2025-01-11
Caso Ramy, l’unico reato certo è quello di chi guidava lo scooter
I media puntano il dito contro la «gazzella» e chiudono un occhio sulla condotta di Fares Bouzidi, giustamente indagato dalla Procura. La fuga davanti all’alt costituisce resistenza a pubblico ufficiale.Pietro Dubolino, Presidente di sezione emerito della Corte di CassazioneUna persona di normale intelligenza e cultura, ma priva di specifiche conoscenze giuridiche, che avesse seguito le cronache e i commenti offerti dal «mainstream» del sistema mediatico sulla nota, disgraziata vicenda del giovane egiziano Ramy Elgaml, morto a Milano, nella notte del 24 novembre 2024, durante un inseguimento da parte dei carabinieri del motociclo condotto dal suo connazionale Fares Bouzidi, potrebbe facilmente essersi fatta l’idea che un’eventuale responsabilità penale fosse configurabile solo a carico dell’equipaggio della «gazzella» inseguitrice, nell’ipotesi che avesse determinato la collisione con il motociclo. Risulta, infatti, lasciata pressoché totalmente in ombra dalla maggior parte degli organi d’informazione quella che è, invece, la sicura responsabilità penale del conducente del motociclo (peraltro anch’egli formalmente - e giustamente - indagato dalla Procura della Repubblica), derivante dal fatto che lo stesso, dopo essersi reso inottemperante all’alt che gli era stato intimato dai carabinieri - i quali perciò, con piena ragione, si erano posti al suo inseguimento - aveva cercato di «seminarli» procedendo a elevatissima velocità e ponendo in essere irregolari e azzardate manovre per impedire loro di raggiungerlo e fermarlo. Va puntualizzato che questa condotta era tale da costituire, senza alcun dubbio, il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale, alla luce di un pacifico e consolidato insegnamento della Corte di Cassazione, quale espresso, da ultimo, con la sentenza n. 44860 del 2019, secondo cui: «Integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale la condotta di colui che, per sottrarsi alle forze di polizia, non si limiti alla fuga alla guida di un’autovettura, ma proceda a una serie di manovre finalizzate a impedire l’inseguimento, così ostacolando concretamente l’esercizio della funzione pubblica e inducendo negli inseguitori una percezione di pericolo per la propria incolumità». Ciò comporta che, anche se la caduta al suolo e la conseguente morte di Ramy fossero state prodotte dall’urto della «gazzella» con il motociclo, non per questo la responsabilità penale del conducente di quest’ultimo potrebbe essere esclusa o anche solo attenuata, dal momento che l’evento mortale non avrebbe potuto comunque verificarsi se, a renderlo possibile (oltre che astrattamente prevedibile), non vi fosse stata, a monte, la condotta illecita integratrice, come si è detto, del reato di resistenza a pubblico ufficiale. Il soggetto resosi responsabile di tale reato deve quindi rispondere penalmente, a titolo di colpa aggravata, anche di quell’evento, in base alla chiara regola dettata dall’art. 586 del codice penale proprio per i casi di morte o lesioni personali costituenti conseguenza non voluta di un qualsiasi delitto doloso quale è, appunto, nel caso in questione, quello di cui al citato art. 337 del codice penale. A tale responsabilità potrebbe, quindi, tutt’al più aggiungersi, a diverso titolo di colpa, quella dei carabinieri che hanno effettuato l’inseguimento, ma solo se risultasse positivamente dimostrato che esso fosse stato intrapreso e condotto in violazione di direttive superiori o con modalità da esse vietate ovvero tali da rivelare imperizia o violazione di regole di comune prudenza e diligenza; queste ultime, peraltro, da rapportarsi alla specificità del caso. Nessuna, però, di tali ipotesi, per quanto è dato sapere, può dirsi, allo stato, corroborata dal benché minimo elemento di prova. Non risulta, infatti, l’esistenza di direttive di sorta che, in casi come quello in discorso, vietassero o sottoponessero a determinate regole, di cui si potesse, nella specie, riscontrare l’inosservanza, l’effettuazione dell’inseguimento. Quest’ultimo, d’altra parte, era tanto più legittimo e, anzi, doveroso, in quanto la pervicacia mostrata dal motociclista nel cercare di sfuggire, con una condotta di guida gravemente pericolosa per sé e per gli altri, all’identificazione e al controllo da parte delle forze dell’ordine ben poteva far ragionevolmente sospettare che si fosse reso responsabile di un qualche grave reato, ivi compreso, in ipotesi, quello di furto dello stesso motociclo da lui condotto. E in tal caso di nessuna utilità sarebbe stata, evidentemente, la sola rilevazione del numero di targa. Dovendosi quindi in ogni modo bloccare la fuga del motociclista, senza ricorrere all’uso delle armi, è evidente che altro non poteva farsi se non affiancarlo e cercare di tagliargli la strada. Il che comportava la necessaria accettazione del rischio che da ciò derivasse un impatto con il veicolo inseguitore, con conseguenze che, peraltro, avrebbero potuto essere lesive anche per gli occupanti di quest’ultimo, oltre che per il conducente e il passeggero del motociclo. E che questa fosse appunto la manovra che si tentava di effettuare da parte dei carabinieri sembra confermato proprio dalle registrazioni ampiamente pubblicizzate dalla stampa, nella parte in cui si sente uno degli operanti, presumibilmente rivolto al conducente della «gazzella», pronunciare le parole: «Chiudilo, chiudilo». Con ciò si è detto tutto quanto, nell’essenziale, rileva ai fini dell’attribuzione delle responsabilità per l’evento mortale che - si ripete - appaiono accertate, allo stato, solo ed esclusivamente nei confronti del conducente del motociclo, del quale, però, nessuno sembra ricordarsi, a cominciare dai familiari del morto, le cui pubbliche recriminazioni risultano rivolte unicamente nei confronti dei carabinieri. Sul che qualcosa si potrebbe osservare, ma, per ragioni di buon gusto, è meglio astenersene. Tutto il resto, ivi compreso quello che potrebbe rivelarsi come uno stupido e maldestro tentativo da parte dei carabinieri, di negare - qualora vi fosse effettivamente stato - l’impatto tra la «gazzella» e il motociclo, può rilevare, eventualmente, solo a tutt’altri fini, per cui del tutto ingiustificata e strumentale è da ritenersi l’enfatizzazione mediatica che, per chiare finalità politico-ideologiche, se ne è voluta fare.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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