2025-12-04
Ramy, «calderone» della Procura. Ora sono sette i carabinieri indagati
L’accusa di omicidio stradale traballa, l’inchiesta s’allarga. «Totale disgusto» dell’Arma.La Procura di Milano allarga l’inchiesta sulla morte di Ramy Elgaml mentre l’accusa originaria di omicidio stradale a carico del carabiniere Antonio Lenoci appare sempre più fragile, tanto che ormai la sensazione è di un’indagine che, venuto meno l’impianto iniziale, si stia spostando verso un «calderone» di contestazioni successive al fatto. Resta centrale una domanda: perché contestare solo oggi presunte irregolarità nei verbali del 24 novembre 2024, atti che la Procura aveva sin dall’inizio e che diventano problematici soltanto nel 2025? Il sospetto è che, indebolita l’ipotesi di omicidio stradale, si stia cercando un nuovo terreno per sostenere il fascicolo.Nella nuova chiusura indagini l’inchiesta si amplia, infatti, a sette militari, con accuse che vanno dalla distruzione di file video alla mancata consegna di registrazioni di bordo, fino a omissioni nei verbali e presunte pressioni su un testimone. A Lenoci viene, inoltre, contestato di avere reso dichiarazioni ritenute «non pienamente aderenti ai supporti successivamente acquisiti». Contestazioni che arrivano più di un anno dopo l’incidente.Sul fronte tecnico, le perizie già agli atti riducono la possibilità di attribuire a Lenoci un ruolo causale nello schianto. La relazione dell’ingegnere Domenico Romaniello, nominato dalla stessa Procura, conclude che la condotta del militare fu «conforme alle procedure previste nei casi di inseguimento di veicoli». Anche le perizie delle parti civili e della difesa, pur divergendo su dettagli come la distanza esatta tra i mezzi o il punto della frenata, non individuano responsabilità della pattuglia nella perdita di controllo del T-Max. Tutte concordano sul punto decisivo: fu l’improvvisa sterzata a sinistra di Fares Bouzidi, a velocità elevata su un tratto con rotaie, a determinare la caduta.È anche per questo che il gip Maria Idria Gurgo di Castelmenardo ha respinto due volte la richiesta della Procura di una nuova perizia cinematica, parlando di consulenze «ampie, condotte con rigoroso metodo scientifico» e ritenendo che non servano altri accertamenti. Una valutazione che si inserisce nel solco della Cassazione del 2025, secondo cui, nei casi di fuga dopo l’alt, la responsabilità dei danni ricade su chi scappa, non sugli agenti che tentano di fermarlo. In parallelo pesa la sentenza del gip Fabrizio Filice, che ha condannato Bouzidi a due anni e otto mesi per resistenza a pubblico ufficiale. In quelle motivazioni, la fuga viene definita «totalmente illegittima» e lo schianto attribuito unicamente alla manovra improvvisa del giovane, sotto effetto di sostanze stupefacenti, privo di patente e alla guida di uno scooter modificato. Nessuna manovra scorretta da parte dei carabinieri, nessun contatto decisivo con le pattuglie, soccorso immediato una volta giunti sul posto.Proprio mentre questo quadro tecnico-giudiziario si consolida, la Procura introduce nella nuova chiusura indagini una fitta serie di contestazioni relative alle ore successive allo schianto: a Luigi Paternuosto, Nicola Ignazio Zuddas, Bruno Zannotto, Federico Botteghin e Ilario Castello vengono attribuite distruzione di file video, mancata consegna di registrazioni, omissioni di riferimento a dashcam e bodycam, «lacune descrittive» nelle relazioni e presunte pressioni su un testimone. Gli accertamenti tecnici farebbero emergere cancellazioni mirate su un Samsung Z-Flip e un iPhone 15 Pro. Ma è proprio su questo punto che ieri è intervenuto l’avvocato Pietro Porciani, difensore di uno dei carabinieri indagati: «Abbiamo già dimostrato come la persona che accusa i due militari di avergli fatto cancellare il video dell’incidente, al momento dell’impatto si trovasse a 290 metri dal luogo dello schianto». Un elemento che, secondo la difesa, ridimensiona profondamente la portata della contestazione.Tra le fila dell’Arma, l’allargamento dell’inchiesta è stato accolto con «totale disgusto». La percezione è che si cerchino nuove ipotesi per compensare la debolezza dell’impianto iniziale. Intanto una raccolta fondi su GoFundMe per sostenere Lenoci ha raggiunto 50.616 euro.