti versano contributi previdenziali agli enti di appartenenza contribuendo al nostro sistema pensionistico. Il quarto. L’aspetto demografico che contribuisce alla tenuta del sistema Paese afflitto dal problema della denatalità. Il quinto. Gli incentivi, oltre a favorire i lavoratori, rappresentano una importante occasione per il mondo delle imprese. Le persone che si trasferiscono portano, infatti, con sé un bagaglio di conoscenze e competenze di cui molte aziende italiane sono alla ricerca. In conclusione, si tratta di norme che hanno dimostrato con i fatti la loro efficacia, sotto tanti punti di vista. Nel 2021 (dati Mef sulle ultime dichiarazioni fiscali disponibili) hanno portato in Italia 21.200 lavoratori. Talmente efficaci che l’attuale governo intende introdurre un meccanismo simile anche per le imprese extra Ue che si trasferiranno nel nostro Paese. E allora le si lasci lì, senza toccarle a ogni cambio di governo e si rafforzi l’idea di una stabilità del quadro normativo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/rientro-cervelli-fa-bene-allerario-2666413582.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="altra-stretta-per-gli-affitti-brevi-arriva-il-nuovo-codice-identificativo" data-post-id="2666413582" data-published-at="1701440342" data-use-pagination="False"> Altra stretta per gli affitti brevi: arriva il nuovo codice identificativo Si nasconde dietro a una semplice sigla di tre lettere il nuovo colpo al mercato degli affitti brevi che arriva dalla maggioranza di governo. Si tratta del Cin, codice identificativo nazionale, che sarà attribuito dal ministero del Turismo e sarà obbligatorio per tutti i proprietari di casa che affittano a turisti, pena sanzioni fino a 8.000 euro e verifiche fiscali approfondite. Le nuove norme sono inserite in un emendamento dei relatori Claudio Borghi (Lega), Dario Damiani (Fi), Vita Maria Nocco (Fdi), al dl Anticipi, con lo scopo dichiarato di contrastare l’evasione fiscale che talvolta si annida dietro ai B&b. Oggettivamente, però, sono anche un notevole appesantimento delle incombenze burocratiche per i locatori e un nuovo occhiolino strizzato alle organizzazioni degli alberghi. Il Cin, del resto, era stato annunciato un mese fa dal Ministro Daniela Santanchè. L’emendamento riguarda le locazioni turistiche, le locazioni brevi e le attività turistico ricettive. Sugli affitti brevi infuria la battaglia da mesi e i proprietari di casa sono riusciti a limitare i danni. Così, l’aumento delle tasse con la cedolare secca al 26%, inserito nella Manovra 2024, alla fine è stato deciso solo per il secondo immobile concesso in affitto. Che quella delle locazioni turistiche sia una mezza giungla è opinione comune, anche perché si tratta di un settore che è cresciuto enormemente negli ultimi anni e che però spesso è una fonte integrativa di reddito per tante famiglie. In ogni caso, la soluzione trovata dall’emendamento è tipicamente italiana: un po’ burocratica e un po’ vessatoria. Ogni proprietario di casa dovrà dotarsi di questo Cin, autocertificando tutti i dati catastali e varie altre cose, oltre alla sussistenza dei requisiti di sicurezza. E il codice dovrà essere esposto alla clientela. Le pene per la mancata esposizione del Cin andranno da 500 a 5.000 euro; mentre quelle per la mancata richiesta del numero magico potranno arrivare a 8.000 euro per gli immobili più grandi. Al punto 12 dell’emendamento spunta anche un riferimento esplicito alla lotta all’evasione. Il testo prevede che, in caso di locazione senza il codice identificativo nazionale, Guardia di finanza e Agenzia delle entrate effettuino insieme controlli fiscali incrociati sui proprietari degli immobili. Il nuovo Cin va anche a sovrapporsi a un codice analogo che esiste già in alcune Regioni come Lombardia, Puglia, Veneto e Campania. E così, le nuove norme prevedono che gli enti locali debbano convertire i loro codici in quelli nazionali e far sparire quelli vecchi, il che ovviamente non sarà una passeggiata. Lo scorso 9 ottobre, Santanchè aveva affermato che gli affitti brevi «vanno regolamentati perché c’è un Far west, ma non va criminalizzata la proprietà privata». Poi aveva aggiunto che «la cosa più importante è il Cin, che deve essere uguale in tutte le Regioni perché non possiamo confondere i nostri turisti e ci vuole uniformità». In realtà, dalla lettura dell’emendamento si capisce bene che le finalità sono ben altre.
Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, risponde al Maestro Riccardo Muti e si impegna a lavorare con il ministero degli Esteri per avviare contatti ai più alti livelli con la Francia per riportare a Firenze le spoglie del grande compositore Cherubini.
Michele Emiliano (Ansa)
Fino ad oggi, però, nessun risultato. Forse la comunicazione non è stata così «forte» come fu la lettera che proprio l’allora governatore dem inviò a tutti i dirigenti e dipendenti della Regione, delle sue agenzie e società partecipate, invitandoli a interrompere i rapporti con il governo di Netanyahu «a causa del genocidio di inermi palestinesi e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro nella Striscia di Gaza».
Ora, dopo l’addio di Emiliano e l’arrivo del neo governatore Antonio Decaro, gli sprechi non sarebbero stati eliminati dalle sette società nel mirino, parzialmente o interamente controllate dalla Regione Puglia: Acquedotto spa, InnovaPuglia, Aeroporti di Puglia, Puglia valore immobiliare, Terme di Santa Cesarea, Puglia sviluppo e Aseco. Infatti, secondo il report approdato in giunta regionale nel corso dell’ultima seduta, è stato evidenziato che non c’è stata riduzione di spesa di funzionamento in nessuna di queste, anzi in tre hanno addirittura superato i limiti per consulenze (Puglia sviluppo, Acquedotto e Terme di Santa Cesarea), mentre il dato peggiore è sulle spese di acquisto, manutenzione, noleggio delle auto o di acquisto di buoni taxi. Quattro società non hanno comunicato alcun dato, mentre Aeroporti ha certificato lo sforamento. Nel dettaglio, Acquedotto pugliese, anziché contenere le spese di funzionamento, le ha incrementate di 17 milioni di euro rispetto al 2024. La giustificazione? Il maggior costo del personale «riconducibile al rinnovo del contratto collettivo nazionale», ma pure «l’incremento delle risorse in forza alla società, spese legali, assicurazioni, convegni, pubblicità e marketing, buoni pasto, costi postali non ribaltabili all’utenza nell’ambito della tariffa del Servizio idrico integrato».
Per quanto riguarda le consulenze, invece, Aqp sostiene che, essendo entrati i Comuni nell’assetto societario, nella fase di trasformazione sono stati necessari 639.000 euro per le consulenze.
Aeroporti di Puglia attribuisce l’aumento di spese all’organizzazione del G7, anche se l’incremento dell’8,44%, secondo la società, «è comunque inferiore all’aumento del traffico registrato nel 2024 rispetto al 2023 (+10,51%) e quindi dei ricavi. Spese superate, alla faccia del risparmio, anche per auto e taxi: 120.000 euro in più. Costi lievitati anche per InnovaPuglia, la controllata che si occupa di programmazione strategica a sostegno dell’innovazione: 12 milioni di euro nel 2024 a fronte dei 7 milioni del 2023, passando, in termini percentuali sul valore della produzione, dal 18,21% al 43,68%. Di Aseco, la società in house controllata da Aqp e Ager che si occupa di smaltimento di fanghi e frazione organica dei rifiuti urbani, non si hanno dati aggiornati al punto che è stata sollecitata dalla stessa Regione a comunicarli.
Insomma, secondo la Regione, se aumentano i costi vanno ridotti i servizi poiché il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede quella di contenere le spese di funzionamento individuando specifici obiettivi di spesa come quelli per il personale e quelli per consulenze, studi e ricerche. E la stessa Regione, che ha potere di vigilanza e di controllo, dove accerta «il mancato e ingiustificato raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa» può «revocare gli incarichi degli organi di direzione, amministrazione e controllo nominati nelle società». La palla passa a Decaro.
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