2025-07-21
Radical chicco
Lo «specialty coffee» si presenta come l’alternativa artigianale di altissima qualità alla produzione industriale di massa. Ma è anche un’operazione di marketing (e un po’ snob) per venderci a caro prezzo una pratica che i nostri nonni conoscevano già, quando tostavano e macinavano da sé i grani.Il termine specialty coffee, che in Italia si usa in inglese, ma tradurremmo come caffè speciale, è stato usato per la prima volta nel 1974 da Erna Knutsen in un numero di Tea & Coffee Trade Journal per descrivere chicchi di caffè di sapore e aroma migliore rispetto a quelli normali, prodotti in ambienti dai microclimi speciali, selezionati e lavorati al bar in modo da esaltarne e replicare l’unicità della materia prima. In sostanza, lo specialty vuol essere il caffè di alta qualità, il miglior caffè che si può bere in un mondo che beve moltissimo caffè di produzione più veloce, industriale anziché artigianale, perché di standard notevolmente superiore alla media sia in termini di materia prima, sia in termini di preparazione. Per la Specialty Coffee Association (nota con acronimo Sca, è l’unione della Specialty Coffee Association of American (Scaa) e Europe (Scae) è un caffè verde di altissima qualità, tostato in modo da esprimerne al meglio il potenziale aromatico e gustativo e poi preparato (tostato ed estratto in tazza) secondo standard ben precisi. Si tratta quindi di un caffè di cui il bevitore può conoscere le origini (non la nazione, l’azienda e il terreno di coltivazione), la varietà botanica, la tostatura e la preparazione del barista fa sì che il caffè giunga in tazza esaltando e rispettando tutte queste precedenti caratteristiche di più alta qualità possibile. Nel mondo specialty, il barista non «fa» il caffè: lo «estrae» in tazzina. Il tostatore, nel mondo specialty coffee, ha sostituito quella che un tempo chiamavamo torrefazione ed è una specie di sacerdote alchimista che decide gusto e aroma dei chicchi gestendo la tostatura in virtù della sua preparazione su fisica e chimica della materia in questione. Per questa prassi ormai diffusa di acquisire supinamente termini inglesi internazionali invece di tradurli, il tostatore o torrefattore ora si chiama roaster. Idem il barista. Sta a lui estrarre tanto pregio nella sua forma finale, la tazza, perché sia degustato. Il caffè specialty, poi, ha un punteggio certificato secondo protocollo Sca. Si cataloga un caffè verde come «specialty» se esso ottiene un punteggio di almeno 80 punti nella scheda di valutazione prevista dal protocollo di cupping (l’assaggio, con metodo alla brasiliana). Un caffè con punteggio da 90 a 100 è valutato eccezionale, da 85 a 89,99 è valutato eccellente, da 80 a 84,99 è valutato molto buono. Per quanto concerne l’offerta del caffè, ci possiamo trovare davanti a un blend, la miscela di caffè che può essere di sola arabica oppure di arabica e robusta. Oppure al monorigine, il caffè di un’unica specie, dunque o arabica o robusta, che - attenzione - proviene da un’area precisa intesa come singola piantagione o singola area magari coltivata dalla cooperativa di piccoli produttori. A fare la differenza non è la nazione, dunque, ma l’area - circoscritta e riconoscibile - di terreno di coltivazione che in base alle sue caratteristiche, altitudine compresa, connota il caffè. Il monorigine non è mescolato con altre varietà e nemmeno con altre origini areali: il monorigine arabica etiope della coffee farm X è diverso dal monorigine arabica etiope della coffee farm Y come dal monorigine arabica brasiliano della coffee farm Z. Quando dunque leggete «100% arabica», vi trovate di fronte a caffè specie arabica che può provenire da diversi terreni, diverse coffee farm e diversi continenti. Nessuna monorigine. Per monorigine dobbiamo quindi intendere origine da un’unica piantagione (ovviamente della stessa varietà). Si coltiva caffè tra i tropici del Cancro e del Capricorno, dove c’è un clima adatto a questa coltura: quindi fascia centro sud dell’Africa, dell’America e dell’Asia. Fin qui, la situazione pre specialty. Ora, c’è anche lo specialty. Lo specialty coffee nasce come un monorigine arabica che, per di più, ha ottenuto il punteggio minimo di 80 su 100. E che, in mano al torrefattore e al barista, sarà trattato con la stessa aspirazione di massima qualità che ha guidato il coltivatore e l’importatore, per mantenere intatta la sua identità originaria, appunto. Le varietà di caffè che principalmente beviamo sono due, l’arabica e la robusta. L’arbusto del caffè appartiene al genere Coffea, famiglia Rubiacee. Il genere Coffea annovera oltre 100 specie, ma generalmente noi consumiamo due specie (anche chiamate varietà), l’arabica e la robusta, che botanicamente sono, rispettivamente, la Coffea arabica e la Coffea canephora. Un appunto che molti facevano al movimento specialty coffee è quello di giudicare soltanto l’arabica, quando in realtà il mondo consuma più arabica, sì, ma anche un’enorme quota di robusta (il rapporto è più o meno 60 e 40). La robusta ha alcune caratteristiche organolettiche che per la classificazione Sca sarebbero difetti ovvero un gusto più amaro (perché contiene più caffeina), bassa acidità, alta astringenza. Di conseguenza, il Coffee Quality Institute ha diviso la Canephora in tre livelli: Fine Robusta, Premium Robusta e Commercial Robusta, giudicati secondo i criteri Sca per l’arabica. Il Fine Robusta ha un punteggio superiore ad 80 punti, ed è la migliore robusta. Oggi troviamo specialty coffee arabica o fine. Avreste mai pensato che si potesse creare un tale movimento nell’ambito del caffè? Alla fine, non è molto differente da quanto facciamo già col vino e con l’olio di oliva, per esempio. Ma ciò che suona nuovo rispetto ad altri settori come quelli appena citati è questa autonarrazione militante del movimento specialty coffee, in Italia, come «rivoluzionario» e intento nella «missione» di insegnare all’italiano come bere il caffè. Se ci pensiamo, è già avvenuto con la panificazione. Noi diciamo «il caffè», ma il caffè è un universo e oggi, dopo l’epifania specialty, è principalmente diviso in due grandi settori. Il caffè industriale, il caffè artigianale. Per il bevitore o il produttore/lavoratore di specialty coffee, il caffè industriale è la morte, la tostatura industriale delle miscele l’inferno, le stesse miscele sono l’orrore e l’unica salvezza possibile è comprare e degustare, attenzione, non bere, specialty coffee come se fosse ambrosia: per proprietà transitiva, chi lo beve (scusate, degusta) finalmente illuminato da costoro sulla via del caffè, può diventare un dio del buon gusto, non più un servo del cattivo gusto. Ci sentiamo in dovere di esaminare questa narrazione. Le cose sono molto diverse. I nostri nonni, che acquistavano il caffè in grani, che lo tostavano da sé, che lo macinavano lentamente, col macinino manuale, in un certo senso bevevano specialty coffee ancora prima che esso venisse concepito. Il padellino per tostare il caffè era uno strumento presente in tutte le case, idem il macinacaffè a manovella. Il movimento specialty è una specie di rifiuto dell’industrializzazione che tra le guerre e i giorni nostri ha semplicemente trasformato una produzione prima artigianale in una su larga scala e industrializzata. Ma non sempre e non per forza l’industria deve essere vista come ripugnanza e l’artigianale come il paradiso in terra. Industria vuol dire anche cibo e prezzo dello stesso accessibili a tutti. Specifichiamo, infatti, che di solito l’artigianale costa più dell’industriale e poi giunge a costi spropositati una volta che questi guru e militanti foodie che vogliono «rieducare» il consumatore ci mettono le mani sopra: da pane e pizza al caffè, appunto, ogni volta che su un prodotto giungono i sedicenti Gesù di matrice foodie/gourmet arriva anche la lievitazione dei prezzi. Il primo miracolo che compiono è quello, la moltiplicazione del prezzo. E a volte, diciamoci la verità, è l’unico. I nostri nonni tostavano abitualmente il caffè in casa, dicevamo, con una specie di padellino con coperchio per introdurre i chicchi e una paletta attaccata a un pomello che si impugnava per girare i chicchi durante la tostatura perché fosse omogenea. Tutto ciò che è divenuto industriale nasce come artigianale e ancor prima casalingo, dunque non cadiamo nell’errore di scambiare per innovazioni dei ritorni al passato senza nemmeno la semplicità e il basso costo del passato, però, e ribelliamoci allo stereotipo foodie/gourmet della massa brutta, sporca e cattiva che non capisce niente. Anche se questa massa tale fosse, la tostatura virtuosa e artigianale anzi addirittura casalinga del caffè appartiene al suo passato, alla sua storia. Mia nonna tostava i chicchi di caffè col suo padellino, che attualmente fa parte del mio corredo casalingo, e non mi sottoponeva alla predica foodie sulla colpa di apprezzare le miscele industriali, colpa che andrebbe disprezzata e rieducata. Rieducata, poi, ribadiamolo, un po’ come in quella istruttiva canzone dei Pink Floyd, Money, a ritmo di suono di registratore di cassa. Una tazzina di specialty costa circa 4 euro e se chiedo di averlo lungo, macchiato, zuccherato (sì, lo servono pure senza zucchero…) rischio anche il linciaggio perché ho osato trattare il caffè come un oggetto a mia disposizione. Ma fuori dalla caffetteria specialty con 4 euro compro una confezione di caffè e me lo preparo a casa mia, come mi pare, almeno 50 volte. Insomma, qui non si vuole minimizzare il lavoro sulla qualità svolto dal movimento specialty, ma nemmeno si può disintegrare un sistema accusandolo di ogni nefandezza, né attaccare una massa che non cerca caffè di estrema qualità, ma semplice caffè e ha tutto il diritto di farlo. L’industria del caffè, poi, ha reagito all’«offensiva» specialty coffee… «specialtizzando» il suo caffè. Da qualche tempo, infatti, sulle confezioni del caffè macinato, come in grani, che troviamo nei supermercati, è comparsa l’indicazione della scala di intensità della miscela in questione. Il grado va da 1 a 10. L’intensità della miscela dipende da vari fattori, come il rapporto tra arabica e robusta: più robusta, più intensità, più arabica, più delicatezza. Rileva poi, chiaramente, la tostatura. Accusata (dal mondo specialty) di fare schifo, la tostatura industriale in realtà è una tostatura che opera ad amalgamare miscele e, ora, trova anche una legittimazione, raccontandosi al bevitore di caffè. Una tostatura scura contribuisce a un’alta intensità, una più lieve lascia il caffè più tenue. Rileva anche l’origine dei chicchi. Le miscele da 1 a 4 sono delicate, quelle da 5 a 7 sono un po’ più corpose, da 8 a 10 è il massimo dell’aroma e dell’incisività del sapore. A proposito di industria del caffè. Ricordate la hit degli 883, Hanno ucciso l’Uomo Ragno? In un’intervista il cantante Max Pezzali ha chiarito l’arcano del verso «avrà fatto qualche sgarro a qualche industria di caffè», motivo per cui era stato ucciso l’Uomo Ragno. Vedendo in tv varie pubblicità di produttori di caffè che ingaggiavano grandi nomi come testimonial, Max si era convinto che dovessero essere attività produttive di grande potere, una sorta di «poteri forti». Chissà se Hanno ucciso l’Uomo Ragno è la canzone preferita dagli specialty coffeers che tanto hanno in uggia l’industria del caffè.Astraendoci da questa sorta di guerra tra caffè normale e caffè specialty, quali sono secondo chi ha scelto lo specialty coffee contro il caffè normale i vantaggi per la salute apportati dallo specialty coffee? Minore caffeina, nel caso di specialty arabica, il più diffuso, che contiene meno caffeina rispetto alla robusta. Arabica: 0,8-1,4% di caffeina. Robusta: tra 1,7% e 4%. Anche il sapore dell’arabica, vista la minore presenza di caffeina, è come dire più dolce ovvero meno amaro di quella robusta. Il caffè, in generale, contiene antiossidanti, che neutralizzano i radicali liberi, molecole che conducono allo stress ossidativo e possono danneggiare le cellule verso malattie croniche come il cancro, il diabete e patologie cardiache. Lo specialty coffee, poi, è meno acido e meno aspro di quello normale. Questo può aiutare chi soffre di patologie gastrointestinali ed evita il caffè normale e considerato che il caffè può esserne la causa (bere troppo caffè e berlo sempre a digiuno può condurre a gastrite e reflusso gastroesofageo), bere un caffè meno acido può aiutare a rallentare e/o evitare di rovinarsi l’apparato gastrico. Vantaggi anche per l’erosione dentale, che risulta inferiore.
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)