2023-02-12
Dopo i raid a raffica Zelensky s’aggrappa a Ue e alta finanza
Mosca martella l’Ucraina e intima: «Negoziati senza condizioni». Dmitri Medvedev minaccia l’Europa, Kiev rilancia: «Noi nella Nato».Terremoto: uccisa dal sisma una famiglia di origini siriane, resta introvabile l’imprenditore veneto. Le vittime salgono a 26.000, 5 milioni gli sfollati. Partiti gli aiuti del Gruppo San Donato.Lo speciale contiene due articoli.L’Ucraina ipotizza un futuro nella Nato e nell’Ue entro due anni. La situazione sul campo - in cui Mosca mantiene stabilmente i territori conquistati - fa immaginare però che la guerra possa durare ben oltre il periodo di tempo che Volodymyr Zelensky ritiene sufficiente a realizzare il suo sogno europeo. Il presidente ucraino, incoraggiato probabilmente dalla sua intelligence, che ha valutato che la Russia non abbia le risorse per lanciare un’offensiva su larga scala intorno al 24 febbraio, ha fatto la parte del leone durante il summit sugli investimenti organizzato da Jp Morgan. «L’Ucraina sarà in grado di diventare un membro a pieno titolo dell’Unione europea tra due anni e dopo la vittoria contro la Russia entrerà a far parte della Nato», ha dichiarato Zelensky. Il presidente ha sostenuto di aver bisogno solo della garanzia di sicurezza rappresentata dall’adesione alla Nato. La Russia prova invece a rilanciare l’idea del dialogo, ma partendo dalla situazione sul campo: ribadisce infatti la disponibilità a colloqui con Kiev purché basati sulla realtà esistente e, dunque, senza precondizioni. Mosca controlla infatti i territori occupati ed è in vantaggio nel Donbass, mentre Kiev tenta di mantenere i suoi ultimi baluardi a Est. Prima che le strade verso Sud e dunque verso il corridoio con la Crimea, ma anche quella verso l’interno dell’Ucraina, vengano tagliate per sempre, l’Ucraina tenta il tutto per tutto nelle battaglie per Bakhmut e Vulhedar e in quella per Kramatorsk. Le due cittadine del Donbass sono emblematiche di una situazione in cui, se nessuno dei contendenti dovesse prevalere al più presto, le ostilità potrebbero durare a lungo, con la linea del fronte destinata a spostarsi troppo poco nel breve periodo. Mosca, secondo il capo del gruppo mercenario russo Wagner, Yevgeny Prigozhin, potrebbe impiegare due anni a controllare completamente le regioni di Donetsk e Lugansk ma, come si sa, la Federazione non ha fretta. Per questo, il vice ministro degli Esteri russo, Sergey Vershinin, ha ricordato che «qualsiasi ostilità finisce con colloqui» ma che questi devono avvenire «senza precondizioni». Kiev però legge la clausola come «una prova del fatto che i negoziati sono fuori discussione». Lo stesso Vershinin snobba però la risposta ucraina, poiché convinto che «la decisione sui negoziati viene presa da Washington e Bruxelles», e si augura che «il presidente Usa e il suo entourage mostrino discrezione e saggezza». Il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak, ribadisce invece che «solo la vittoria ucraina» potrà essere risolutiva. Nel dibattito si inserisce a gamba tesa il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev, predicendo la «totale scomparsa» dell’Europa e attribuendone la responsabilità agli Usa. Medvedev paragona gli Stati Uniti al «toro» del mito greco su Zeus. «Oggi il ruolo del toro», l’animale in cui si era trasformato il re dell’Olimpo per rapire la giovane Europa, «viene interpretato dall’arrogante America al cui servizio, con la bocca aperta dalla lussuria, ci sono i Paesi traditori degli interessi europei come la Polonia e i Baltici». Proprio la Polonia, tra i più stretti alleati e principali fornitori di armi pesanti a Kiev, ha a sorpresa messo in dubbio la possibilità di inviare anche gli aerei da combattimento, almeno nel breve termine. L’ex leader del Cremlino Medvedev ha continuato con le critiche al tour del presidente Zelensky nel Vecchio continente, accusandolo di pensare alle «fotografie con i capi europei, mentre centinaia di ucraini mobilitati muoiono ogni giorno, spinti con la forza a proteggere gli interessi della cricca nazista al potere». Che sul campo continui la mattanza è una cruda evidenza. Ieri le truppe russe, che secondo alcuni «osservatori» dovevano aver già finito missili e armi di artiglieria, hanno bombardato la regione meridionale di Kherson più di 60 volte. Tre civili hanno riportato «ferite di vari gradi di gravità». Nella città di Kherson è stata colpita la ferrovia. Il massiccio attacco russo con missili e droni ha preso di mira le infrastrutture energetiche «che assicurano il funzionamento di imprese del complesso militare-industriale e del sistema di trasporto dell’Ucraina». Come ha spiegato il ministero della Difesa di Mosca, i raid hanno «bloccato il trasferimento di armi e munizioni nelle aree di combattimento attraverso la ferrovia». Come si diceva, una delle città nel mirino di entrambi gli schieramenti è Vulhedar. Ieri l’assalto di Mosca alla città è fallito, dunque i blogger russi a favore della guerra si sono scagliati contro i comandanti dell’esercito della Federazione dopo le immagini, diffuse da Kiev, in cui si vedono tank russi distrutti e soldati in fuga. Secondo l’Institute for the Study of War (Isw), le immagini mostrano «tattiche disfunzionali» da parte dei soldati russi che sono indicative dello scarso addestramento delle truppe mobilitate, più che dello scarso livello del comando. Aerei russi Su-24 Ms hanno invece sganciato quattro bombe sull’Isola dei Serpenti, catturata un anno fa dai russi e poi riconquistata dagli ucraini. Tre missili anti nave Onyx sono stati lanciati dalla Crimea verso la costa ucraina. Non vi sono morti o feriti. Morti ci sono stati in territorio russo a seguito dei bombardamenti ucraini. Una persona è rimasta uccisa nel villaggio di Guevo, nella regione russa di Kursk, al confine. Bombardata anche la città russa di Shebekino, nella regione di Belgorod. Altri proiettili hanno colpito il villaggio di Murom, nel distretto di Shebekinsky.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/raid-raffica-zelensky-aggrappa-ue-2659403831.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="morti-i-6-italiani-dispersi-in-turchia" data-post-id="2659403831" data-published-at="1676143462" data-use-pagination="False"> Morti i 6 italiani dispersi in Turchia Si aggrava il bilancio del terremoto che lunedì 6 febbraio ha colpito la Turchia e la Siria. L’Usgs, il sito americano sul rischio sismico, aveva ipotizzato inizialmente un numero di morti compreso tra i 1000 e i 10.000. Ora siamo a oltre 26.000. C’è bisogno di cibo, acqua, pasti caldi, coperte. Almeno, ieri, dall’aeroporto di Pisa sono partiti gli aiuti umanitari del Gruppo San Donato: quattro ambulanze, medicinali, dispositivi medici e vestiario. Intanto, si continua a scavare in mezzo ai palazzi sbriciolati. L’Unhcr parla di oltre cinque milioni di sfollati. Persone senza una casa, cadaveri senza nome, orfani rimasti senza padre, madre; genitori rimasti senza figli. Intere famiglie spazzate via dalla furia della natura. «C’è ancora il mondo?», ha chiesto una donna, Menekse Tabak, 70 anni, mentre veniva tratta in salvo nella città della Turchia meridionale di Kahramanmaras, epicentro della scossa. Lei è rimasta 122 ore sotto le macerie. Anche una bimba di 18 mesi è stata estratta viva dopo 56 ore assieme alla sua mamma. O Sengul di appena 4 anni, salvata dopo 132 ore dai soccorritori nella città di Islahiye. Anche una bimba di 6 anni, Selin e la madre sono state estratte dopo 134 ore. Un’infinità nell’epicentro del terrore. Da tutto il mondo arrivano squadre di medici, soccorritori, vigili del fuoco, infermieri. Chi non è morto sepolto dalla sua stessa casa, è morto di freddo. E infatti il numero delle vittime continua a salire. Secondo un coordinatore dei soccorsi di emergenza il bilancio è destinato a «più che raddoppiare». Nella conta di questa roulette maledetta c’è anche una famiglia italiana di origine siriana. Sei persone, tre adulti e tre minori che risultavano disperse ad Antiochia. A riferirlo è stato il ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani. Nessuna notizia invece per l’imprenditore veneto, Angelo Zen, disperso a Kahramanmara. La Farnesina continua a inviare aiuti e il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite, Stéphane Dujarric, ha fatto sapere alla Bbc che i negoziati per l’accesso ad aree più ampie della Siria per la consegna di aiuti umanitari proseguono. In partenza anche il secondo team dei vigili del fuoco italiani. Sono 48 soccorritori Usar (Urban search and rescue) provenienti dalle regioni di Lazio, Toscana, Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Veneto. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan parla di un’area di 500 chilometri quadrati completamente andata distrutta. Il capo degli aiuti internazionali delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, definisce la catastrofe «il peggior disastro degli ultimi 100 anni nella regione». Un valico di frontiera tra la Turchia e l’Armenia, chiuso da 35 anni, è stato aperto per la prima volta per far passare gli aiuti. Erdogan, finito nel mirino perché accusato di ritardi nei soccorsi, se la prende con i social. Decine di persone sono state arrestate per aver scritto post polemici contro il governo. E 48 persone sono state messe in manette per sciacallaggio. «Dai social media vengono diffuse notizie false e prive di fondamento, che creano caos e aizzano il nostro Paese in un momento difficile», ha detto il sultano. «Da questa situazione verremo fuori come nazione».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
Continua a leggereRiduci