2018-03-21
«Questo Stato vuole solo sudditi e la Costituzione è un paradosso»
L'ex magistrato Carlo Nordio: «Il primo articolo della nostra Carta dovrebbe diventare: “L'Italia è una Repubblica democratica fondata sulla libertà". Invece siamo prigionieri di un compromesso cattocomunista» Il termine «liberale» è quasi scomparso nell'uso comune, spodestato da destra, centro, sinistra, e dai recenti populisti, sovranisti. Aumentano le definizioni, ma si scolorano le ideologie (e le idee), come nella recente campagna elettorale. Ma c'è un campione del pensiero liberale, magistrato e letterato, che ha concesso una lunga intervista alla Verità. Carlo Nordio, trevigiano, è stato in magistratura per 40 anni, titolare di inchieste come Mose di Venezia, cooperative rosse durante Mani pulite, Brigate rosse venete, rapimenti. Sul fronte istituzionale è stato consulente della commissione parlamentare sul terrorismo, presidente della commissione ministeriale per la riforma del codice penale (sul quale ha scritto, con Giuliano Pisapia, In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili). È autore, fra l'altro, di due romanzi storici sulla seconda guerra mondiale, uno sull'operazione Overlord (spionaggio inglese prima dello sbarco in Normandia) e un altro sull'operazione Grifone (infiltrazione dei tedeschi tra gli Alleati nella battaglia delle Ardenne). Si è iscritto sedicenne alla Gioventù liberale, nel 1963. Quanto ha impiegato a scrivere due romanzi storici? (Sorride, rispondendo). «Quarant'anni di passione per la storia, qualche anno per scrivere Overlord e Grifone, operazioni di spionaggio durante la seconda guerra mondiale». Contento della presidenza della giuria dei letterati del premio Campiello 2018? «Molto. Perché sono veneto e il premio è degli industriali veneti, creato nel 1962. Inoltre, mi onora essere definito un letterato, attività di tutta la mia vita, insieme con quella professionale di magistrato. Ho scritto sei libri, due romanzi storici e quattro saggi di materia giuridica». Cosa vuol dire essere liberali oggi? «Significa incentrare la democrazia sui diritti fondamentali e non su sistemi rigidi e statalisti, che si rifanno a principi assolutistici, oscillando tra la dittatura del pensiero politico e quella del dogma religioso». Un esempio? «La Costituzione della Repubblica italiana, la legge delle leggi: nacque dal compromesso tra il marxismo di Umberto Terracini e il cattolicesimo di Alcide De Gasperi, con un pizzico di liberalismo di Enrico De Nicola. Oggi il marxismo si è dissolto, i cattolici sono secolarizzati. Un paradosso normativo, una carta poco liberale, minata da una base culturale antifascista. È molto difficile conciliare Peppone e don Camillo». Vede l'antifascismo come un pericolo? «Per carità, libero arbitrio per tutti, da buon liberale. Ma con il politically correct non si possono fare le leggi. Pensi che il codice penale in vigore è sostanzialmente quello fascista del 1930, il codice Rocco, che porta le firme del re Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini. Sembra paradossale, ma la Costituzione antifascista ha mantenuto quel codice, nonostante tutto. Poi modificato in alcune parti, ma essenzialmente l'impianto deriva da un regime totalitario». Altri compromessi del codice penale? «In abbondanza. Per esempio, due casi di cronaca: un padre che violentava la figlia di 7 anni, e poi metteva le immagini in rete, ha avuto una condanna più pesante per la pedopornografia che per lo stupro incestuoso. E ancora: se avete un incidente stradale con il morto, vi conviene dire che volevate fargli male alle gambe, per risentimento personale, e che vi è scappato il volante. L'omicidio preterintenzionale è meno grave dell'omicidio colposo stradale». E a proposito della Costituzione? «Lunga dissertazione. Partiamo dalla storia del liberalismo, che comincia non con la Rivoluzione francese ma con il filosofo inglese John Locke, un secolo prima. Poi verrà lo Stato sociale alla Rousseau, e in seguito Napoleone, che fa la sintesi dei liberali inglesi e francesi. Non a caso i codici giuridici italiani sono all'80% quelli napoleonici, che a loro volta sono all'80% quelli romani. Con l'eccezione del codice penale italiano, che è il meno liberalista. Con l'assurdo che se vieni condannato per una bottiglia con l'effigie di Mussolini sull'etichetta, è proprio il codice di Mussolini a punirti più la recente legge Fiano». Però ci sono state modifiche. «Ci ha provato il giurista e accademico Giuliano Vassalli, tre volte ministro della Giustizia, medaglia d'argento della Resistenza. Nel 1988 varò una riforma del codice penale, poi stravolta dalla Corte costituzionale - della quale in seguito fu giudice - che la decretò in alcune parti in contrasto con la Carta stessa». Il liberalismo dunque non prende piede per i troppi nemici? «A cominciare dai regimi totalitari, sia politici sia religiosi. L'ideologia totalizzante, principale ostacolo alle riforme, considera il cittadino un suddito, non un civis. Uno dei tanti esempi è il Tar, che ha una cultura essenzialmente interdittiva. Il diritto alla vita nell'idea liberale è un diritto individuale: invece in Italia il diritto alla vita è indisponibile perché appartiene allo Stato, come si evince dalle pene per istigazione al suicidio, per il distacco della spina. La persona da noi è subordinata al potere dello Stato, filosofia presente nelle ideologie cattolica, marxista, fascista. In sintesi il civis non è soggetto di diritti, ma subordinato a entità superiori». Sulla legittima difesa? «Stesso discorso. Lo Stato liberale ne definirebbe i limiti: laddove lo Stato non mi ha difeso provvedo io. Che non è farsi giustizia da soli, ma difendersi. Per cui i limiti della punibilità - nel liberalismo - sarebbero ampi. Invece da noi il concetto è che la legittima difesa è inserita nella filosofia “io Stato stabilisco dei limiti". Quindi ancora una volta il diritto naturale del civis lo cedo allo Stato, e lo Stato gestisce l'esercizio dei diritti. In Italia si è cercato di cambiare il codice penale con 14 Commissioni dal dopoguerra in poi. Le riforme sono rimaste nel cassetto, bloccate dalla Corte costituzionale». Le leggi elettorali? «Tutto come sopra: la Carta privilegia la rappresentatività piuttosto che la stabilità governativa. Temo che l'unica soluzione concreta allo stallo attuale sia una nuova assemblea costituente, che riformi veramente la Carta. A cominciare dal primo paragrafo dell'articolo 1: dovrebbe diventare “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sulla libertà", invece che “fondata sul lavoro". Altro paradosso è che il 90% dei programmi economici presentati in Parlamento è liberale, soprattutto a favore della piccola e media industria». Le leggi fiscali censurate da Consulta e Cassazione imposte contra legem ai cittadini-sudditi? «Da sempre lo Stato dà un pessimo esempio del rispetto delle leggi. Accade che quello che è reato per il cittadino sia lecito per lo Stato. Nel sistema tributario italiano vige l'illiberale presupposto che il cittadino sia evasore. Quindi mette imposte esagerate, per raccogliere denaro a sufficienza, a carico dei contribuenti onesti, favorendo gli evasori fiscali. Un libero professionista paga il 55-60% di imposte, l'aliquota Irpef è al 47%, pressioni fiscali insostenibili. Lo Stato è troppo indebitato, non ha un programma a lungo termine se non racimolare denaro dai cittadini, anche in spregio alle leggi. È una dittatura da tasse disordinate, vessatorie, con variazioni continue e perciò devastanti tra imposte dirette e indirette. Per il cittadino non esiste alcuna difesa». I magistrati in politica? «No, grande come una casa. Mai. Né prima, né durante, né dopo. Vige la separazione assoluta dei poteri, che subirebbe un vulnus nel travaso tra potere giudiziario e politico. Proprio i magistrati, così gelosi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, dovrebbero tenere a credibilità e fama. Come fai a delibare su una questione come giudice e, in seguito, come politico? Lo stesso soggetto si troverebbe in contraddizione con sé stesso, perché il punto di vista di un parlamentare non può coincidere con quello di un magistrato. Insuperabile conflitto di interessi». Un motto finale? «Platone: meglio un giudice intelligente con una legge stupida, che una legge intelligente con un giudice stupido».
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)