2025-01-30
Se riducono in pezzi il regimetto Covid le sentenze diventano bizzarrie irrilevanti
Giuseppe Conte e Roberto Speranza (Imagoeconomica)
I giudici, accaniti sul caso Almasri, erano stati teneri con Conte e Speranza. Ora bocciano quei diktat, ma la stampa farfuglia.La solerzia con cui la magistratura ha deciso di occuparsi del caso Almasri, per «fare chiarezza» come molti politici di opposizione richiedono, suscita qualche perplessità sulle priorità della giustizia italiana. Non ci risulta infatti che su questioni ben più oscure e molto più rilevanti socialmente - la gestione della pandemia, ad esempio - ci sia stata la medesima velocità di azione. Non risulta che i governi dell’epoca siano stati chiamati in causa, né che i ministri e i presidenti del Consiglio siano stati indagati con tanta pubblicità. Anzi, ci pare di rammentare che per lo più essi siano stati trattati con i guanti, come accaduto a Roberto Speranza che, coinvolto nell’inchiesta originata a Bergamo sulla prima fase pandemica, fu sentito dagli inquirenti con grande serenità ed ebbe la possibilità di difendersi in lungo e in largo. Dell’inchiesta bergamasca e delle sue diramazioni conosciamo bene la sorte: un nulla di fatto, nonostante le montagne di evidenze contenute nelle carte.Per carità, ogni caso fa storia a sé, ogni vicenda è diversa dalle altre. Comunque sia, non si può non constatare che non tutti i casi politicamente rilevanti vengono trattati allo stesso modo. E, soprattutto, le decisioni dei giudici non sempre sono accolte con lo stesse piglio festante dalla stampa. Come ha giustamente notato ieri Alessandro Sallusti, direttore non certo noto per aver avuto posizioni morbide nei riguardi dei non vaccinati e dei critici del Covid (anzi), «la magistratura fa i lavori che le interessa fare: se ai tempi del governo Draghi io, o qualsiasi cittadino, avessimo fatto un esposto contro l’imposizione del green pass - cosa che in effetti è successa - a nessun magistrato sarebbe venuto in mente di mandare un avviso di garanzia a Draghi, al ministro della Salute Speranza e a qualsiasi ministro coinvolto nella decisione». È avvenuto esattamente così: nonostante da più parti si invocasse l’intervento dei magistrati, tutto è passato in cavalleria, almeno in una prima fase. Poi, quando le inchieste sono finalmente state aperte, si sono concluse tutte in modo che non è azzardato definire superficiale, con motivazioni estremamente discutibili che trascurano molte delle evidenze emerse nel corso della pandemia. Curiosamente, quando si è trattato di commentare decisioni tribunalizie sui temi pandemici, ad approvare il lavoro dei giudici non sono stati soltanto 5 stelle e sinistra, ma pure una parte della destra che in un lampo ha buttato alle ortiche il garantismo e la sfiducia verso il potere giudiziario. È la stessa parte di destra - in teoria quella più liberale, guarda un po’ - che ieri si indignava per una sentenza emessa da un giudice di pace di Alessandria, Paolo Olezza. Quest’ultimo ha deciso a favore di una ventina di cittadini che avevano intentato una azione legale contro la presidenza del Consiglio, ritenendosi danneggiati dalle norme in materia di Covid. Il giudice non solo ha dato ragione a costoro e ha stabilito che ricevano un risarcimento simbolico (fin troppo) di dieci euro. Ma ha anche rimarcato che «le posizioni espresse dall’attuale credibile Consiglio dei ministri» riguardo la pandemia «sono quasi una sorta di confessione stragiudiziale del carattere illecito della normativa». Vero, in effetti l’attuale esecutivo ha completamente - e giustamente - sconfessato i precedenti. Sarebbe però opportuno notare anche che ciò è avvenuto anche perché è stata la tanto sbandierata scienza (oltre che la palese evidenza dei fatti) a sbugiardare i governi guidati da Conte e Draghi, le virostar e gli adepti del culto medicale. La sentenza di Alessandria è stata accolta con stizza dai difensori impenitenti della discriminazione sanitaria, e l’aspetto tragico della faccenda è che i fanatici delle restrizioni sono quelli che l’hanno presa più sul serio. La realtà è che i più l’hanno ignorata o liquidata come uno strano ma vero, anche se giunge a una conclusione dirompente, e cioè che l’intero apparato repressivo allestito negli anni passati è stato dannoso e oppressivo. Di fronte a una affermazione di tale portata, come è possibile rimanere pressoché inerti? Come è possibile che non si sviluppi un dibattito politico e non ne origini un caso? È disperante osservare il modo in cui la decisione di Alessandria - come altre prese in passato da giudici coraggiosi che ne hanno per lo più ricavato problemi - viene liquidata alla stregua di un capriccio di un giudice di pace un po’ stravagante. Eppure non si tratta, badate bene, soltanto del Covid: in gioco c’è l’intero rapporto tra l’individuo e lo Stato, la relazione tra la libertà e il bene collettivo. Certo, si dice, sul tema si è pronunciata la Consulta. Ma anche in quel caso: che superficialità di giudizio, che trascuratezza, quanta voglia di liberarsi in fretta del fardello scomodo. E allora non resta che contemplare con tristezza le notiziole in fondo allo sfoglio dei quotidiani e le scomposte reazioni che ne scaturiscono. Con la consapevolezza che la magistratura agisce come vuole, e per quel che le interessa. E che la politica preferisce accapigliarsi su navi e rimpatri invece che sulla più grande violazione dei diritti nella storia della Repubblica italiana.
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