2025-07-01
Pur di apparire, Renzi va perfino da Fedez
Matteo Renzi ospite al podcast condotto da Fedez
L’ex premier si esibisce nel podcast del rapper. Una performance da influencer più che da politico, tra autocompiacimento, elogi a Bin Salman e battute prefabbricate: «Agli avversari do tre congiuntivi di vantaggio». Ma il padrone di casa gli tiene testa.Matteo Renzi ha scelto una location insolita per la sua ultima esibizione politica: una puntata di Pulp, il podcast condotto da Fedez e Davide Marra, dove il leader di Italia Viva ha regalato ai 220.000 follower del canale YouTube una performance a metà tra l’arringa motivazionale da Leopolda e una scenetta da dopocena con amici. Il risultato è un’ora abbondante di autocompiacimento, di battute prefabbricate e di attacchi alla premier Giorgia Meloni e alla sinistra silente, passando per le spy story e per l’amore per l’Arabia Saudita. Renzi parte subito forte: «Agli avversari do tre congiuntivi di vantaggio». Ma il vantaggio se lo prende quando ricorda con fierezza il bonus da 80 euro, quello che secondo lui ha salvato dieci milioni di italiani. Fedez lo incalza: «Non era una misura come il reddito di cittadinanza?». «Per te che sei milionario non conta», ribatte Renzi. «Non milionario, ma multi milionario», puntualizza il rapper, con l’umiltà che lo contraddistingue. Un duello di classe fra un ex premier in crisi di consensi e un cantante con problemi di autotune passato alla polemica permanente. Uno dei siparietti si consuma su un terreno che entrambi conoscono bene, quello social. Fedez gli ricorda: «Forse tu sei stato il primo politico influencer». E Matteo lo frena: «Il più grande influencer dal punto di vista della comunicazione non sono io, né Giorgia Meloni». Fedez conclude la frase: «Silvio». Con Renzi che si avventura in una imitazione del Cavaliere: «Mi consenta, diamo la giusta priorità». Ma rivendica: «Su Twitter sono stato il primo presidente del Consiglio a usarlo in modo disinvolto e scanzonato». Fedez lo rintuzza: «Io avrei usato un altro aggettivo». E Renzi: «Ironia facile». Poi, senza che ci fosse stata una domanda, l’ex presidente del Consiglio introduce un retroscena: la mancata nomina di Nicola Gratteri a ministro della Giustizia. La prende alla larga: «Il presidente del Consiglio propone i nomi, poi il presidente della Repubblica deve controfirmare». Fedez lo interrompe: «Napolitano non voleva Gratteri». Renzi conferma: «L’hai detta in modo efficace». Ma la fine della storiella è un’altra: Renzi rievoca il suo primo tweet da premier, quello con «arrivo, arrivo», scritto dal Quirinale. Ovazione in studio. Tutta questa premessa per dire che lui raccontava sui social le riforme. E arriva il turno della Meloni. «Quali riforme ha fatto?», chiede Renzi, ormai nelle vesti da conduttore. Fedez e Marra sembrano un attimo spaesati. Poi dicono: «Il Decreto Sicurezza e il Ddl Sicurezza». Lui, che ormai li ha portati nel suo personale show, aggiunge: «Prima Dl, poi Ddl, poi solo L, ha perso le D, però, questa legge qua non è una riforma, è un provvedimento da influencer». Ma non è l’unico momento dedicato a Giorgia. L’argomento è Paragon: «Se lo Stato non ci protegge non è più una democrazia». Una frase da prima pagina, peccato arrivi proprio da chi incontrava gli 007 in autogrill. «E non entro nella macchina di Giambruno», afferma Renzi, che rivolgendosi alla Meloni afferma: «Invece di fare l’influencer o di giocherellare con i servizi si preoccupi della sicurezza, un tema su cui la sinistra dovrebbe farsi sentire». Infine, arriva il momento Saudita. Bin Salman? «Un leader visionario», dice il senatore di Scandicci, dimenticando che è accusato dell’omicidio di un giornalista. Qui il terreno si fa scivoloso. Le consulenze pagate dall’Arabia Saudita: «Se vogliamo una legge che vieta ai parlamentari di fare altri lavori, io sono d’accordissimo. Ma che valga per tutti», dice Renzi. Poi, l’arrampicata diplomatica da manuale: «Nei Paesi dove non ci sono diritti, tutto ciò che incoraggia chi vuole portarli è positivo». A questo punto Renzi è entrato nel personaggio da anchorman di Pulp. La premessa: «Non avevo visto il vostro podcast, ma avevo visto questo signore (e indica Fedez, ndr) con il dottor Cruciani sul palco dei giovani di Forza Italia e ho visto le cose che ha detto Federico insieme a Leoni, il presidente dei giovani di Forza Italia, che tra l’altro ha fatto un bellissimo intervento contro Vannacci […]. È stato interessante per lui (indica di nuovo Fedez, ndr) e interessante anche per Forza Italia, che peraltro è stata intelligente a chiamare Fedez, è stata una bella operazione». Ma mentre il confronto si sposta sul peso mediatico della foto di Fedez con lo sfondo del congresso azzurro, Renzi torna alla fantapolitica motivazionale, e a quelli che dicono che ha il 2 per cento risponde: «La politica è una ruota che gira, fatevelo dire da uno che stava lassù in cima e che poi è finito in fondo, ma che tornerà. È così per tutti». Fedez lo incoraggia: «Toccherà anche a te». Non poteva mancare il teatrino sull’inglese da bar di provincia. E l’ex premier, in perfetto slang renzese, per dimostrare che nel frattempo ha studiato, tra uno «stai sereno» e l’altro, se ne esce con un memorabile «Dear Fedez, fuck you». Risate. E una netta sensazione: che si stia raschiando il fondo del barile mediatico.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.