2021-06-18
Con queste regole sulle zone a colori rischiamo chiusure pure con i vaccini
Da uno studio emerge che il numero d'infetti dopo la doppia dose, qualora aumentasse la circolazione virale, causerebbe balzi improvvisi in zona rossa. Si cambino i parametri, conteggiando solo sintomatici e ricoverati.Qual è il colmo per chi si vaccina? Tornare in lockdown. È un'ipotesi remota. Ma non impossibile, visto il decreto vigente sulle zone a colori. Perché, per passare dal bianco al giallo, basta superare un'incidenza settimanale di 50 casi di Covid ogni 100.000 abitanti. E, indipendentemente dal tasso di occupazione negli ospedali, che con l'aumento degli immunizzati non dovrebbero più finire intasati, sopra i 250 casi, scatterebbe direttamente la zona rossa. Alla faccia della vaccinazione di massa. Un campanello d'allarme in questo senso arriva dallo studio Renaissance, condotto dall'ospedale Niguarda di Milano sui propri operatori sanitari vaccinati. Finora, i test hanno rilevato la presenza di anticorpi nel 98% di chi ha completato il ciclo vaccinale, tra gennaio e febbraio. «Sugli oltre 4.500 dipendenti, nessuno di questi ha sviluppato il Covid-19 sintomatico», fa sapere la struttura. Eppure, nonostante il vaccino, «a seguito di accertamenti di sorveglianza sanitaria, sono risultate positive 14 persone, tutte asintomatiche o paucisintomatiche». Cifre risibili? Si tratterebbe, in proporzione, di oltre 300 casi ogni 100.000 individui, anche se da spalmare in un lasso temporale che arriva fino a tre mesi. Ma il concetto è un altro: la ricerca del Niguarda dimostra che i vaccini non ci mettono completamente a riparo dal virus. Dunque, già dalle prossime settimane, potremmo trovarci in uno dei seguenti scenari di incremento dei contagi.Primo. Turismo significa mobilità, e la (vivaddio) libera circolazione delle persone rischia di favorire la nascita di nuovi focolai. L'aumento improvviso e massiccio dei casi nelle località di vacanza potrebbe portare al superamento delle soglie d'incidenza previste dall'attuale normativa, fino a far scattare nuove serrate. Una vera e propria tragedia sul piano economico e sociale. Vi immaginate i ristoranti chiusi a Capri, oppure il coprifuoco a Tropea? Cose da pazzi.Secondo. Nei prossimi mesi, analogamente a quanto avvenuto in passato, le nuove mutazioni del virus potrebbero diventare dominanti, alimentando la circolazione del virus. Proprio come accaduto l'anno scorso, il pericolo è quello di trovarci a fare i conti con una nuova ondata a ridosso dell'apertura delle attività produttive e delle scuole.Terzo. Al netto della battuta d'arresto nella campagna vaccinale, dopo il caos sul cocktail, rimarrebbe sempre una parte di popolazione esposta: come i 3,1 milioni di under 12 (per i quali il siero non è attualmente autorizzato), ai quali va aggiunta una quota fisiologica di concittadini che non intendono vaccinarsi. E come dimostrano i dati che arrivano dal Regno Unito, buona parte dei ricoveri riguarda i non immunizzati. Ma anche trascurando costoro, si intuisce che, a legislazione invariata, un aumento della circolazione del virus, trainato da spostamenti dei vacanzieri o dal consolidamento della variante delta, potrebbe ripiombarci nella prigionia delle chiusure. Addirittura, una Regione rischierebbe di passare, nell'arco di due monitoraggi della cabina di regia, quindi in un paio di settimane, dal bianco (50 casi ogni 100.000 abitanti), al giallo (sopra i 50 casi), direttamente al rosso (oltre 250 casi, a prescindere dai ricoveri). A patto che il tasso di trasmissione, anche in virtù di un normale rilassamento, riprenda a galoppare. E che ci si metta a «cercare» il virus, con test a tappeto per scoprire i positivi senza sintomi. Così, in uno scenario «indiano», potremmo avere un considerevole numero delle infezioni asintomatiche o paucisintomatiche, senza conseguenze sui nosocomi, ma tale da determinare la serrata. L'ulteriore paradosso è che l'arancione sparirebbe: secondo il decreto, infatti, se si rimane in un tasso d'incidenza compreso tra 150 e 250 casi ogni 100.000 persone, ma i posti letto in area medica sono occupati solo al 30% e le terapie intensive solo al 20% (e con le immunizzazioni, ci aspettiamo numeri anche più bassi), si può restare in area gialla. Superata la soglia dei 250 casi, invece, l'epidemia viene considerata fuori controllo e scatta la zona rossa. Ma si può definire «fuori controllo» una situazione in cui, sia pure con 300 positivi ogni 100.000 abitanti, la stragrande maggioranza di essi non ha sintomi, o ce li ha lievissimi? E non è un pericolo per gli altri, a loro volta schermati dalle conseguenze gravi del Covid? Alcuni esempi li abbiamo già. Ad Aritzo (Nuoro), il commissario ha disposto un lockdown duro per una cinquantina di positivi. A nulla sono valse le proteste dei commercianti, cui è vietato perfino l'asporto. E Trinità d'Agultu, perla della Costa Paradiso, per 22 casi legati alle riprese del film La sirenetta, è ripiombata nella spirale del coprifuoco.Il punto è che un positivo non dev'essere considerato un malato. Curiosamente, questa evidenza, finora ignorata, quando si parla di vaccinati infetti, viene finalmente riconosciuta. Probabilmente, perché il vecchio approccio dissacrerebbe il mito del santo siero anti Covid. Insieme a questo principio, crediamo sia però necessario prevedere almeno altri due correttivi. 1 Si elimini il passaggio automatico in zona rossa in caso di incidenza superiore ai 250 casi ogni 100.000 abitanti. L'esame dello scenario di rischio va effettuato incrociando i dati sul tasso di occupazione negli ospedali. Perché chiudere se, ad esempio, in Lombardia (10 milioni di abitanti) ci sono 25.000 positivi che non stanno male? Imporremmo mai un lockdown per una normale epidemia influenzale? 2 Il calcolo dell'incidenza sia effettuato solo considerando i pazienti davvero sintomatici. Specie se, in autunno, dovessimo fare i conti con la variante delta. Ma per evitare di essere di nuovo sopraffatti dagli eventi, è meglio iniziare a riorganizzarci subito.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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