2020-11-06
Regioni, Comuni, avversari e alleati Tutti contro il semaforo di Speranza
Attilio Fontana: «Lombardia inascoltata e penalizzata». Piemonte e Sicilia contestano i criteri, la Calabria annuncia ricorsi mentre Brescia pretende deroghe. Matteo Salvini: «Non ci stiamo». Il dem Graziano Delrio: «Ora il ministro riferisca».Dopo aver contestato la zona rossa con il Pirellone, il sindaco di Milano si è riallineato. Poi l'ennesimo testacoda: «Sistema troppo complesso, ma gli ordini vanno eseguiti».Lo speciale contiene due articoli.La prima notizia è che il ministro Roberto Speranza è riuscito a creare l'unanimità di opinioni; la seconda è che tale unanimità è contro di lui. Il day after dell'annuncio del «semaforo» vede infatti un'impressionante convergenza di pareri ostili e reazioni sdegnate, dalle Regioni ai sindaci, passando per le opposizioni e perfino per segmenti della maggioranza giallorossa. Eppure Speranza fa lui la parte dell'infastidito: «Le Regioni alimentano i dati con cui la cabina di regia effettua il monitoraggio». E ancora: «Nella cabina di regia ci sono tre rappresentanti indicati dalle Regioni. È surreale che anziché assumersi la loro parte di responsabilità ci sia chi faccia finta di ignorare la gravità dei dati che riguardano i propri territori». Situazione letteralmente incredibile: prima Roma alimenta il caos, poi comunica in extremis alle Regioni il loro destino (sulla base di dati di dieci giorni prima), e poi si irrita se qualcuno protesta. Ma tale è stato il fuoco di sbarramento contro il titolare della Salute che stamattina Speranza dovrà presentarsi a Montecitorio a riferire. Dalle Regioni, è un pandemonio. Ecco Alberto Cirio, governatore del Piemonte: «Ho passato le ore a rileggere i dati, regione per regione, a cercare di capire come e perché il governo abbia deciso di usare misure così diverse per situazioni in fondo molto simili. Voglio che mi si spieghi la logica di queste scelte, pretendo chiarezza». È andato oltre Nino Spirlì, presidente facente funzioni della Calabria, che ha annunciato un ricorso: «Impugneremo l'ordinanza che istituisce la zona rossa. Questa regione non merita un isolamento che rischia di esserle fatale». E ancora: «Le costanti interlocuzioni che ho avuto con i membri del governo e il commissario Arcuri non hanno prodotto alcuna modifica rispetto alla volontà, evidentemente preconcetta, di chiudere una regione i cui dati epidemiologici non giustificano alcun lockdown».Analoga scelta potrebbe essere compiuta anche da Nello Musumeci in Sicilia, e in tal senso lo sollecitano segmenti della sua maggioranza. Musumeci parla di scelta «scriteriata» e aggiunge all'Adnkronos: «Per carità, sono felice per il Lazio, la Toscana o la Campania, ma mi chiedo perché loro siano gialli e noi arancioni. Noi non siamo assolutamente in sofferenza. Abbiamo solo 148 posti occupati in terapia intensiva con una disponibilità di 400 posti, abbiamo il 60 per cento di posti liberi per i positivi che necessitano di un ricovero. Anche noi ci chiediamo perché la Sicilia sia arancione: è una domanda che sorge spontanea quando si mettono a confronto i dati della nostra regione con quelli di almeno altre 4 o 5 regioni rimaste, buon per loro, zone gialle. Molti sostengono essere stata una scelta dettata da pregiudizi politici. Io ho il dovere di pensare che, invece, si sia trattato di una lettura svogliata e distratta del dato epidemiologico».Rabbia anche dalla Lombardia, dove Attilio Fontana sottolinea come «le richieste formulate dalla Regione non siano state neppure prese in considerazione». Non solo: il governatore lombardo ha spiegato che l'ordinanza firmata da Speranza non ha «alcuna possibilità di deroga» in prima battuta. «Solo successivamente, dopo almeno due settimane, è possibile per il presidente di Regione chiedere delle misure di allentamento per determinati territori. Agli imprenditori che subiranno un altro duro colpo dal fermo delle loro attività», ha aggiunto Fontana, «garantisco che non arretrerò di un passo finché il governo non avrà erogato le risorse promesse ed effettuato i ristori».Sconcerto anche da parte di molti sindaci. Se - come il governo aveva garantito - le misure dovevano essere «intelligenti», con lockdown mirati, non si capisce perché non siano state fatte differenziazioni tra territori all'interno di una stessa regione. È il tema posto con forza dal sindaco di Brescia, Emilio Del Bono: «Li si pubblichi, questi parametri, provincia per provincia, quelli più vecchi e quelli più nuovi. Solo così si potrà valutare la collocazione di territori subregionali in modo diversificato. Chiediamo che questo passo venga fatto per trasparenza e serietà. I cittadini devono essere messi in grado di sapere se i loro sacrifici sono giustificati e necessari». E l'associazione dei Comuni bresciani - quindi tutti i sindaci -ha scritto a Speranza e a Fontana per chiedere una deroga per il territorio. Durissima, ovviamente, l'opposizione. Matteo Salvini parla di «lotteria delle chiusure»: «Chiudono in casa milioni di italiani in diretta tv, senza preavviso sulla base di dati vecchi di dieci giorni, senza garantire rimborsi adeguati. E intanto lasciano sbarcare oltre 2.000 clandestini in poche ore. Noi non ci rassegniamo». Ma la notizia è che ai toni battaglieri di Lega, Fdi e Fi, fa riscontro anche un notevole imbarazzo della stessa maggioranza. Il capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio, pur difendendo il governo, ammette un'esigenza quanto meno di maggiore trasparenza: «Abbiamo sollecitato il ministro della Salute a venire a fornire questi dati in modo trasparente». E anche i renziani chiedono «chiarezza». Ma la sensazione è che un pezzo della Roma politica non abbia la percezione della rabbia che sale nel Paese, davanti alla prospettiva di uno tsunami di fallimenti, chiusure e posti di lavoro destinati a saltare.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/regioni-comuni-avversari-e-alleati-tutti-contro-il-semaforo-di-speranza-2648637983.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-collera-di-sala-dura-uno-starnuto" data-post-id="2648637983" data-published-at="1604607469" data-use-pagination="False"> La collera di Sala dura uno starnuto C'è uno Speedy Gonzales del pensiero che si aggira per Milano con il monopattino truccato. È il sindaco Giuseppe Sala, che cambia idea con la velocità con cui si cambiano le mutande. In questi giorni è imprevedibile, come se ciò che esprime non fosse guidato dalla saggezza istituzionale ma dai sondaggi volanti in vista della campagna elettorale. Due giorni fa era allineato con Attilio Fontana nel respingere con forza la zona rossa in Lombardia (quindi soprattutto a Milano). E per rafforzare il concetto ripeteva ai giornalisti: «Prima voglio vedere i dati». Posizione condivisibile, visto che il ministero della Salute ha ragionato su quelli di due settimane fa. I milanesi erano confortati da questa inedita prova di solidità perché neppure se l'aspettavano da un primo cittadino che negli ultimi sei mesi si era reso visibile per la battaglia dei pennarelli durante il lockdown, per l'endorsement di Greta Thunberg sulla Milano green (a parole), per le piste ciclabili fatte disegnare a caso con la vernice gialla e per una cena al mare da Beppe Grillo. Il tuono del sindaco frou frou sembrava un segnale, un cambio di passo. Fino a mercoledì mattina quando Sala, non si sa se per smarcarsi dalla Regione o per il richiamo all'ordine del Pd di governo, ha cambiato idea: «Dobbiamo essere pronti a rispettare ogni scelta di Palazzo Chigi per il bene della città». Nessuna sorpresa, si era semplicemente riallineato. Capita a chi gioca di sponda. Poi deve essere uscito da Palazzo Marino a comprare le caramelle Ricola e si è sentito rimbrottare dal barista per l'insipienza levantina di Giuseppe Conte. Qui, il borgomastro ha preso cappello: «Sono le sei di sera, un bar milanese sta chiudendo e ancora non sa se alle sei di domattina potrà riaprire». Colpo di scena e nuovo distanziamento sociale dal governo amico, anche se solo nel metodo da tiratardi che a Milano non è mai piaciuto. Ieri mattina la rottura, pur melliflua nei consueti toni da sacrestia, è diventata totale. «Le decisioni vanno rispettate ma il sistema scelto per definire le zone gialle, arancioni e rosse è troppo complesso. Divide non solo per regioni ma anche per province. Immaginatevi quanti distinguo. Inoltre è basato sull'Rt e 21 indicatori difficilissimi da decifrare. Io avrei scelto un sistema più semplice e uniforme. A volte a complicare eccessivamente le cose non si raggiunge l'obiettivo». A volte si finisce anche per tradire il territorio e lasciare tutto lo spazio politico possibile al centrodestra, che contrastando il decreto più pazzo del mondo difende i cittadini milanesi e lombardi. Mentre ancora una volta il Pd centralista e opportunista li strangola. Sala è trasformista ma non sciocco, sa che mettersi contro la città (che dal lockdown perde 250 milioni al giorno) significa rischiare la rielezione. Il suo cambiare idea tre volte al giorno, il suo slalomeggiare fra i distinguo rischia di renderlo superficiale e salottiero, ma serve a mantenere la posizione nella trincea politica. Contro la zona rossa, a favore della zona rossa, contro il Dcpm, a favore della scuola in presenza, contro la scuola in presenza (se la legge va rispettata, anche qui ecco una giravolta). Da perfetto postdemocristiano, Sala riesce nell'impresa di essere al tempo stesso pro e contro tutto. Mentre burocrati da comitato centrale come Pierfrancesco Majorino hanno dichiarato un'ottusa guerra a tutto ciò che di lombardo si muove (perfino all'ospedale in Fiera oggi indispensabile), lui non lo farà mai. Perché il piccolo soviet ha la poltrona al caldo a Bruxelles, lui no.