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2023-12-01
Il «rientro dei cervelli» fa bene all’erario
Nelle ultime settimane si è parlato molto di incentivi fiscali per il «rientro dei cervelli». Serpeggia talvolta in questi dibattiti l’infondato pregiudizio di chi pensa che si tratti di mancette elettorali, ignorando il problema socioeconomico di fondo a cui la normativa fiscale ha tentato parzialmente di porre un argine, in linea peraltro con iniziative simili di altri Paesi Europei, tra cui Belgio, Olanda, Portogallo.
Al 1° gennaio 2023, i nostri connazionali residenti all’estero e iscritti all’Aire risultavano essere 5.933.418, il 10,1% dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre il Paese continua inesorabilmente a perdere residenti, l’Italia fuori dall’Italia cresce. Secondo il Rapporto italiani nel mondo 2023 della Fondazione Migrantes, la presenza all’estero dei nostri connazionali è aumentata dal 2006 del +91%. Il 48,2% dei 6 milioni di italiani all’estero è donna (oltre 2,8 milioni). I minori in Paesi esteri sono in crescita del +78,3%.
Il fenomeno del «controesodo» è stato affrontato dai diversi esecutivi che si sono succeduti negli ultimi 13 anni anche attraverso la leva fiscale. La disciplina originaria nasce con la legge 238 del 2010 per far rientrare i primi cervelli in fuga (governo Berlusconi). Potevano accedere ai benefici i cittadini dell’Ue laureati che avessero svolto per almeno 24 mesi un’attività di lavoro o conseguito una specializzazione fuori dall’Italia e che fossero venuti a lavorare nel nostro Paese. Ad essi era riservato un beneficio fiscale consistente in un imponibile ridotto su cui pagare l’Irpef. Nel 2015 (governo Renzi) è la volta del regime speciale per i cosiddetti lavoratori «impatriati». Il decreto legislativo 147/2015 invitava a rientrare coloro i quali fossero stati residenti all’estero per almeno cinque anni, con l’impegno a restare in Italia per almeno due, offrendo loro uno sconto sul reddito a condizione che l’attività venisse svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato e i lavoratori rivestissero ruoli direttivi. Nel 2019 è il governo Conte I a intervenire sulla materia, imprimendo una forte accelerazione al controesodo. Il decreto Crescita non limitava più i benefici soltanto ai lavoratori altamente qualificati, ma si rivolgeva anche alle professionalità minori e agli imprenditori individuali con riduzioni sino al 70 per cento del reddito imponibile (90 per cento per i trasferimenti al Sud) e possibilità di usufruire del regime speciale per 10 anni grazie alle misure sul «radicamento» previste in caso di figli o acquisto di immobili in Italia. Nel 2022 (governo Draghi) arriva una stretta sui lavoratori sportivi, a cui gli incentivi si applicano con detassazione al 50% e contributo dello 0,5% dell’imponibile per l’accesso, ma con soglie di età e di reddito. Veniamo ai giorni nostri. Lo schema di decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale proposto dal governo Meloni ha riacceso il dibattito soprattutto nella comunità degli «expats». L’attuale esecutivo riduce nuovamente il perimetro soggettivo degli incentivi. I lavoratori, dipendenti o autonomi, che si trasferiranno in Italia dovranno essere dotati di stringenti requisiti di elevata qualificazione o specializzazione (come iscrizione ad albi, qualifiche professionali superiori). Fuori le professionalità minori e gli imprenditori individuali, abrogato il regime per i lavoratori sportivi. Stretta anche sul fronte delle agevolazioni applicabili che varranno complessivamente per 5 anni a partire dal rientro: la percentuale di reddito detassata scende al 50% e il reddito agevolato non può superare il limite di 600.000 euro. Cambiano anche i requisiti legati alla residenza estera pregressa (tre anni) e al mantenimento della residenza in Italia (cinque anni), pena il recupero delle minori imposte versate e relativi interessi. Inoltre, le nuove previsioni limiteranno i trasferimenti di lavoratori infragruppo e lo smart working dall’estero, casistiche sempre più frequenti. Le nuove regole troveranno applicazione per chi si trasferirà in Italia dal periodo di imposta 2024. Si prevede tuttavia un’apposita disciplina transitoria che fa salvo l’attuale e più favorevole regime per chi trasferisce la residenza anagrafica in un comune italiano entro il prossimo 31 dicembre (ovvero, per i rapporti di lavoro sportivo, per chi stipula il relativo contratto entro tale data). La sintetica ricostruzione appena fatta è una storia di continue modifiche, incertezze normative, interpretazioni talvolta creative dell’amministrazione finanziaria. Nel dibattito che coinvolge il mondo politico, professionale e principalmente la comunità dei lavoratori occorrerebbe seriamente ragionare partendo da almeno cinque punti fermi. Il primo. I regimi di attrazione del capitale umano non hanno effetti negativi sulle casse erariali. Lo afferma la Ragioneria generale dello Stato. Non sfuggirà, peraltro, che i lavoratori che rientrano in Italia o che ci arrivano per la prima volta portano con sé un indotto di consumi e investimenti che genera anche addizionali imposte indirette come l’Iva. Il secondo. Afferma uno studio pubblicato a febbraio 2023 da due studiosi dell’Institute for Employment Research )di Norimberga e della University of California, Davis, che la propensione degli italiani all’estero a ritrasferirsi in Italia è aumentata del 30% grazie all’introduzione delle agevolazioni e il fenomeno non è limitato ai redditi più alti, ma coinvolge persone con diversi profili reddituali. Il terzo. Tutti questi soggetti versano contributi previdenziali agli enti di appartenenza contribuendo al nostro sistema pensionistico. Il quarto. L’aspetto demografico che contribuisce alla tenuta del sistema Paese afflitto dal problema della denatalità. Il quinto. Gli incentivi, oltre a favorire i lavoratori, rappresentano una importante occasione per il mondo delle imprese. Le persone che si trasferiscono portano, infatti, con sé un bagaglio di conoscenze e competenze di cui molte aziende italiane sono alla ricerca. In conclusione, si tratta di norme che hanno dimostrato con i fatti la loro efficacia, sotto tanti punti di vista. Nel 2021 (dati Mef sulle ultime dichiarazioni fiscali disponibili) hanno portato in Italia 21.200 lavoratori. Talmente efficaci che l’attuale governo intende introdurre un meccanismo simile anche per le imprese extra Ue che si trasferiranno nel nostro Paese. E allora le si lasci lì, senza toccarle a ogni cambio di governo e si rafforzi l’idea di una stabilità del quadro normativo.
Altra stretta per gli affitti brevi: arriva il nuovo codice identificativo
Si nasconde dietro a una semplice sigla di tre lettere il nuovo colpo al mercato degli affitti brevi che arriva dalla maggioranza di governo. Si tratta del Cin, codice identificativo nazionale, che sarà attribuito dal ministero del Turismo e sarà obbligatorio per tutti i proprietari di casa che affittano a turisti, pena sanzioni fino a 8.000 euro e verifiche fiscali approfondite. Le nuove norme sono inserite in un emendamento dei relatori Claudio Borghi (Lega), Dario Damiani (Fi), Vita Maria Nocco (Fdi), al dl Anticipi, con lo scopo dichiarato di contrastare l’evasione fiscale che talvolta si annida dietro ai B&b. Oggettivamente, però, sono anche un notevole appesantimento delle incombenze burocratiche per i locatori e un nuovo occhiolino strizzato alle organizzazioni degli alberghi. Il Cin, del resto, era stato annunciato un mese fa dal Ministro Daniela Santanchè.
L’emendamento riguarda le locazioni turistiche, le locazioni brevi e le attività turistico ricettive. Sugli affitti brevi infuria la battaglia da mesi e i proprietari di casa sono riusciti a limitare i danni. Così, l’aumento delle tasse con la cedolare secca al 26%, inserito nella Manovra 2024, alla fine è stato deciso solo per il secondo immobile concesso in affitto. Che quella delle locazioni turistiche sia una mezza giungla è opinione comune, anche perché si tratta di un settore che è cresciuto enormemente negli ultimi anni e che però spesso è una fonte integrativa di reddito per tante famiglie. In ogni caso, la soluzione trovata dall’emendamento è tipicamente italiana: un po’ burocratica e un po’ vessatoria. Ogni proprietario di casa dovrà dotarsi di questo Cin, autocertificando tutti i dati catastali e varie altre cose, oltre alla sussistenza dei requisiti di sicurezza. E il codice dovrà essere esposto alla clientela. Le pene per la mancata esposizione del Cin andranno da 500 a 5.000 euro; mentre quelle per la mancata richiesta del numero magico potranno arrivare a 8.000 euro per gli immobili più grandi.
Al punto 12 dell’emendamento spunta anche un riferimento esplicito alla lotta all’evasione. Il testo prevede che, in caso di locazione senza il codice identificativo nazionale, Guardia di finanza e Agenzia delle entrate effettuino insieme controlli fiscali incrociati sui proprietari degli immobili.
Il nuovo Cin va anche a sovrapporsi a un codice analogo che esiste già in alcune Regioni come Lombardia, Puglia, Veneto e Campania. E così, le nuove norme prevedono che gli enti locali debbano convertire i loro codici in quelli nazionali e far sparire quelli vecchi, il che ovviamente non sarà una passeggiata.
Lo scorso 9 ottobre, Santanchè aveva affermato che gli affitti brevi «vanno regolamentati perché c’è un Far west, ma non va criminalizzata la proprietà privata». Poi aveva aggiunto che «la cosa più importante è il Cin, che deve essere uguale in tutte le Regioni perché non possiamo confondere i nostri turisti e ci vuole uniformità». In realtà, dalla lettura dell’emendamento si capisce bene che le finalità sono ben altre.
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Il ritorno degli espatriati italiani, grazie ai benefici fiscali, è un’opportunità per Paese e aziende. L’arrivo di lavoratori qualificati, infatti, spinge consumi e investimenti. Uno schema efficace, che il governo pensa di estendere anche alle compagnie extra Ue. Un emendamento introduce l’obbligo di Cin, ulteriore onere burocratico per i locatori. Lo speciale contiene due articoli. Nelle ultime settimane si è parlato molto di incentivi fiscali per il «rientro dei cervelli». Serpeggia talvolta in questi dibattiti l’infondato pregiudizio di chi pensa che si tratti di mancette elettorali, ignorando il problema socioeconomico di fondo a cui la normativa fiscale ha tentato parzialmente di porre un argine, in linea peraltro con iniziative simili di altri Paesi Europei, tra cui Belgio, Olanda, Portogallo. Al 1° gennaio 2023, i nostri connazionali residenti all’estero e iscritti all’Aire risultavano essere 5.933.418, il 10,1% dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre il Paese continua inesorabilmente a perdere residenti, l’Italia fuori dall’Italia cresce. Secondo il Rapporto italiani nel mondo 2023 della Fondazione Migrantes, la presenza all’estero dei nostri connazionali è aumentata dal 2006 del +91%. Il 48,2% dei 6 milioni di italiani all’estero è donna (oltre 2,8 milioni). I minori in Paesi esteri sono in crescita del +78,3%. Il fenomeno del «controesodo» è stato affrontato dai diversi esecutivi che si sono succeduti negli ultimi 13 anni anche attraverso la leva fiscale. La disciplina originaria nasce con la legge 238 del 2010 per far rientrare i primi cervelli in fuga (governo Berlusconi). Potevano accedere ai benefici i cittadini dell’Ue laureati che avessero svolto per almeno 24 mesi un’attività di lavoro o conseguito una specializzazione fuori dall’Italia e che fossero venuti a lavorare nel nostro Paese. Ad essi era riservato un beneficio fiscale consistente in un imponibile ridotto su cui pagare l’Irpef. Nel 2015 (governo Renzi) è la volta del regime speciale per i cosiddetti lavoratori «impatriati». Il decreto legislativo 147/2015 invitava a rientrare coloro i quali fossero stati residenti all’estero per almeno cinque anni, con l’impegno a restare in Italia per almeno due, offrendo loro uno sconto sul reddito a condizione che l’attività venisse svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato e i lavoratori rivestissero ruoli direttivi. Nel 2019 è il governo Conte I a intervenire sulla materia, imprimendo una forte accelerazione al controesodo. Il decreto Crescita non limitava più i benefici soltanto ai lavoratori altamente qualificati, ma si rivolgeva anche alle professionalità minori e agli imprenditori individuali con riduzioni sino al 70 per cento del reddito imponibile (90 per cento per i trasferimenti al Sud) e possibilità di usufruire del regime speciale per 10 anni grazie alle misure sul «radicamento» previste in caso di figli o acquisto di immobili in Italia. Nel 2022 (governo Draghi) arriva una stretta sui lavoratori sportivi, a cui gli incentivi si applicano con detassazione al 50% e contributo dello 0,5% dell’imponibile per l’accesso, ma con soglie di età e di reddito. Veniamo ai giorni nostri. Lo schema di decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale proposto dal governo Meloni ha riacceso il dibattito soprattutto nella comunità degli «expats». L’attuale esecutivo riduce nuovamente il perimetro soggettivo degli incentivi. I lavoratori, dipendenti o autonomi, che si trasferiranno in Italia dovranno essere dotati di stringenti requisiti di elevata qualificazione o specializzazione (come iscrizione ad albi, qualifiche professionali superiori). Fuori le professionalità minori e gli imprenditori individuali, abrogato il regime per i lavoratori sportivi. Stretta anche sul fronte delle agevolazioni applicabili che varranno complessivamente per 5 anni a partire dal rientro: la percentuale di reddito detassata scende al 50% e il reddito agevolato non può superare il limite di 600.000 euro. Cambiano anche i requisiti legati alla residenza estera pregressa (tre anni) e al mantenimento della residenza in Italia (cinque anni), pena il recupero delle minori imposte versate e relativi interessi. Inoltre, le nuove previsioni limiteranno i trasferimenti di lavoratori infragruppo e lo smart working dall’estero, casistiche sempre più frequenti. Le nuove regole troveranno applicazione per chi si trasferirà in Italia dal periodo di imposta 2024. Si prevede tuttavia un’apposita disciplina transitoria che fa salvo l’attuale e più favorevole regime per chi trasferisce la residenza anagrafica in un comune italiano entro il prossimo 31 dicembre (ovvero, per i rapporti di lavoro sportivo, per chi stipula il relativo contratto entro tale data). La sintetica ricostruzione appena fatta è una storia di continue modifiche, incertezze normative, interpretazioni talvolta creative dell’amministrazione finanziaria. Nel dibattito che coinvolge il mondo politico, professionale e principalmente la comunità dei lavoratori occorrerebbe seriamente ragionare partendo da almeno cinque punti fermi. Il primo. I regimi di attrazione del capitale umano non hanno effetti negativi sulle casse erariali. Lo afferma la Ragioneria generale dello Stato. Non sfuggirà, peraltro, che i lavoratori che rientrano in Italia o che ci arrivano per la prima volta portano con sé un indotto di consumi e investimenti che genera anche addizionali imposte indirette come l’Iva. Il secondo. Afferma uno studio pubblicato a febbraio 2023 da due studiosi dell’Institute for Employment Research )di Norimberga e della University of California, Davis, che la propensione degli italiani all’estero a ritrasferirsi in Italia è aumentata del 30% grazie all’introduzione delle agevolazioni e il fenomeno non è limitato ai redditi più alti, ma coinvolge persone con diversi profili reddituali. Il terzo. Tutti questi soggetti versano contributi previdenziali agli enti di appartenenza contribuendo al nostro sistema pensionistico. Il quarto. L’aspetto demografico che contribuisce alla tenuta del sistema Paese afflitto dal problema della denatalità. Il quinto. Gli incentivi, oltre a favorire i lavoratori, rappresentano una importante occasione per il mondo delle imprese. Le persone che si trasferiscono portano, infatti, con sé un bagaglio di conoscenze e competenze di cui molte aziende italiane sono alla ricerca. In conclusione, si tratta di norme che hanno dimostrato con i fatti la loro efficacia, sotto tanti punti di vista. Nel 2021 (dati Mef sulle ultime dichiarazioni fiscali disponibili) hanno portato in Italia 21.200 lavoratori. Talmente efficaci che l’attuale governo intende introdurre un meccanismo simile anche per le imprese extra Ue che si trasferiranno nel nostro Paese. E allora le si lasci lì, senza toccarle a ogni cambio di governo e si rafforzi l’idea di una stabilità del quadro normativo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/rientro-cervelli-fa-bene-allerario-2666413582.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="altra-stretta-per-gli-affitti-brevi-arriva-il-nuovo-codice-identificativo" data-post-id="2666413582" data-published-at="1701440342" data-use-pagination="False"> Altra stretta per gli affitti brevi: arriva il nuovo codice identificativo Si nasconde dietro a una semplice sigla di tre lettere il nuovo colpo al mercato degli affitti brevi che arriva dalla maggioranza di governo. Si tratta del Cin, codice identificativo nazionale, che sarà attribuito dal ministero del Turismo e sarà obbligatorio per tutti i proprietari di casa che affittano a turisti, pena sanzioni fino a 8.000 euro e verifiche fiscali approfondite. Le nuove norme sono inserite in un emendamento dei relatori Claudio Borghi (Lega), Dario Damiani (Fi), Vita Maria Nocco (Fdi), al dl Anticipi, con lo scopo dichiarato di contrastare l’evasione fiscale che talvolta si annida dietro ai B&b. Oggettivamente, però, sono anche un notevole appesantimento delle incombenze burocratiche per i locatori e un nuovo occhiolino strizzato alle organizzazioni degli alberghi. Il Cin, del resto, era stato annunciato un mese fa dal Ministro Daniela Santanchè. L’emendamento riguarda le locazioni turistiche, le locazioni brevi e le attività turistico ricettive. Sugli affitti brevi infuria la battaglia da mesi e i proprietari di casa sono riusciti a limitare i danni. Così, l’aumento delle tasse con la cedolare secca al 26%, inserito nella Manovra 2024, alla fine è stato deciso solo per il secondo immobile concesso in affitto. Che quella delle locazioni turistiche sia una mezza giungla è opinione comune, anche perché si tratta di un settore che è cresciuto enormemente negli ultimi anni e che però spesso è una fonte integrativa di reddito per tante famiglie. In ogni caso, la soluzione trovata dall’emendamento è tipicamente italiana: un po’ burocratica e un po’ vessatoria. Ogni proprietario di casa dovrà dotarsi di questo Cin, autocertificando tutti i dati catastali e varie altre cose, oltre alla sussistenza dei requisiti di sicurezza. E il codice dovrà essere esposto alla clientela. Le pene per la mancata esposizione del Cin andranno da 500 a 5.000 euro; mentre quelle per la mancata richiesta del numero magico potranno arrivare a 8.000 euro per gli immobili più grandi. Al punto 12 dell’emendamento spunta anche un riferimento esplicito alla lotta all’evasione. Il testo prevede che, in caso di locazione senza il codice identificativo nazionale, Guardia di finanza e Agenzia delle entrate effettuino insieme controlli fiscali incrociati sui proprietari degli immobili. Il nuovo Cin va anche a sovrapporsi a un codice analogo che esiste già in alcune Regioni come Lombardia, Puglia, Veneto e Campania. E così, le nuove norme prevedono che gli enti locali debbano convertire i loro codici in quelli nazionali e far sparire quelli vecchi, il che ovviamente non sarà una passeggiata. Lo scorso 9 ottobre, Santanchè aveva affermato che gli affitti brevi «vanno regolamentati perché c’è un Far west, ma non va criminalizzata la proprietà privata». Poi aveva aggiunto che «la cosa più importante è il Cin, che deve essere uguale in tutte le Regioni perché non possiamo confondere i nostri turisti e ci vuole uniformità». In realtà, dalla lettura dell’emendamento si capisce bene che le finalità sono ben altre.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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