2025-09-19
Un referendum sull’immigrazione. In Francia già 1,6 milioni di firme
Philippe de Villiers (Getty Images)
L’iniziativa è stata lanciata dallo scrittore cattolico ed ex eurodeputato Philippe de Villiers ed è sostenuta dalle testate del gruppo Bolloré. «Oggi è il problema principale, se non facciamo nulla addio al nostro Paese».Ennesima giornata di mobilitazione nel Paese transalpino: stavolta più partecipanti e meno scontri rispetto a quella turbolenta del 10 settembre. Gli arresti sono stati 181, i feriti 11.Lo speciale contiene due articoli.E se il mezzo per fermare l’immigrazione incontrollata fosse il più semplice e il più democratico? Un referendum, per esempio. In Francia ci stanno pensando seriamente. Artefice della proposta è Philippe de Villiers, ex deputato ed eurodeputato di estrazione cattolica e sovranista, da tempo riscopertosi saggista e opinionista di successo. Nelle scorse ore, de Villiers ha annunciato il raggiungimento di oltre un milione e mezzo di firme (per la precisione, ieri in serata erano 1.641.454) alla sua petizione online per un referendum sull’immigrazione. «È una marea che monta», ha annunciato raggiante. Sul sito (referendum-immigration.com), c’è solo lo spazio per la firma e un appello. «Siamo in un’ora», si legge, «di urgenza vitale. L’immigrazione non è più un problema tra gli altri: è la questione centrale, quella che comanda su tutte le altre. Stiamo cambiando popolazione. Stiamo cambiando modo di vita. Stiamo cambiando civiltà. Se non facciamo nulla, è la fine della Francia». Diverse personalità di spicco hanno aderito all’iniziativa: Éric Zemmour, il capo dei deputati dei Républicains, Laurent Wauquiez, il presidente del partito Debout la France, Nicolas Dupont-Aignan. Più ambigua, come spesso le accade, Marine Le Pen, che ha dato il suo plauso all’iniziativa ma dichiarando che, poiché tutti sanno come la pensa, la sua firma era inutile. Simpatetico anche il ministro degli Interni uscente, Bruno Retailleau, della destra moderata, che tuttavia non ha aderito per rispetto del ruolo istituzionale che ancora ricopre. Certo, come tutte le petizioni online, il numero dei firmatari va preso con le molle: Le Monde ha presto fatto le pulci al sistema, notando come basti inserire di volta in volta una mail diversa e ognuno possa votare quante volte vuole. Ma il fact checking, in questo caso, ha il fiato corto: nessuno può negare che il tema sia al centro delle preoccupazioni dei francesi, che non cessano di farlo sapere ai piani altri in ogni consultazione elettorale da 20 anni a questa parte. E comunque, l’iniziativa non è esattamente una provocazione estemporanea della rete. Se de Villiers ne è il volto pubblico - unitamente al referendum sta promuovendo il suo ultimo libro Populicide, che segue di un anno il suo Mémoricide, due titoli che hanno bisogno di poche spiegazioni - alle spalle della petizione c’è il gruppo Bolloré (peraltro editore, tramite Fayard, dei suddetti volumi). E anche in maniera piuttosto plateale. Quando si firma online per la petizione, spuntando l’apposita casella si aggiunge la propria mail agli archivi del Journal du dimanche e di JDNews, due testate del gruppo. L’indirizzo di Lagardère News, il gruppo mediatico controllato da Bolloré, compare nella pagina «Informativa sulla privacy» del sito web della petizione. L’operazione è stata inoltre lanciata il 7 settembre sulla prima pagina del Journal du dimanche. Su CNews e Europe 1, altri media del gruppo Bolloré, l’indirizzo del sito web viene regolarmente citato, insieme a un messaggio che incoraggia le persone a firmarlo. Perché questa multinazionale con 73.000 dipendenti e con una capitalizzazione di 15,3 miliardi si interessa tanto a certi temi? Intanto perché le tesi della destra rappresentano una nicchia di mercato, lasciata sistematicamente deserta dalla maggior parte dei media mainstream. Non è pensabile che il quadro giornalistico presente in Francia fino a qualche anno fa, con i partiti maggiormente votati dai francesi sbertucciati a reti unificate, potesse continuare. È per questa ragione che i canali del gruppo Bolloré hanno aperto in tempi non sospetti le porte a Zemmour, saggista da centinaia di miglia di copie vendute ma trattato come un appestato. Ma, si sussurra, ci sarebbe di mezzo anche l’ambizione di Vincent Bolloré di diventare il nuovo Jacques Attali. Così come quest’ultimo, banchiere e scrittore dalle idee controverse, è da tempo l’eminenza grigia dell’Eliseo, nonché il vero creatore del fenomeno Emmanuel Macron, allo stesso modo Bolloré vorrebbe ispirare la nuova Francia uscita dal terremoto sovranista. Ma è realmente realizzabile, un referendum del genere? Quel che conta, a fronte di una mobilitazione così vasta e di un consenso decisamente diffuso, è ovviamente il dato politico. Per trasformarlo in un vero quesito referendario, bisognerebbe che la formula rientrasse nei paletti segnati dall’articolo 11 della Costituzione transalpina, che prevede referendum per questioni soprattutto sociali ed economiche. Sarebbero questi gli elementi da valorizzare nell’eventuale quesito. Oppure bisognerebbe passare per l’articolo 89 della Carta, quello che norma la revisione della Costituzione medesima, ma che, come in Italia, prevede un iter particolare e maggioranze particolarmente ampie. In un Parlamento che stenta a formare un governo che duri più di pochi mesi, la strada non pare praticabile. Sia quel che sia, l’impressione è che la Francia non possa più fare finta di nulla di fronte alla questione immigrazione. E, se qualcosa va fatto, un referendum democratico non è certo l’ipotesi peggiore.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/referendum-immigrazione-in-francia-2674008352.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ancora-proteste-contro-macron" data-post-id="2674008352" data-published-at="1758235705" data-use-pagination="False"> Ancora proteste contro Macron «Più di un milione di persone». È una mobilitazione definita «un successo» nonché «un chiaro avvertimento al governo», quella che ieri ha attraversato la Francia, promossa da otto sigle sindacali unite, con in prima linea la Cfdt - acronimo di Confédération française démocratique du travail, guidata da Marylise Léon, 48 anni - la Cgt - che sta per Confédération générale du travail, guidata da Sophie Binet, 41 anni. Un grande sciopero contro il governo, appunto, e il rigore della finanziaria 2026, che prevede la bellezza di 43,8 miliardi di euro di tagli al bilancio.Nel tardo pomeriggio, il ministero dell’Interno ha parlato di oltre 500.000 persone mobilitate (506.789 il numero esatto) il che, alla luce delle stime notoriamente prudenziali delle istituzioni, indica che davvero la partecipazione è risultata molto elevata. Solo l’adesione nel comparto scolastico è risultata del 45%, con 90 scuole chiuse sono nella capitale, dove hanno chiuso i battenti anche almeno l’80% delle farmacie; poco meno di 100, invece, i blocchi stradali segnalati. Uno sciopero generale di simili dimensioni - ben più partecipato di quello del 10 settembre scorso, che vide in piazza 200.000 persone secondo il conteggio ufficiale - come c’era da aspettarsi è stato anche accompagnato da scontri.A Parigi diverse pensiline degli autobus sono state danneggiate e anche delle banche sono state attaccate, con le forze dell’ordine che, per fermare gli attacchi e impedire un’intrusione negli istituti di credito - e disperdere la folla -, sono intervenute anche attraverso l’uso di gas lacrimogeni; gas il cui utilizzo si è reso necessario pure a Lione per contenere e disperdere le proteste. Qualche momento di tensione si è però verificato un po’ in quasi tutte le 489 manifestazioni tenutesi nel Paese, con scontri segnalati anche a Nantes e Marsiglia, dove alcuni manifestanti hanno bloccato di armi dell’azienda francese Eurolinks, guadagnandosi su X il plauso di Gabrielle Cathala, deputata francese del partito di estrema sinistra La France Insoumise: «Bravi ai manifestanti che stanno bloccando la fabbrica di armi Eurolinks».Per dare qualche numero sulle conseguenze di questi scontri, i dati diffusi nel tardo pomeriggio parlavano di 181 arresti e 11 feriti - senza contare i sette tra le forze dell’ordine. Solo nella già citata Lione, secondo quanto riportato da Le Figaro, sono rimasti feriti un giornalista, un poliziotto e un manifestante. Ciò nonostante, da parte non solo dei sindacati ma anche dei vari attivisti quella di ieri è stata una giornata positiva. Nei vari cortei che hanno attraversato la Francia, si sono levati cori e cartelli contro Emmanuel Macron e il governo uscente Bayrou; numerose erano anche le bandiere palestinesi sventolate a sostegno di Gaza. La politica non era assente, ma ha giustamente preferito non intestarsi il successo di questa manifestazione, alla quale sono, al contrario, arrivate parole di apprezzamento.«Se la sinistra fosse un po' più unita come questi sindacati, sarebbe meglio», ha per esempio commentato Ian Brossat, quarantacinquenne senatore di Parigi e portavoce del Partito comunista francese, il quale ha anche aggiunto: «La mia opinione è che l’intersindacato abbia molte lezioni da insegnare alla sinistra». Staremo a vedere quali conseguenze politiche avrà questa enorme mobilitazione nel corso della quale, ieri, Jean-Luc Melenchon, capo del già citato La France Insoumise, ha chiesto al nuovo primo ministro, Sebastien Lecornu, di sottoporsi a un voto di fiducia in Parlamento.
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