2022-04-17
Quel cortocircuito tra Terzo Reich e digitale
Il testamento spirituale di Roberto Calasso, già proprietario di Adelphi, è L’innominabile attuale: nel libro, del 2017, l’autore accosta, in maniera soltanto apparentemente incongrua, nazismo e Rete. Ma le due parti, in realtà, devono alla fine essere fuse.Ha pensato bene di andarsene, a ottant’anni appena compiuti, nel luglio del 2021: giusto in tempo per non assistere alla fase più furibonda della campagna vaccinale e delle polemiche sulla pandemia. Prolifico fino all’ultimo, ha ancora pubblicato nel 2019 il suo «racconto» della Bibbia (Il libro di tutti i libri, omaggio tardivo alle sue origini), e, sempre aggirandosi tra gli arcani medio-orientali, La tavoletta dei destini, sulla sapienza babilonese (2020). Ma a parte molte cose minori, ora in uscita anche postume, non vi è dubbio che il «testamento spirituale» di Roberto Calasso sia L’innominabile attuale, uscito nel 2017, alla vigilia dei grandi eventi più recenti. Nella saggistica di livello dedicata alla lettura dei «segni dei tempi», è difficile trovare qualcosa di più intelligente di questo dittico, un vero «messaggio nella bottiglia». Rapsodico, è un mosaico di riflessioni e aforismi, e riesce a toccare tutti i punti nevralgici del presente con una profondità di sguardo che è quasi inutile cercare altrove, e li tocca raccogliendoli intorno a un primo tema o leitmotiv: l’uomo secolare, «amputato» della dimensione trascendente (o metafisico-simbolica), campione della tarda modernità e avviato al suo esito «transumano», definito «un immane sconvolgimento psichico». Figura-tipo dell’uomo secolare è il turista, lanciato alla scoperta della varietà delle forme, dei paesaggi, dei luoghi, ma a condizione di osservarla dietro la vetrina distanziante del suo occhio moderno, che lo rende «ontologicamente» altro, diverso dal nativo, radicato nel suo villaggio polinesiano o nella sua campagna irlandese. E se l’uomo secolare è, in fondo, l’uomo estetico, è come dire, commentando, che il turismo è la variante spaziale del museo, perché il turista viaggia, anzitutto, nello spazio, mentre il secondo è un viaggio, anzitutto, nel tempo; il turista è nomade, il visitatore è stanziale, salvo convergere nella fruizione di una varietà illimitata e cangiante di oggetti fuori contesto (il museo li decontestualizza materialmente, il turista li visita in apparenza nel loro contesto, ma di fatto astraendo da quel contesto nella forma del museo en plein air). Anticipato genialmente dalla coppia flaubertiana di Bouvard et Pécuchet, e portato a perfezione dal web e dalla sua illimitata multifunzionalità, l’uomo secolare si taglia fuori dalla dimensione del rito, che diventa tutt’al più un rito laico, abolendo ogni riferimento a un elemento invisibile, esterno e tuttavia reale e presente. Alla dimensione dei significati subentra quella illusoria e onnipervasiva dei programmi di simulazione su base digitale. Al paradigma digitale, Calasso contrappone il vecchio paradigma analogico, e al turista contrappone l’analogista, che non è il semplice globe-trotter a caccia di varietà, ma lo studioso che rintraccia analogie tra le forme più lontane (e qui Calasso fornisce un ritratto diagonale di se stesso). Se mai, ciò che accomuna l’analogista al turista è il fatto di non appartenere ad alcuna confessione religiosa: l’analogista-Calasso è un libero cercatore dello spirito. Calasso, allo specchio, denuncia così il proprio limite di fondo, il rifiuto di uscire da quella prigione moderna che si annuncia come la rottura di tutti i vincoli, a cominciare dai vincoli religiosi e confessionali. Di questo limite, che non vuole varcare, sembra essere, però, ironicamente consapevole, al punto da dedicare un ritratto pungente allo «spiritual but not religious», l’Sbnr, categoria in espansione, che raccoglie l’eredità nella vecchia new age e da cui Calasso prende aristocraticamente le distanze, sentendosene, però, in qualche modo contagiato. Il rifiuto brillante, caustico, del paradigma digitale e dei suoi orizzonti di simulazione illusionistica, basterebbe a motivare il libro e a funzionare come «messaggio nella bottiglia». Ma il libro è uno strano dittico, dove al pamphlet anti-digitale viene accostata una incalzante rievocazione del Terzo Reich: una serie di aforismi, testimonianze, riflessioni acuminate sull’ascesa e la luciferina apoteosi e caduta del Reich hitleriano. Anche questa seconda parte, grondante di atrocità novecentesca, basterebbe, da sé, a motivare il libro, e forse anche il messaggio: come monito contro il pericolo delle tirannidi future, a cui la cosiddetta democrazia potrebbe aprire la strada «per vie legali» (come ad Adolf Hitler nel 1933). Ma a rendere straordinario il dittico è proprio l’accostamento, che pare incongruo, tra le due parti. Perché Calasso conclude la sua opera saggistica (a parte i grandi «racconti») con una abbagliante riflessione sull’enigma hitleriano? O meglio: perché abbinare l’enigma hitleriano, come il cuore di tenebra del Novecento, alla rivoluzione digitale, come evento capitale del secolo XXI? Tra le due parti scocca un arco voltaico che si potrebbe definire «esoterico», nel senso che non è «nominato»: è, appunto l’«innominabile» nella sua lancinante «attualità». Raccogliendo il messaggio nella bottiglia, spetta al lettore dare un nome all’innominabile. E così lo sterminio e la razza pura, i due baricentri satanici del nazionalsocialismo, diventano, a una lettura «stereoscopica» del dittico, quanto di più attuale sia possibile immaginare: lo sterminio è quello del «continuo» (analogico) da parte del «discreto» (digitale), e la razza pura è quella chiamata a costruire l’intelligenza artificiale sulla base del «discreto», il codice binario e i suoi sofisticatissimi sviluppi nanotecnologici. Quella che uno scrittore visionario di fine Ottocento (non citato da Calasso), Edward Bulwer-Lytton, chiamava «la razza futura», e che uno scrittore contemporaneo, ugualmente non citato da Calasso, Yuval Noah Harari, definisce «l’uomo-dio», integralmente tecnologico. Che il nazismo possa «ritornare» nelle vecchie forme, capo carismatico e adunate oceaniche, è un’ingenuità che il libro non si permette nemmeno di sfiorare. È l’egemonia tecnologica a tenere in scacco e a riplasmare, oggi, le coordinate base della vita associata. Gli anni successivi al 1989 sono gli anni del graduale imporsi della Rete, in una progressione micidiale resa possibile dalla miniaturizzazione incalzante dei circuiti: dal pc alle prossime tappe della simulazione digitale. È questo l’ambiente, lo «spazio», in cui si installa il nuovo regime autoritario. Non contando più sulla centralità di un partito, ma su una costellazione di mega-aziende, ormai in grado di «cannibalizzare» il potere politico e di controllare, via marketing, sterminate masse di consumatori. Per non parlare della formidabile funzione di «ammortizzatore» sociale assegnata ai social network, come arena di una «discussione pubblica» virtualizzata e di fatto neutralizzata. Tutto questo, il libro non lo dice apertamente (resta appunto «innominabile»), ed è, perciò, in questa forma, una semplice chiosa, un tentativo di commento. Calasso si limita a mettere i due fenomeni (il digitale e il nazismo) in cortocircuito, a farli reagire l’uno sull’altro. E con un un gesto, ancora, di estrema eleganza (Calasso resta, alla fine un dandy baudelairiano, impenitente), i due quadri giustapposti che formano il dittico sono raccordati nell’ultima pagina dalla visione onirica, ripresa da Charles Baudelaire, di una torre enorme sul punto di crollare. Le torri, come sappiamo, in realtà sono due, e sono «gemelle» (non a caso è l’ultima parola del libro). L’enigmatico disastro che apre il XXI secolo, evocato di sponda, attraverso un sogno di Baudelaire, funge così da raccordo temporale tra le due parti del libro, suggerendo che le due parti vanno sovrapposte e fuse. Non potendo essere fino in fondo uomo della tradizione (da cui si sa modernamente escluso), Calasso ha voluto però suggerire i contorni di quella contro-tradizione, come parodia politica e parodia spirituale, di cui aveva compreso acutamente i meccanismi sottili. Nessuno, finora, ha saputo fare di meglio.
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