2023-07-08
La rete di Soros a favore di Qatar e Iran
Open society finanzia gruppi in cui gravitano attivisti filo sciiti, vicini a Doha e ai Fratelli musulmani e che spingono per un nuovo accordo sul nucleare fra Washington e Teheran. Il magnate attaccò Donald Trump quando ruppe il patto: «Ha scioccato il mondo».Iran, Qatar e Fratelli musulmani. Nonostante la retorica progressista, George Soros non sembra estraneo a tutte queste realtà. Ma andiamo con ordine. La sua Open society supporta innanzitutto l’Enar, una rete di Ong che sostiene di combattere il razzismo e che vanta solidi legami con Femyso: un network che si definisce «la voce della gioventù musulmana in Europa» e di cui è partner la stessa Open society. Ora, sia Enar sia Femyso sono da tempo sospettate di intrattenere legami con la galassia della Fratellanza musulmana: legami che, va detto, sono stati smentiti da entrambe le organizzazioni. È tuttavia utile sottolineare alcuni «dettagli» interessanti. In primis, almeno fino al 2016 a far parte di Enar e Femyso è stata Intissar Kherigi: la figlia, cioè, di Rashid Ghannushi. Costui è il leader di Ennahda: movimento tunisino, gravitante attorno alla galassia dei Fratelli musulmani, che intrattiene rapporti con Hamas e che, quando era al potere, avvicinò Tunisi al Qatar. A confermare il persistere dei legami tra Ennahda e i Fratelli musulmani è stato il Counter extremism project: una Ong che nel 2020 ha anche sostenuto che all’interno di Femyso vi sarebbe almeno un’organizzazione collegata alla Fratellanza. In secondo luogo, l’ex direttore di Enar, Michael Privot, ha ammesso di aver fatto parte in passato della Fratellanza, pur avendone successivamente preso le distanze. Inoltre, era il 2021 quando l’allora segretario di Stato francese per l’Europa (e attuale ministro ai Trasporti), Clément Beaune, ritwittò un post che accusava Femyso di connessioni con i Fratelli musulmani e criticava un incontro tra l’organizzazione e la commissaria europea per l’Uguaglianza, Helena Dalli. Insomma, sembra proprio che Soros sia connesso a entità, se non proprio collegate, quantomeno finitime all’articolata galassia dei Fratelli musulmani. Un elemento che va messo in relazione con quanto rivelato l’altro ieri da Camilla Conti e Giacomo Amadori su queste colonne, e cioè che una testata finanziata proprio da Open society, la libanese Daraj, ha chiesto alla Verità informazioni su suoi inesistenti legami con la controversa Alp services, probabilmente per cercare di screditare le nostre inchieste sul Qatargate. Proprio il Qatar rappresenta storicamente uno dei principali sostenitori della Fratellanza, mentre l’anno scorso il figlio di Soros, Alexander, rese noto di aver assistito al Doha forum, che vanta tra i suoi partner istituzionali i ministeri della Difesa e delle Finanze qatarini. Nella Open society a ricoprire il ruolo di chief people and culture officer è, tra l’altro, Samantha Stokes-Baydur, che dal 2012 al 2014 ha lavorato per i Qatar museums: ente governativo del Qatar, attualmente guidato dalla sorella dell’emiro Al Thani. Doha intrattiene anche legami con Teheran. Non a caso, fu proprio il Qatar, nel giugno 2022, a ospitare dei negoziati indiretti tra Iran e Usa per cercare di ripristinare il Jcpoa: il controverso accordo sul nucleare iraniano, che rappresenta un serio rischio per la sicurezza di Israele. Infine, nel 2019, il Carnegie Middle East center riportò come, nonostante il permanere di alcune divergenze, l’Iran e i Fratelli musulmani si fossero avvicinati dopo le cosiddette primavere arabe del 2011. Ed ecco un altro «dettaglio» interessante. Quando abbandonò il Jcpoa nel 2018, Donald Trump si attirò le critiche di Soros. «Nelle ultime settimane non solo l’Europa ma il mondo intero è rimasto scioccato dalle azioni del presidente Trump. Si è ritirato unilateralmente da un trattato sulle armi nucleari con l’Iran, distruggendo così di fatto l’alleanza transatlantica», dichiarò il magnate. Nel 2005, l’Open society institute aveva curiosamente organizzato un evento a New York con l’allora ambasciatore iraniano Javad Zarif: futuro ministro degli Esteri di Teheran che, nel 2015, fu tra gli artefici del Jcpoa insieme con l’allora segretario di Stato Usa, John Kerry (che aveva visto Soros finanziare la propria campagna presidenziale del 2004 e che, nello stesso 2015, definì il filantropo un «mio buon amico»). Ad agosto 2015, il Washington Post riferì inoltre che la fondazione del magnate aveva versato quasi 70.000 dollari a organizzazioni favorevoli al Jcpoa. Era invece il 2022 quando, rilanciando un sondaggio del think tank liberal Data for progress, l’account Twitter della Open society sostenne che «il ripristino del Jcpoa riduce il rischio di un’altra pericolosa guerra in Medio Oriente». Soros ha anche finanziato l’avvio del think tank Quincy institute, che appoggia il rilancio dell’accordo sul nucleare iraniano. Un rilancio auspicato anche dal Niac: Ong con sede a Washington che supporta candidati politici americani (generalmente dem) favorevoli al Jcpoa e che ha sottoscritto una petizione diretta a Joe Biden per chiederne il ripristino. Ebbene, Politico riferì nel 2009 che Open society aveva pagato gli stipendi allo staff di questa organizzazione. Non è forse un caso che il vicepresidente esecutivo del Quincy, Trita Parsi, sia stato in passato presidente del Niac. Tra l’altro, proprio il Quincy pubblica articoli di Eldar Mamedov, ex consulente di S&D, sospeso l’anno scorso, e favorevole al Jcpoa. D’altronde proprio il Jcpoa è sempre stato sostenuto dai socialisti europei. L’allora Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Federica Mogherini, fu tra i suoi artefici nel 2015, mentre lo stesso Josep Borrell non è affatto ostile alla sua riattivazione. Senza trascurare che, nel 2011, i socialisti si schierarono a favore di quelle primavere arabe, che, benedette de facto dall’amministrazione Obama, avrebbero portato al potere in molti casi i Fratelli musulmani.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco