
L’offensiva di Tripoli contro i trafficanti di esseri umani riaccende la tensione. E una risposta del governo rivale filorusso può portare alla guerra civile. Un incubo per l’Europa, che subisce pure l’iniziativa turca.Torna a salire la tensione in Libia. Giovedì il governo di Tripoli, guidato dal premier, Abdelhamid Dbeibah, ha ordinato alcuni raid per colpire contrabbandieri e trafficanti di esseri umani nella città di Zawiya in Tripolitania. «Il ministero della Difesa riferisce che questa mattina la nostra aviazione nazionale ha effettuato attacchi aerei accurati e mirati contro i nascondigli di bande di contrabbando di carburante, traffico di droga e tratta di esseri umani nella regione della costa occidentale e, per grazia di Dio, sono stati attacchi riusciti che hanno raggiunto gli obiettivi desiderati», recitava una nota del ministero della Difesa di Tripoli. In particolare, i raid sarebbero stati condotti attraverso droni turchi Bayraktar Tb2.Non solo. Secondo quanto riferito da Libya Observer, gli attacchi si sarebbero concentrati «su posizioni paramilitari affiliate al governo designato dalla Camera dei rappresentanti». Non a caso, i raid sono stati condannati dal primo ministro dell’Est, Osama Hammad. Stando a quanto riportato da Agenzia Nova, quest’ultimo ha detto che il suo governo «ha seguito con preoccupazione e rammarico gli eventi in corso nella città di Zawiya e dintorni, inclusi scontri armati, attacchi di droni e il bombardamento di alcune strutture pubbliche che hanno portato il panico tra la popolazione pacifica». Ha inoltre aggiunto che «l’uso sproporzionato della forza potrebbe scatenare una guerra tra le componenti della regione, ostacolare gli sforzi di riconciliazione nazionale e alimentare la divisione e la discordia». Ricordiamo, per inciso, che Hammad si è insediato pochi giorni fa per sostituire temporaneamente Fathi Bashagha, finito sotto indagine con l’accusa di aver sperperato denaro pubblico. Più in generale, va tenuto presente che da oltre un anno la Libia è divisa tra due governi rivali: quello occidentale, riconosciuto dalle Nazioni Unite e spalleggiato da Ankara; e quello orientale, più vicino alla Russia e appoggiato - pur con qualche ambiguità - dal generale Khalifa Haftar. Non va d’altronde trascurato che, secondo la Cnn, il Wagner Group avrebbero usato basi militari dell’uomo forte della Cirenaica per rifornire di armamenti i paramilitari delle Rsf in Sudan (a loro volta storicamente legate ai mercenari russi). Ora, quanto accaduto offre vari spunti di riflessione. Innanzitutto sta tornando a crescere la tensione tra i due governi rivali libici: il rischio quindi che il Paese nordafricano possa scivolare in una nuova guerra civile è tutt’altro che remoto. Uno scenario da incubo non solo per considerazioni di carattere umanitario, ma anche perché un simile quadro avrebbe delle ripercussioni perniciose per l’Ue e, in particolare, per l’Italia: si pensi al problema dei flussi migratori e dell’approvvigionamento energetico. Un secondo elemento da considerare è che, pur essendo controversa, l’operazione militare del governo di Tripoli sembra essere andata nei fatti a favore degli interessi europei. Come abbiamo visto, l’esecutivo di Dbeibah ha dichiarato di aver preso di mira contrabbandieri di carburante e trafficanti di esseri umani: tutto questo, in una città - Zawiya - che è un crocevia migratorio, oltre che un significativo snodo per l’export di petrolio. Un’operazione che, come detto, è avvenuta attraverso tecnologia militare turca. Ebbene questa situazione pone una questione di non poco conto, che Bruxelles dovrebbe decidersi ad affrontare con urgenza. Purtroppo non sembra che finora l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, si sia occupato granché di Libia. E invece dovrebbe farlo perché, come detto, quel Paese è strategico per l’intera Unione europea: sia per quanto riguarda il tema migratorio sia in riferimento al dossier energetico. Il rischio infatti è quello di lasciare completamente campo libero alla Turchia oppure quello di abbandonare il Paese nuovamente al caos (con tutto quello che ne conseguirebbe). Tanto più che incombono ulteriori incognite. Da una parte, non è chiaro se un’eventuale sconfitta elettorale di Recep Tayyip Erdogan domenica possa portare a un minor coinvolgimento di Ankara in Libia. Dall’altra, pare che gli attriti tra Haftar e Bashagha a Est stiano aumentando. Senza contare che, a causa della crisi ucraina, il Wagner Group si sta indebolendo: il che potrebbe azzoppare l’influenza russa su Bengasi. Ecco: in una situazione tanto delicata, la scarsa consistenza di Borrell sul dossier libico è semplicemente inaccettabile. Da che parte sta? Che cosa intende fare? Bruxelles dovrebbe finalmente affrontare questo nodo attraverso un approccio geopolitico, facendo di tutto per compattare gli Stati dell’Ue sulla questione. Il governo Meloni ha avuto l’indiscusso merito di capire l’importanza della Libia sin da subito. E, proprio per questo, ha rafforzato i rapporti con l’esecutivo di Dbeibah a gennaio (soprattutto sul versante energetico), non rinunciando a un intelligente gioco di sponda con gli Stati Uniti. Lo stesso Dbeibah è atteso in Italia a giugno, mentre una squadra di forze speciali affiliate al suo governo si addestrerà nel nostro Paese.Bruxelles dovrebbe quindi sbrigarsi a seguire l’esempio di Roma. La Libia va stabilizzata in fretta. Un obiettivo questo che non si raggiunge però a parole e con i summit. Si raggiunge, semmai, con accordi pragmatici e soprattutto inserendosi nella complicata partita delle influenze internazionali. Chissà se l’Ue finalmente lo capirà o se rimarrà paralizzata, ancora una volta, dagli egoismi di parte e dai veti incrociati.
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