2025-09-11
«La Bartolozzi va trattata come i ministri»
Bagarre sul caso Almasri, il centrodestra ipotizza un ricorso alla Consulta se il destino giudiziario del capo di gabinetto di Nordio non passerà prima dal Parlamento. La Giunta responsabile: «Il generale libico liberato e rimpatriato per proteggere gli italiani».Con molta probabilità sarà la Corte costituzionale a stabilire se la Camera potrà pronunciarsi sul caso di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministero della Giustizia, indagata per false dichiarazioni nell’inchiesta sul rimpatrio del generale libico Osama Almasri. Ieri, mentre la Procura ha inviato gli atti anche alla Corte di Cassazione e al Csm, perché la Bartolozzi è un magistrato fuori ruolo, la maggioranza ha chiesto di approfondire la questione in Giunta per le autorizzazioni e, se dagli uffici arriverà un parere positivo sulla connessione con le contestazioni mosse ai ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano, la Camera potrebbe deliberare un ricorso per conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. A sollevare il tema è stato il capogruppo di Fratelli d’Italia in Giunta, Dario Iaia, che ha ipotizzato il collegamento tra i reati contestati a Bartolozzi e quelli a carico dei membri del governo. Con lui si sono schierati Lega, Forza Italia e Noi Moderati. Il dibattito si è concentrato sulla differenza giuridica tra reati «connessi» e «collegati». Nel primo caso si tratta di più reati che sono talmente legati tra loro da dover essere trattati insieme nello stesso procedimento. Nel caso di reati collegati, questi non devono necessariamente essere trattati insieme, ma possono avere un legame logico, cronologico o probatorio con quelli commessi dagli altri indagati. E nella vicenda della Bartolozzi, più che di connessione, pare che si propenda per il «collegamento». Il presidente della Giunta per le autorizzazioni Devis Dori (Alleanza Verdi e Sinistra) si orienta verso un’altra ipotesi: «A oggi la questione non esiste in questo organismo parlamentare. Se il reato per cui è indagata il capo della segreteria del ministro Nordio è esclusivamente quello di false informazioni, lo stesso sarebbe autonomo rispetto a quelli che riguardano i ministri e il sottosegretario. Quindi non sussisterebbe alcun concorso e non vi sarebbe alcun tribunale di connessione». Dori ha anche depositato una proposta di modifica di un articolo del regolamento della Camera per consentire ai deputati non membri della Giunta di accedere ai documenti trasmessi dal Tribunale dei ministri, ma solo al termine dell’esame e dopo il deposito della relazione in Aula. «Serve più trasparenza», ha sottolineato, «ma senza trasformare la Giunta in un’arena preventiva». La seduta di ieri è stata anche l’occasione per ascoltare la relazione introduttiva del deputato Pd Federico Gianassi, che ha ricostruito le giornate di gennaio in cui il governo decise la linea da seguire su Almasri. Ha letto passaggi chiave della richiesta di autorizzazione: «Nell’arco dei tre giorni, domenica 19, lunedì 20 e martedì 21 gennaio, si sono tenute riunioni di emergenza sul caso a cui hanno partecipato i vertici del governo, dei Servizi segreti e delle Forze di polizia per valutare le conseguenze dell’arresto di Almasri, le possibili ritorsioni contro il governo italiano e la gestione della cooperazione con la Corte penale internazionale». Il relatore ha sottolineato che «dall’istruttoria emerge che l’Aise aveva sottolineato il rischio di tensioni a Tripoli che avrebbero potuto sfociare in azioni ostili contro interessi italiani. Sebbene il Tribunale dei ministri evidenzi che questi interessi non siano stati palesati in modo chiaro né concreto, emerge dall’istruttoria che erano temute ritorsioni contro cittadini italiani, circa 500 presenti in Libia, che avrebbero potuto consistere in fermi illegittimi o in azioni dirette contro l’ambasciata». Il deputato dem ha poi ricostruito la scelta politica del governo: «Si sarebbe convenuto di attendere l’esito della decisione della Corte d’appello senza un intervento del ministero della Giustizia che, omettendo di intervenire, avrebbe determinato l’adozione di una decisione di scarcerazione e, all’esito di quella, di espellere poi Almasri ricorrendo al volo già predisposto prima della decisione sulla scarcerazione». E infatti proprio il ministro dell’Interno Piantedosi spiegò che «l’espulsione di Almasri» era «avvenuta per ragioni di sicurezza nazionale». Il mandato di cattura della Corte penale internazionale delinea un quadro drammatico: Almasri è indicato come leader della milizia denominata Rada, responsabile di «crimini contro l’umanità e crimini di guerra». «Nella prigione di Mitiga», si legge nella relazione, «migliaia di detenuti sono stati sottoposti a torture, percosse, scariche elettriche, detenzione in celle sovraffollate e non ventilate». Secondo la Corte penale internazionale, Almasri avrebbe ordinato personalmente le punizioni e punito le guardie che mostravano compassione. La partita ora si sposta sul terreno istituzionale: se il conflitto di attribuzione sarà sollevato, la Consulta dovrà stabilire se la Camera aveva il diritto di pronunciarsi anche sulla posizione di Bartolozzi. La Corte non entrerà nel merito delle accuse, ma deciderà solo sulla competenza e sulle prerogative. La decisione finale spetterà comunque alla Giunta per le autorizzazioni e all’Aula di Montecitorio, che continueranno i lavori anche mentre la questione sarà pendente davanti alla Corte.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».