2018-08-10
Il Bullo accolse Dagostino a Palazzo Chigi
L'imprenditore Luigi Dagostino, indagato con babbo Tiziano, venne definito dall'ex segretario dem «vomitevole». Da premier, però, Matteo Renzi avrebbe ricevuto lui e un rappresentante del brand di lusso Brioni. Sul tavolo c'era la possibilità di rifargli il guardaroba. L'ex premier Matteo annuncia per settembre «sorpresine» dai pm a Lega e M5s. Posto che, se ha avuto un'imbeccata, a rischiare un'indagine è lui, il senatore dovrebbe concentrarsi sulle grane dei genitori per Consip e fatture false. «I soldi per l'Africa riciclati dal cognato». I pm non mollano sui 6,6 milioni di beneficenza finiti in Portogallo e sui conti delle aziende di babbo e mamma. Lo speciale contiene tre articoli. I bei vestiti per Matteo Renzi devono essere una cura miracolosa contro i conati di vomito. Era l'11 gennaio 2017 e l'ex premier, dopo aver letto le dichiarazioni rilasciate a questo giornale dall'imprenditore Luigi Dagostino, aveva scritto al padre Tiziano: «L'intervista di quello (di Dagostino, ndr) mi conferma nel giudizio: la stragrande maggioranza di quelli che ti circondano mi fanno vomitare». Peccato che a questa vomitevole combriccola il fu Rottamatore si fosse affidato per il suo look presidenziale. Un'autorevole fonte della Verità ci ha rivelato che Dagostino non entrò a Palazzo Chigi solo per incontrare Luca Lotti e provare a sistemare le questioni riguardanti il giudice barlettano Antonio Savasta. L'immobiliarista avrebbe incontrato anche Matteo Renzi, per discutere con una casa di moda la possibilità di curare l'abbigliamento del premier, in quei mesi diventato testimonial insieme con la moglie di un noto stilista fiorentino, Ermanno Scervino. Dagostino all'epoca frequentava Tiziano Renzi e l'avvocato Carmine Rotondaro, manager della Kering, multinazionale del lusso con interessi in mezzo mondo. Con il primo cercava sponde nel mondo della politica, con il secondo nel ricchissimo settore degli outlet d'abbigliamento. Tiziano accompagnò Rotondaro e Dagostino a promuovere la nascita dei centri commerciali in Comuni a guida Pd. Forse quest'attività da lobbista è alla base delle due fatture per operazioni inesistenti pagate tra giugno e luglio 2015 da Dagostino a Tiziano, quasi 200.000 euro per progetti mai realizzati. Nello stesso periodo il terzetto, a quanto risulta alla Verità, entrò anche a Palazzo Chigi con un rappresentante della casa di moda Brioni per provare a vestire il premier. L'azienda abruzzese, che in passato aveva realizzato lo smoking di James Bond, è di proprietà proprio della Kering e in quel momento era in difficoltà. A inizio 2016 c'erano 400 posti a rischio, e tra marzo e aprile scesero in campo Renzi e il sottosegretario Claudio De Vincenti per provare a risolvere la crisi. Venne trovato un accordo per tagli molto più ridotti. Nei giorni scorsi abbiamo chiesto lumi alla Brioni e la risposta è stata sibillina: «Siamo spiacenti ma per motivi di privacy Brioni non rilascia informazioni relative alla propria clientela o presunta tale». Renzi senior, Dagostino e Rotondaro non si interessarono solo di abiti. A un certo punto iniziarono a occuparsi dell'acquisto dello storico caffè Rivoire di Firenze. Il piano era ingegnoso: Dagostino, la compagna Ilaria Niccolai e un terzo socio nel gennaio 2016 comprarono il locale al prezzo di 7 milioni di euro scatenando la polemica politica. Alla Verità risulta che la Kering, nei piani di Dagostino-Rotondaro-Renzi, avrebbe dovuto ricomprarlo, valutandolo 15 milioni e versandone 10 per il 51% delle quote, considerando un premio per il controllo. L'idea nacque perché nello stesso periodo altri marchi del lusso avevano inglobato storici caffè milanesi: i francesi di Lvmh avevano acquistato Cova, e Prada aveva risposto con Marchesi. Nell'agenda di Dagostino c'è traccia di un incontro con Tiziano proprio per discutere del Rivoire. Il 5 novembre era segnato: «10 Tiziano Renzi per varie Rivoire». Da Parigi l'ufficio stampa del gruppo ci ha risposto che la Kering non ha mai intavolato una trattativa ufficiale per il caffè, ma non ha specificato se fosse giunta un'offerta. Comunque, a tagliare la testa al toro ci pensarono le vicissitudini giudiziarie di Rotondaro: nell'autunno 2016 venne travolto da un'inchiesta della Procura di Milano, in seguito alla quale ha subito un sequestro di 7 milioni di euro. Pure Dagostino non se la passa bene. È agli arresti domiciliari per aver tentato di falsificare alcune prove mentre era sotto indagine per reati fiscali. Il prossimo 4 settembre sarà alla sbarra con Tiziano e la moglie Laura Bovoli per le presunte fatture false. Eppure l'immobiliarista di origini pugliesi, tra il 2015 e il 2016, ha bazzicato le stanze del potere. È riuscito a portare a Palazzo Chigi il magistrato che in teoria avrebbe dovuto indagare su di lui e che, invece, non lo iscrisse mai sul registro delle notizie di reato. In compenso i due si incontravano fuori dal Tribunale per scambiarsi favori. Per questo entrambi, insieme con l'avvocato R.S., compagno di liceo di Savasta, sono sotto inchiesta per corruzione in atti giudiziari. Il giudice, trasferito a Roma nel 2017 al Tribunale civile, a giugno ha subìto anche una perquisizione domiciliare. I carabinieri hanno registrato a verbale la presenza di un cittadino straniero nell'abitazione, forse un domestico. Ma torniamo alle accuse. Nel 2015 Savasta era sotto procedimento disciplinare presso il Consiglio superiore della magistratura, e temeva ripercussioni sulla sua carriera. Nelle carte è riportata un'intercettazione che i magistrati ritengono significativa. Secondo gli inquirenti al centro della telefonata tra Dagostino e l'avvocato R.S. ci sarebbe la camera di consiglio a porte chiuse della Prima sezione disciplinare del Csm, che doveva discutere del trasferimento d'ufficio di Savasta per «incompatibilità ambientale e funzionale». Il pm, a ottobre, aveva cercato di giocare d'anticipo chiedendo il trasferimento. Il 15 novembre, una settimana prima della riunione, l'avvocato dice a Dagostino che «quella cosa bisognava accelerarla». L'immobiliarista prova a tranquillizzare l'interlocutore: «Ho parlato ieri sera, ha detto non ti preoccupare che ci pensa lui e lo chiama anche adesso». Il legale è dubbioso: «Cioè lo chiama sul cellulare?». Risposta: «Sa lui come. Mi ha detto: “Me la vedo io"». R.S. non pare rassicurato: «Sì perché prima del 22, il 22 succede…hai capito?». L'imprenditore aggiunge: «Se non ha chiamato giovedì mattina chiama, comunque ieri sera l'ho visto personalmente». Non è chiaro se il misterioso personaggio che avrebbe dovuto sistemare le cose (che in effetti si aggiustarono, con la sospensione del trasferimento d'ufficio) sia stato individuato. La risposta potrebbe arrivare a settembre, quando la Procura di Lecce dovrebbe scoprire le sue carte. Magari con la soluzione dell'enigma. Giacomo Amadori <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/renzi-evoca-inchieste-sui-gialloblu-ma-scorda-quelle-che-ha-in-famiglia-2594302049.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="renzi-evoca-inchieste-sui-gialloblu-ma-scorda-quelle-che-ha-in-famiglia" data-post-id="2594302049" data-published-at="1758180036" data-use-pagination="False"> Renzi evoca inchieste sui gialloblù ma scorda quelle che ha in famiglia Matteo Renzi e Massimo D'Alema, si sa, non si stanno simpatici. Eppure sembrano fatti con lo stesso stampino. A parte una certa concezione di sé stessi e l'amore per i piaceri della vita terrena - dalle villone, alle aziende vinicole alle barche - entrambi hanno anche il dono di Cassandra: vaticinano sventure. Il primo fu D'Alema, che, nel giugno 2009, previde «scossoni» per il governo Berlusconi. Dopo una manciata di giorni esplose il caso delle escort e apparve sul Corriere della sera l'intervista alla vispa Patrizia D'Addario. Nove anni dopo, in versione Cassandra 2.0, Matteo ha scelto Facebook per leggere la palla di vetro. E ha annunciato «sorpresine» giudiziarie per la maggioranza che guida il Paese. Il primo «avviso di garanzia» lo ha spedito ai 5 stelle, collegandolo agli insulti apparsi su Internet contro il presidente Sergio Mattarella, il giorno in cui decise di dare l'incarico per formare il governo a Carlo Cottarelli anziché ai leader grillini e leghisti. Durante la diretta, Renzi dà l'impressione di conoscere cose di cui noi comuni mortali siamo all'oscuro e in particolare di un coinvolgimento della Casaleggio & associati nella creazione di profili per veicolare quell'attacco sui social network. Ecco le precise parole del mago Matteo: «In quella notte Di Maio decide di chiedere l'impeachment per Mattarella (…) e in quel momento parte una campagna contro il presidente con l'hashtag “Mattarella dimettiti" e la creazione di profili falsi sui social. Chissà chi sarà stato. Un soggetto politico? Imprenditoriale? Una via di mezzo tra una società e un movimento? Chi lo sa…». Il riferimento, neppure tanto velato, è alla Casaleggio & associati, l'azienda che gestisce la piattaforma Rousseau, la piazza digitale della politica 5 stelle. A questo punto il senatore semplice sgancia la bomba: «E se la Procura di Roma, che ha aperto un'indagine, scoprisse, per caso, che ci sono in questo Paese delle strutture che decidono di mettere in piedi un'attività, in questo caso contro il presidente della Repubblica, di creazione e inquinamento del gioco democratico attraverso la creazione di fake sui social, la grande bellezza della Rete che fine farebbe?». Una domanda retorica che anticipa l'affondo finale: «Questo tema sarà una delle questioni di settembre-ottobre, per quello che mi riguarda, per una serie di ragioni, ho chiesto al procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, di essere ascoltato». Infatti secondo l'ex premier i troll avrebbero influenzato anche il referendum costituzionale del 2016, sebbene in modo non decisivo. Grazie a quali fonti l'ex segretario dem sfoggia tanta sicumera? Impossibile dirlo, sebbene un suo fedelissimo, Lorenzo Guerini, sia stato messo a capo del Copasir, l'organismo parlamentare di controllo sull'attività dei servizi segreti. In ogni caso, a settembre, se i vaticini verranno confermati, qualcuno potrebbe chiedere di aprire un fascicolo contro lo stesso Renzi per rivelazione del segreto d'ufficio. Lo stesso reato per cui il suo braccio destro, Luca Lotti, è indagato da due anni proprio dalla Procura di Roma. Intanto il fu Rottamatore in quegli uffici giudiziari vuole tornarci da testimone. Qui era già stato verbalizzato nel 2016 nell'ambito di un'indagine per insider trading. In pochi lo ricordano, ma, nel gennaio 2015, il presidente onorario del gruppo Gedi, Carlo De Benedetti, e Renzi si incontrarono a Palazzo Chigi e parlarono della riforma delle banche di credito cooperativo. Dopo poche ore, grazie al proprio intuito e a quello del suo broker di fiducia (ancora sotto indagine a Roma per insider trading) lo stesso De Benedetti, guadagnò 600.000 euro scommettendo in Borsa proprio sulle banche di credito cooperativo. Per questa storia Renzi e De Benedetti sono stati ascoltati come testimoni, ma non sono mai stati indagati. Sulla spinosa questione la Procura di Perugia (competente per i reati dei magistrati romani) ha aperto un fascicolo per capire se l'inchiesta capitolina fu condotta rispettando tutti i crismi. In Umbria il fascicolo è ancora iscritto a modello 45, cioè senza ipotesi di reato o indagati, ma gli inquirenti stanno attendendo delle carte dalla capitale prima di intraprendere eventuali passi successivi. Non è finita. Per settembre-ottobre sono in arrivo anche altre «soprese». A inizio autunno sono attesi gli avvisi di chiusura indagini per tutti i soggetti coinvolti nell'affaire Consip, tra i quali figura pure il babbo di Matteo, Tiziano Renzi. È questa la vera notizia che i cronisti di giudiziaria attendono per le prossime settimane. Matteo sta provando a oscurarla con una mano di poker oppure il Bullo sa già che il padre verrà archiviato? Sempre gli inquirenti romani stanno approfondendo le indagini su Eyu, la fondazione renziana presieduta dal tesoriere del Pd Francesco Bonifazi. Nell'inchiesta sull'immobiliarista Luca Parnasi sono emerse alcune fatture sospette che sembra stiano offrendo interessanti spunti investigativi. Per tutto questo, consigliamo a Matteo di girare alla larga dalla Procura di Roma, almeno fino a quando non saranno concluse tutte queste investigazioni. Altrimenti il rischio è che a qualcuno possa venire il ghiribizzo di fargli qualche domanda inattesa e non solo sull'argomento a piacere. Inoltre, all'ex premier, appassionato di inchieste altrui, bisognerebbe ricordare che il suo babbo e la sua mamma hanno ricevuto tre avvisi di garanzia a testa per i presunti pasticci perpetrati durante l'attività della loro azienda, la Eventi 6, di cui il figlio è stato dirigente in aspettativa sino al 2014. Persino i titolari della Dotmedia, l'agenzia di comunicazione che organizza la kermesse renziana della Leopolda, sono invischiati in inchieste insieme con i suoi parenti. Ma tutto ciò non sembra scoraggiare l'ex sindaco di Firenze. Tanto che ha annunciato «una seconda grande notizia che riguarderà la politica italiana alla ripresa», riferendosi all'inchiesta genovese sui 49 milioni di contributi elettorali incassati dalla Lega nel biennio 2008-2010 (quando il Pd ne incassò 190) e mai restituiti nonostante una sentenza dei giudici: «Io dico che a settembre-ottobre su questa roba ne vedremo delle belle». Resta solo da comprare i pop corn e aspettare. Per capire se le fonti di Renzi gli abbiano passato notizie vere. E lecite. Giacomo Amadori <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/renzi-evoca-inchieste-sui-gialloblu-ma-scorda-quelle-che-ha-in-famiglia-2594302049.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-soldi-per-lafrica-riciclati-dal-cognato" data-post-id="2594302049" data-published-at="1758180036" data-use-pagination="False"> «I soldi per l’Africa riciclati dal cognato» L'indagine era nota da tempo, anche se alcuni giornali hanno provato a rivenderla come nuova. Ma una novità c'è ed è che l'inchiesta sul cognato di Matteo Renzi, Andrea Conticini, e sui suoi due fratelli sta prendendo una piega negativa per gli indagati. La vicenda riguarda i milioni di dollari che sarebbero dovuti servire a scopo umanitario in Africa, e sui quali invece, secondo la ricostruzione della Procura fiorentina, hanno messo le mani i tre Conticini. Una cifra non inferiore ai 6,6 milioni, per gli inquirenti, è l'importo di cui Alessandro e Luca (fratelli di Andrea) si sarebbero illecitamente impossessati. Però per l'Unicef e altri fondi di solidarietà oltre al danno potrebbe aggiungersi la beffa: l'appropriazione indebita aggravata, dalla primavera 2018, ultimi giorni del governo Gentiloni, è un reato procedibile solo a querela di parte. Per cui senza l'impulso degli enti benefici eventualmente danneggiati, l'azione penale nei confronti di Alessandro e Luca Conticini (Andrea è accusato di riciclaggio) non potrà essere avviata. E l'indagine terminerebbe con un nulla di fatto. Ma facciamo un passo indietro. Nel 2011 i tre avrebbero usato un'organizzazione no profit - la Play therapy Africa Ltd - per far transitare e appropriarsi del denaro destinato ai bambini bisognosi del continente africano. Dei 10 milioni di dollari erogati dall'Unicef e dalla Fondazione Pulitzer, quella del celebre premio giornalistico, soltanto 2,8 arrivano a destinazione. Quindi dove sono finiti gli altri? Secondo i magistrati di Firenze che indagano da due anni, Andrea Conticini (da cui l'accusa di riciclaggio) li avrebbe investiti, per conto del fratello Alessandro nel settore societario. Tra il 2015 e il 2017 una parte del malloppo sarebbe stata usata per sottoscrivere un prestito obbligazionario di 798.000 euro emesso da una società dell'isola di Guernsey, situata nel canale della Manica. Con un'altra parte, Alessandro e Luca (indagati anche per auto riciclaggio) avrebbero contribuito alla realizzazione di una serie di investimenti immobiliari in Portogallo, per un valore di poco inferiore a 2 milioni di euro. Andrea Conticini, marito della sorella di Renzi, Matilde, nel febbraio 2011 ha invece investito 133.000 euro in partecipazioni della Eventi6 srl, l'azienda specializzata in marketing editoriale della famiglia della consorte; inoltre ha finanziato con 130.000 euro Quality press Italia e con 4.000 euro l'agenzia di comunicazione Dotmedia, ditta di cui è socio lo stesso Alessandro Conticini e che si occupa da anni delle campagne di Matteo Renzi e dell'organizzazione della Leopolda. Il procuratore aggiunto Luca Turco e la pm Giuseppina Mione a giugno hanno provato ad ascoltare i Conticini. Che non si sono presentati. Una strategia difensiva che l'avvocato Federico Bagattini ha giustificato quasi come una rappresaglia, visto che a dicembre i suoi assistiti avevano chiesto inutilmente di essere ascoltati dai pm. L'inchiesta su questo giro di soldi a scopo benefico è nata da alcune verifiche bancarie realizzate sui conti correnti aperti da Alessandro Conticini presso la Cassa di Risparmio di Rimini, nella filiale di Castenaso (Bologna), paese d'origine della famiglia. E proprio su questi conti sarebbero transitati i milioni di dollari delle donazioni, fatte dagli ignari benefattori. Che non avrebbero potuto mai immaginare la destinazione finale del denaro. La difesa aspettava la richiesta di archiviazione, invece ha ricevuto un mandato di comparizione che lascia intendere che l'indagine non sia ancora chiusa, nonostante il cambiamento della legge. Dal canto suo l'avvocato Federico Bagattini respinge tutte le accuse e ha già annunciato la presentazione di una memoria. Vedremo come finirà l'ennesimo pasticcio di casa Renzi. Giuseppe China
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.
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