2025-07-17
La Riace di Lucano: caos e 3,3 milioni di debiti
Il ministero dell’Interno ha respinto la pretesa del sindaco di riammette il Comune nei programmi legati all’accoglienza chiedendo addirittura la restituzione dei fondi già erogati. Alla base della decisione le «gravi inadempienze amministrative».In Spagna la rivolta di Torre Pacheco sbarella la sinistra: invece del pugno duro, spalanca le porte.Lo speciale contiene due articoli.Riace si prepara a stendere il tappeto rosso. Da oggi, 17 luglio, arriveranno sei europarlamentari del gruppo The Left per rendere omaggio al falso mito dell’accoglienza «alternativa». A fare da cicerone? Ovviamente Mimmo Lucano, il sindaco che era diventato simbolo internazionale della solidarietà mediterranea ma che è stato buttato giù dalla prefettura a causa della sua condanna definitiva per falso (è attesa la decisione d’appello, fissata per il 9 gennaio 2026).Ma mentre la delegazione europea sarà impegnata con i selfie nei vicoli colorati della ex città dell’accoglienza, i cittadini di Riace dovranno fare i conti con un buco da 3 milioni e 393.000 euro, causato proprio dalla gestione Lucano dei progetti di accoglienza. A ricordarlo, con parole chiare e a caratteri cubitali, appese alle vie del paese, sono le due liste di opposizione in Consiglio comunale: Riace protagonista e Riace verso il futuro. Non c’è bisogno di interpretazioni: «Non sono bastati i 19 milioni di euro, ne vorrebbero ancora». Una cifra, quella dei 19 milioni, che Lucano avrebbe impiegato negli anni d’oro del suo «modello», sostenuto a suon di finanziamenti pubblici, progetti Sprar, Msna e ogni altra sigla che il ministero dell’Interno fosse disposto a finanziare. Bastava una sigla, una delibera e una causa nobile. E i soldi arrivavano. Così Riace diventò una fabbrica di contributi a tempo determinato, dove ogni rendiconto era opzionale.Ma il risultato è che oggi il Viminale boccia definitivamente Riace. Con una nota datata luglio 2025, il dipartimento per le Libertà civili ha respinto la richiesta di riammissione ai progetti di accoglienza. La motivazione, macroscopica: «Mancata rendicontazione per gli anni 2017 e 2018, debiti accertati per 3.393.166 euro e irregolarità gravi nella gestione dei fondi». E, se qualcuno non avesse recepito, il ministero è stato brutale: «Il Comune di Riace, per le gravi irregolarità contabili e gestionali, non può essere inserito nei nuovi progetti di accoglienza». Una contestazione che non era stata neppure impugnata dall’amministrazione. E che, quindi, è diventata definitiva. Le frustate del Viminale sono parecchie e colpiscono tutte le arterie del meccanismo dell’accoglienza che Lucano aveva costruito: «Criticità emerse dalle ispezioni e dai monitoraggi, mancato aggiornamento della banca dati gestita dal Servizio centrale, mancata corrispondenza tra i servizi decritti nella domanda di contributo e quelli effettivamente erogati, mancata redazione di progetti individualizzati per i beneficiari, mancata organizzazione del servizio di orientamento legale, erogazione dei servizi finanziati dal Fondo a favore di soggetti diversi da quelli ammessi all’accoglienza, mancata presentazione della rendicontazione nei termini previsti».E, infine, le motivazioni del rigetto: «Si conclude che la cessazione del progetto e il venir meno delle condizioni nelle quali lo stesso avrebbe dovuto proseguire, stante il trasferimento dei migranti destinatari delle attività di accoglienza, unitamente al perdurare delle circostanze ostative alla riammissione al finanziamento, non rendono possibile accogliere le istanze del Comune, poiché risulta impossibile, in tale contesto, qualsiasi altra attività di rinnovazione del procedimento, nonché a nuovo finanziamento, in quanto inibita dalle ulteriori inadempienze del Comune». Mimmo Lucano ci aveva riprovato. Voleva rimettere in piedi quello che definiva «un modello» e che per la Procura di Locri, invece, sarebbe stato «un sistema (accusa poi venuta meno al processo, ndr)».Ha tentato l’impresa avventurandosi su una strada scivolosa, brandendo una vecchia decisione del Tar risultata poi superata e sconfessata. Ma non è finita. Perché lo Stato vuole i soldi indietro. «Operatori, commercianti, proprietari di casa, chi li risarcirà?», ha sbottato Antonio Trifoli, che è stato sindaco tra l’ultimo mandato di Lucano e quello precedente. Bella domanda. Gli effetti della «solidarietà a debito» con molta probabilità si faranno sentire nei bilanci comunali: meno trasferimenti erariali, più tasse, servizi tagliati. Così, mentre i turisti solidali sfilano tra le botteghe (le poche rimaste) dei prodotti etnici, i cittadini di Riace dovranno capire come far quadrare i conti per le scuole, le strade e le bollette dell’illuminazione pubblica. Il «modello Riace», insomma, alla prova dei numeri si è rivelato un flop: tanta retorica, pochi numeri, nessuna ricevuta.A peggiorare la sensazione di essere su un altro pianeta ci penserà la missione della delegazione europea guidata dall’eurodeputata Ilaria Salis. In agenda non c’è la verifica dei bilanci o il controllo delle carte, ma il rilancio del «modello Riace» come ispirazione per una nuova Europa. E così, mentre il ministero dell’Interno scrive nero su bianco che «Riace non ha diritto a nuovi fondi» per via delle «gravi irregolarità», nel paesello della Locride si parlerà di «giustizia sociale, diritti umani e solidarietà dal basso». «Riace ha bisogno di verità, non di propaganda», attaccano i gruppi consiliari di opposizione. Qui la questione non è più ideologica, ma economica. I numeri non hanno partito, ma parlano chiaro: milioni di euro spesi male, documenti mancanti, rendicontazioni sparite, controlli evasi, debiti certificati. Eppure, Lucano continua a ricevere premi, delegazioni, fondazioni, applausi. Il modello Riace, insomma, continua a vivere come brand, ma è morto nei bilanci.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/riace-lucano-33-milioni-debiti-2673325978.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="clandestini-la-ricetta-dei-dem-iberici-regolarizziamone-subito-500-000" data-post-id="2673325978" data-published-at="1752738313" data-use-pagination="False"> Clandestini, la ricetta dei dem iberici: «Regolarizziamone subito 500.000» A Torre Pacheco, nella regione spagnola di Murcia, quattro giorni di tensione hanno trasformato le strade in un vero terreno di scontro tra gruppi di immigrati nordafricani, residenti locali e militanti di destra, rendendo necessario l’intervento degli agenti antisommossa. Gli episodi di violenza hanno avuto inizio quando si è saputo che un pensionato di 68 anni era stato aggredito da tre marocchini, che sono poi stati arrestati dalla polizia. I disordini, ovviamente, hanno riacceso i riflettori sull’immigrazione di massa, che in Spagna è ormai da tempo un’emergenza nazionale.Un’emergenza che, però, non sembra sfiorare minimamente il governo socialista di Pedro Sánchez. A confermare lo scollamento dalla realtà dell’esecutivo spagnolo, ci ha pensato ieri Yolanda Díaz, vicepremier di Sánchez nonché leader di Sumar, partito di estrema sinistra. In questo clima incandescente, la pasionaria iberica ha avuto la brillante idea di chiedere al Congresso di Madrid l’approvazione urgente di un’iniziativa legislativa popolare (Ilp) che prevede la regolarizzazione di mezzo milione di immigrati illegali. «Abbiamo un disegno di legge che riguarda 500.000 persone presenti nel nostro Paese che devono essere regolarizzate il prima possibile», ha dichiarato la Díaz in un’intervista su Tve. Non paga, il vicepremier spagnolo ha anche accusato il Partito popolare (Pp) di «aizzare l’estrema destra» e di amoreggiare con i sovranisti di Vox, che hanno proposto l’espulsione di tutti gli irregolari: «I popolari», ha affermato la Díaz, devono erigere «un cordone democratico» nei confronti di Vox, che «è un partito fuori del mandato costituzionale», facendo così capire «da che parte stanno».La proposta sostenuta dalla Díaz, più in particolare, prevede la concessione di un permesso di soggiorno temporaneo agli immigrati irregolari già presenti in Spagna (circa 500.000), purché possano dimostrare di avere un lavoro o un’offerta concreta di impiego. Ai nuovi regolarizzati, inoltre, verrebbe garantito l’accesso a tutti i servizi sociali e sanitari, con la possibilità di ottenere la residenza permanente dopo un periodo di 2-3 anni (per poi conseguire, più avanti, la cittadinanza spagnola). Dal disegno di legge - ci hanno tenuto a precisare i promotori - sono esclusi tutti gli immigrati con precedenti penali gravi o che rappresentino un rischio per la sicurezza pubblica.Come al solito, le intenzioni sono buone, ma di fatto si sta chiedendo di risolvere il problema delle violenze degli immigrati regolarizzando mezzo milione di persone che, in Spagna, non dovrebbero neanche esserci. Ecco perché, di fronte alla proposta del governo, il leader del Pp, Alberto Núñez Feijóo, ha sbattuto i pugni sul tavolo, dichiarando che «un immigrato irregolare che commette reati in Spagna deve essere espulso immediatamente». Anche perché, ha specificato, «l’immigrazione irregolare non può generare diritti». Al contrario, ha aggiunto Feijóo, «abbiamo bisogno di immigrati regolari che si integrino nella cultura spagnola e rispettino le nostre leggi». Il leader dei popolari ha, quindi, accusato il governo di «deregolamentazione migratoria e totale mancanza di responsabilità».Dal canto suo, Vox, attraverso il leader Santiago Abascal, si oppone radicalmente a qualsiasi processo di regolarizzazione, sostenendo che «non è possibile integrare chi entra illegalmente» e proponendo un piano di «remigrazione» per chi non ha alcun diritto di rimanere in Spagna. Secondo i sovranisti, le violenze di Torre Pacheco «dimostrano che le politiche di apertura dei confini falliscono sempre».
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Caterina Interlandi, presidente vicario del tribunale di Tempio Pausania (Imagoeconomica)
Julius Evola negli anni Venti (Fondazione Evola)