2019-08-17
Quelli che non vogliono morire inciucisti e dicono: «Senza di me»
Da Carlo Calenda a Gianluigi Paragone, fino a Paola De Micheli e Luigi Di Battista, c'è anche chi non dimentica gli insulti e non accetterà mai l'alleanza tra rossi e gialli.«Vabbè, un governo si può fare». L'esecutivo come una pizza margherita, l'inciucio come una gita a Ponza in barca a vela. Per Massimo D'Alema tutto è possibile perché tutto lui provò e incartò e sobillò prima di essere rottamato. Ma proprio la sua adesione entusiastica al ribaltone di Ferragosto («macché, è solo un accordo») acuisce il problema di coscienza, anzi di stomaco, a mezzo Pd e a qualche navigatore solitario del M5s, per i quali approvare la nuova coalizione sarebbe più difficile che digerire un bufalo senza l'Alka Seltzer.L'entusiasmo di Matteo Renzi è peloso e contagioso, il terrore di Luigi Di Maio e dei suoi di perdere la poltrona lo è ancora di più. Ma fra i dem c'è chi non dimentica l'ordine del giorno votato in direzione Pd due settimane (non due anni) fa: «Mai con i 5 stelle». E fra i grillini nessuno può far finta di non aver sentito il guru Beppe Grillo mentre tuonava: «Renzi è un avvoltoio persuasore, Martina sembra il maggiordomo della famiglia Addams». Che si fa? Al Nazareno si cerca di stare con Nicola Zingaretti, che ogni dì vede assottigliarsi i pretoriani ma resiste. I primi ad andarsene sono stati i 65 deputati e i 40 senatori renziani, gli altri provano a tenere duro nonostante le tentazioni.Il frontman della resistenza, chi l'avrebbe mai detto, è Carlo Calenda, un uomo una Lacoste. Essendo un imprenditore liberal fatica a spostare i numeri e i neuroni, le moine lo scandalizzano. «Siete diventati talmente tifosi da aver perso di vista la realtà, la coerenza e persino il senso del ridicolo», risponde l'ex viceministro su Twitter a chi gli chiede di non criticare la conversione, anzi di abbracciarla «magari dopo una scazzottata salvifica con Renzi al chiuso». Al popolo dem sbilanciato verso la beatificazione di Danilo Toninelli (contrordine compagni, ora è un genio) Calenda non perdona niente. E ripubblica i meme di Ivan Scalfarotto, Andrea Marcucci, Luigi Marattin nei quali la sostanza è: «Nessuna apertura ai grillini».Il partito è in subbuglio, il voltafaccia crea imbarazzi e il fondatore di Siamo Europei non risparmia dolori a chi legge, soprattutto all'ex amico Renzi con il quale meno di tre mesi fa a Milano era salito sul palco in una kermesse chiamata Reunion (neanche fossero i Pink Floyd) per lanciare i candidati alle Europee al grido: «I grillini sono antidemocratici che predicano la fine della democrazia rappresentativa e sono gestiti da una srl. Non trovo una ragione nell'universo per allearci». Oggi ribadisce: «Se vorranno un accordo io non ci sarò. L'accordo serve solo a trovare una cura per qualche dem all'astinenza da poltona. Va costruito un fronte largo per andare al voto senza paura, perché altrimenti oltre al rischio di perdere le elezioni c'è la certezza di perdere l'onore».L'esperienza consiglia di aspettare fino al 20 agosto, giorno del giudizio, per capire gli scenari. Ma per ora la sua posizione è quella della direzione Pd, sposata in toto dalla vicesegretaria Paola De Micheli: «Niente accordicchi o scorciatoie. Non ci sono le condizioni per portare avanti un altro governo con questo Parlamento. La prospettiva più probabile sono le elezioni politiche». Gli zingarettiani di stretta osservanza non si sbilanciano, al contrario di un vecchio maestro di slalom speciale, l'ex democristiano di sinistra Pier Luigi Castagnetti: «La manovra la devono fare loro, Salvini e Di Maio, e non altri mentre loro stanno a godersela in campagna elettorale». Sbilanciandosi verso il calippo o la salamella, la base galleggia e rumoreggia, chiedendosi che fine farà lo slogan totem: «#senzadime».Strategia e tattica, aspirazioni e paure si incrociano e si confondono in modo più felpato sulla sponda grillina, dove la distinzione fra colonnelli ed esercito è più forte. E l'esercito non ha diritto di parola. Davide Casaleggio avrebbe aperto all'accordo, quindi tutti zitti, anche se la conta è cominciata e un centinaio di parlamentari stanno spostandosi a sinistra per non dover disdire le stupende mansarde con vista Pantheon. Sono questioni d'onore. E se Grillo ha aperto la porta al Pd ma non a Renzi («Volano avvoltoi persuasori. È una nuova specie di sciacallaggio, invece di aspettare la fine cercano di convincerti che è già avvenuta»), va detto che nove espulsi dal movimento perché troppo di sinistra - 4 al Senato e 5 alla Camera - sono pronti al rientro.Sensazioni, alzate di sopracciglia. Gli unici ad avere una posizione netta contro l'accordicchio sono fegatacci non incasellabili come Gianluigi Paragone e Alessandro Di Battista. Il giornalista la mette sull'ironico: «E magari poi alla Commissione d'inchiesta sulle banche dovrei essere votato dalla Boschi? Sì, vabbè». Post brevissimo ma dall'alto contenuto esplosivo. Gli fa eco il giramondo per antonomasia, interessato perché in caso di elezioni potrebbe essere perfino candidato premier: «A questo governo non ci sono alternative, si deve andare avanti». Frase ambigua prima della mazzata: «Ho sempre votato a sinistra, ma il Pd non è più una forza politica della sinistra e ha tradito tutti i suoi ideali». Dura stare dalla stessa parte di D'Alema. Per adesso un gilet giallo non ce la può fare.