2025-04-10
Gli ultimi giapponesi: le storie vere dei soldati che non deposero le armi
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Un'immagine di Hiroo Onoda al momento della resa. Nel riquadro la copertina del libro «Gli ultimi soldati dell'Imperatore» di Antonio Besana
In un saggio appena uscito, le storie sconvolgenti dei militari nipponici che continuarono a combattere a guerra finita, a volte persino per 20 o 40 anni.La figura dell’«ultimo giapponese» fa parte dell’immaginario collettivo come metafora di colui che con ostinazione conduce una battaglia solitaria per lungo tempo, anche dopo che le ostilità sono cessate. L’espressione viene dalle storie di quei soldati giapponesi che, non essendo stati ufficialmente sollevati dall’incarico dai loro superiori, continuarono a combattere gli americani per anni, anche dopo che la guerra era finita. Ma sulle storie di questi soldati irriducibili, figli dell’etica rigorosissima e formalissima che impregna il Giappone, circolano più aneddoti di terza mano che storie certe.A fare chiarezza su quel che sappiamo su questi militari allergici alla resa arriva ora il bel libro di Antonio Besana, Gli ultimi soldati dell’Imperatore. I giapponesi che non si arresero dopo il 1945 (Edizioni Ares). Si tratta del primo saggio nella nostra lingua ad affrontare l’argomento.Il contesto è quello della tragica fine dell’avventura bellica nipponica, con una resa soffertissima che comporta, tra l’altro, l’affermazione della natura non divina dell’imperatore. «Il 15 agosto 1945», ricostruisce Besana, «viene trasmesso un messaggio radio nel quale l'imperatore Hirohito, che per la prima volta parla direttamente al popolo giapponese, comunica la fine dei combattimenti. Il messaggio, tuttavia, raggiunge solo i reparti che ancora dispongono di comunicazioni radio. In molte delle isole occupate dagli americani i combattimenti con i piccoli gruppi di resistenti, che non hanno ricevuto il messaggio o che rifiutano di arrendersi, continuano per parecchie settimane. Alcuni si nascondono da soli nella giungla, altri combattono in gruppi e continuano a sferrare attacchi e condurre azioni di guerriglia. Alcuni di loro, nelle regioni più isolate e nelle isole più sperdute, combattono ancora per anni dopo la resa, ignari che la guerra è finita da tempo».Di questi soldati, solo quattro hanno lasciato memorie delle loro avventure. E solo uno di questi quattro racconti è stato tradotto in italiano. Si tratta delle memorie di Hiroo Onoda, che, nascosto nelle Filippine, depone le armi solo nel 1974, ventinove anni dopo la fine della guerra, convinto che tutti i tentativi per stanarlo con le buone fossero infidi espedienti del nemico. Il Giappone, secondo loro, non poteva arrendersi, consideravano la propria cultura ontologicamente aliena dalla sconfitta e ancor più dalla resa. Quindi, chi affermava il contrario stava sicuramente mentendo.Probabilmente, gli ultimi giapponesi a deporre le armi sono stati Shigeyuki Hashimoto e Kiyoaki Tanaka, arresisi in Malesia nel 1989, ovvero 45 anni dopo la fine delle ostilità. I due, peraltro, erano finiti laggiù come civili, operai in un’azienda nipponica. Dopo il 1945 decidono di unirsi alla guerriglia comunista contro gli inglesi. Nella mente dei due soldati, la scelta è compiuta sulla base di una sorta di strano principio di coerenza con la politica del Giappone pre 1945, che intendeva dare «l’Asia agli asiatici» (ovviamente sotto l’egida di Tokyo) e cacciare via il colonialismo europeo. Resisteranno appunto fino al 1989, ben sapendo, in questo caso, che la seconda guerra mondiale era finita da un pezzo, ma animati da un forte quanto spaesante senso di lealtà verso il popolo malese, oltre che dalla ritrosia a chiedere la resa al governo locale.Tra le tante avventure – eroiche, stranianti, ma non di rado anche bizzarre – raccontate nel libro, una delle più curiose è quella (un po’ diversa dalle altre) che riguarda Ishinosuke Uwano, dislocato sull’isola di Sachalin, contesa (tuttora) tra Russia e Giappone. Dopo la fine della guerra, l’Urss deporta in Siberia tutti i combattenti giapponesi catturati. Negli anni Cinquanta iniziano i rimpatri, ma di Uwano non c’è traccia. Non figura nelle liste dei prigionieri rilasciati né in quelle dei deceduti. Nel 2000, viene ufficialmente dichiarato deceduto. Salvo riapparire nel 2006 in… Ucraina. Pare che l’uomo si fosse arreso all’Armata Rossa, fosse stato fatto prigioniero e, dopo essere stato rilasciato, avesse deciso di rimanere in Urss, senza avvertire i familiari. Stabilitosi non lontano da Kiev, si era sposato e aveva messo su famiglia. Desideroso di rivedere la sua patria, ha dovuto ricevere un visto turistico, perché, essendo dichiarato morto, non possedeva più la residenza giapponese.
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