2020-06-05
Resa dei conti in Md. Spuntano gli altarini anche fra i duri e puri della magistratura
Al consiglio nazionale finirà sul banco degli imputati Giuseppe Cascini. Tra chi si autoassolve, pure quelli che Luca Palamara ha aiutato.L'inviato del «Corriere» Carlo Vulpio: «Le toghe sono un partito, c'è bisogno di una riforma seria».Lo speciale contiene due articoli Il prossimo consiglio nazionale di Magistratura democratica si annuncia davvero caldo. Il 13 giugno l'ordine del giorno prevede ampio dibattito sulle chat con il pm indagato Luca Palamara che coinvolgono esponenti del gruppo, a partire dal consigliere del Csm Giuseppe Cascini. Ma saranno sotto osservazione anche altre conversazioni con magistrati di punta dell'area progressista come il procuratore di Milano Francesco Greco, il procuratore generale di Caltanissetta Lia Sava, gli ex consiglieri del Csm Nicola Clivio e Valerio Fracassi. Comunque si può già scommettere che il più sotto pressione sarà Cascini che non solo è diventato procuratore aggiunto di Roma grazie all'intervento a gamba tesa di Palamara, ma che lo ha anche ringraziato per il sostegno dato al fratello Francesco, oggi pm a Roma; senza dimenticare che si è pure rivolto al pm indagato per procacciare al figlio un biglietto gratuito in Tribuna autorità per una partita di Champions League. Cascini da qualche giorno tace nonostante il fuoco amico che lo sta bersagliando. Forse le bordate più pesanti gli sono arrivate dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris, pure lui in passato toga di Md: «Su Cascini e Palamara (quando in tandem guidavano l'Anm, ndr) potrei scrivere un libro per quello che ho visto con i miei occhi nel 2007/2008. Era una coppia vincente per fermare i magistrati onesti che indagavano sul sistema. […] Quando Cascini dice “abbiamo difeso l'indipendenza dei magistrati" dice una cosa falsa e io sono testimone». Caso Cascini a parte, nelle discussioni sulla chat dell'Associazione nazionale magistrati si assiste a pubbliche abiure, ma anche a veloci autoassoluzioni. Indicativo il caso di Tiziana Orrù, presidente della sezione lavoro del Tribunale di Roma ed esponente di Md che ha scritto: «La questione morale-etica, ma anche solo estetica deve essere oggi al primo posto di ogni discussione. Tranne i pochi qui presenti non correntizzati, nessuno è assolto, non lo è chi negli anni ha sfruttato il sistema, ma neppure quelli che lo hanno solo osservato». Dopo questo inizio promettente, la toga fa retromarcia e va all'attacco dei colleghi delle altre correnti coinvolti nella prima tranche dello scandalo Csm: «Ma non confondiamo la questione morale con quella penale. All'hotel Champagne si consumavano reati, non semplici accordi sulla scelta dei dirigenti degli uffici. (…) Le pubblicazioni delle chat altro non sono che il fumo per consentire di urlare tutto il marciume del correntismo sperando che entri tutto nello stesso calderone. Da tutto questo io mi assolvo perché ne sono estranea». La Orrù ha ritirato fuori uno degli argomenti più utilizzati dai giudici di sinistra: allo Champagne c'erano loschi maneggi con due esponenti politici (Cosimo Ferri e Luca Lotti, allora entrambi del Pd), mentre nelle chat assistiamo a pratiche clientelari biasimevoli, ma che non costituiscono reato. Una filippica accalorata che però non ha convinto molti colleghi. Per esempio Giancarlo Cirielli, pm della Capitale e iscritto di Magistratura indipendente (la corrente moderata), le ha risposto ironicamente: «Cara Tiziana il fatto che “all'hotel Champagne si consumavano reati non semplici accordi sulla scelta dei dirigenti degli uffici" e che risulti per quei fatti un procedimento penale a carico di noti presso la Procura di Perugia è una notizia inedita della quale, per quanto mi consta, riferisci tu sola». Ha ragione Cirielli: per i comportamenti dell'hotel Champagne non risultano pendenti procedimenti penali e le ipotesi più gravi di corruzione nei confronti di Palamara sono cadute. Per questo il magistrato si fa sotto: «Delle due l'una. O tu hai notizie privilegiate sulle indagini di Perugia […] oppure il tuo è un espediente per graduare la gravità dei fatti dell'hotel Champagne, rispetto ad altri fatti, secondo il tuo giudizio, meno gravi, che sono emersi in queste ultime settimane». Il sostituto procuratore, a questo punto, prova a smascherare la collega (e con lei molti di coloro che ripetono il suo stesso mantra): «Se il tuo espediente del distinguo serve a giustificare e a sminuire le condotte diffuse di malcostume nell'attribuzione degli incarichi direttivi, non riesco in alcun modo a condividere la tua idea. Se poi il giustificare e lo sminuire quelle condotte di malcostume è finalizzato alla tutela di un singolo gruppo, autoproclamato immune da quei fatti, condivido ancora meno». Ma Cirielli ignora un fatto davvero curioso. Il 21 settembre 2017 la Orrù è stata candidata presidente della sezione lavoro del Tribunale di Roma dalla quinta commissione (quella degli incarichi direttivi e semidirettivi) e ha incassato cinque voti contro uno (assegnato ad Alessandro Nunziata di Mi). I due commissari di Unicost sostennero la Orrù, mentre quello di Mi votò il proprio candidato. Ovviamente le due preferenze del gruppo guidato da Palamara spostarono gli equilibri. Al punto che lo stesso giorno, Glauco Zaccardi, storico dirigente di Md, giudice del lavoro di Roma e attuale capo dell'ufficio legislativo Finanze del ministero dell'Economia, non si trattenne e inviò un messaggio a Palamara: «Grazie per Tiziana Orrù». Siamo abbastanza sicuri che lo abbia spedito all'insaputa della compagna di corrente. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/resa-dei-conti-in-md-spuntano-gli-altarini-anche-fra-i-duri-e-puri-della-magistratura-2646153796.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="particle-1" data-post-id="2646153796" data-published-at="1591299250" data-use-pagination="False"> Oltre 100.000 visualizzazioni, 1.164 condivisioni e 640 like. Il titolo del post è sulla giustizia, definita «un verminaio», e sul Csm, che viene indicato come un «sinedrio». L'inviato del Corriere della Sera Carlo Vulpio è famoso per essere già finito nei guai per aver pestato i piedi ai magistrati. Correva l'anno 2007 e fu indagato, insieme ad altri giornalisti (e poi assolto), addirittura per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa. Ora si presenta ai suoi amici di Facebook in un video che vale, sostiene, «40.000 euro», ritratto tra una foto di Luca Palamara e una di Giuseppe Cascini, e chiede «l'intervento necessario del capo dello Stato». I 40.000 euro, stando alle sentenze di condanna non ancora definitive, sono così ripartiti: 15.000 per Palamara e 25.000 per Cascini. È andata male in tribunale con le due toghe. «Sono l'unico giornalista italiano, ho scoperto, a essere stato querelato da questi due magistrati e a essere stato condannato in gradi di giudizio non ancora definitivi». Il motivo? «Sostengono che li avrei diffamati. Loro querelano per diffamazione e altri magistrati giudicano se la diffamazione c'è stata o meno». Ma si trattava di servizi di cronaca giudiziaria? «Su Palamara i riferimenti erano a quando faceva il pubblico ministero a Reggio Calabria ed era finito al centro di numerose polemiche per fatti che erano stati riportati dalla stampa locale e, in particolare, dal giornale Il Dibattito, per vicende legate alla sua attività di magistrato. Io non ho detto che Palamara era un cattivo magistrato o che faceva male il suo lavoro, ma ho commentato quello che riportavano i giornali, dicendo appunto che c'erano state delle polemiche. Questa, si sostiene, sarebbe la diffamazione». Un giudice del Tribunale di Bari ha emesso una sentenza di condanna. «Abbiamo impugnato e ora siamo in appello. Sono state ammesse delle prove che in primo grado erano state rifiutate e mi auguro che la verità dei fatti venga ristabilita, ma con la scusa dell'emergenza Covid-19 l'udienza per la sentenza è stata rinviata a maggio 2021, a un anno di distanza. Nonostante il processo sia già stato trattato, le prove raccolte e le parti ascoltate». Nel frattempo, però, si è posto la stessa domanda che in questi giorni si stanno ponendo tutti i cittadini che hanno letto le intercettazioni del caso Palamara. «Mi sono chiesto quanto è stato condizionato il giudice di primo grado dal fatto di dover giudicare su una vicenda in cui il querelante era uno che poteva dall'alto delle sue cariche nell'Anm e nel Csm decidere trasferimento, carriera e destino di un magistrato». Questione Cascini. «Di lui non ho neppure parlato della sua attività di magistrato, ho detto solo che era il segretario dell'Anm, il sindacato dei giudici, e che per vicende che riguardavano altri magistrati in Calabria e in Campania ritenevo che non avesse svolto in modo pieno il suo ruolo di politico, il suo ruolo sindacale». Ha criticato il suo operato. «Era riferito al suo ruolo di sindacalista. Ma il giudice monocratico di Ferrara ha fatto una sentenza pesante in termini di risarcimento. Poi, in appello, a Bologna mi è stato fatto uno sconto di 5.000 euro sulla condanna. Soldi che, però, si sono compensati con le spese di giustizia». Sul piano penale invece? «Sul piano penale i reati sono prescritti e quindi sono incensurato. Resta la condanna a pagare e i giudici hanno ottime probabilità quando a giudicare ci sono altri magistrati». E se dovesse andare male? «Sono pronto ad arrivare fino a Strasburgo se dovesse essere necessario. Intanto ho rivolto un appello al capo dello Stato. Deve invitarli a dimettersi, perché quello dei magistrati è davvero un partito. La Verità sul partito dei magistrati ci ha titolato e Mauro Mellini in tempi non sospetti ha scritto un libro proprio sul partito dei magistrati. È necessaria una riforma seria, con un sorteggio ragionato per il Csm, non come quello della proposta di Bonafede. Ma la mia rimarrà una voce nel deserto. D'altra parte chi interviene su un tema così pericoloso? Chiunque metta un dito rischia di rimanere fulminato».