2019-01-11
Quei quattro anni del Consolato che diedero respiro a tutta Europa
Tornato vincitore da Marengo, Napoleone sciolse il Direttorio e accentrò il potere. Un periodo di grandi progetti e di pace.Il 14 giugno 1800 Napoleone Bonaparte e l'esercito sono impegnati in una battaglia dove sembrano avere la peggio, per cui ripiegano su un villaggio di nome Marengo. Il Primo console è dovuto scendere nella penisola, perché si è trovato di fronte a una offensiva degli austriaci che hanno occupato il Nord, creando molti problemi al generale Andrea Massena a Genova. Per cogliere il nemico di sorpresa, Napoleone ha seguito un celebre esempio storico, quello di Annibale che ha attraversato le Alpi. Per sua fortuna non ha gli elefanti, ma il passaggio del Gran San Bernardo è arduo. A renderlo immortale, resta un quadro di Jacques-Louis David, dove l'eroe - l'uniforme coperta da un ampio mantello amaranto, in testa il bicorno - monta un focoso destriero bianco e tende la mano in alto di fronte a sé, come a voler indicare la direzione.Dal 14 al 23 maggio l'Armée è impegnata nella traversata, poi corre incontro ai nemici. L'8 giugno le avanguardie di Jean Lannes sconfiggono gli avversari a Montebello: sembra che la partita sia vinta, quando accade l'inimmaginabile. Convinto che gli austriaci siano dispersi e in fuga, il Primo console divide l'esercito in piccoli gruppi, per inseguirli e bloccarli. Invece costoro si sono riuniti in tre grandi colonne, che dispongono di oltre 100 cannoni. Le ridotte avanguardie francesi ne hanno solo 15 e sono sottoposte a un fuoco terribile. Decimate dai colpi, devono rifugiarsi a Marengo, vicino ad Alessandria. Bonaparte invia una staffetta per richiamare Louis Desaix e i suoi 5.000 soldati, ma non sa se arriverà in tempo. La situazione si aggrava, tutto sembra perduto, quando ecco sopraggiungere al galoppo Desaix. È rimasto celebre lo scambio fra lui e Napoleone, che gli chiede: «Cosa ne pensate della situazione?» «Mon Géneral, è una battaglia persa, ma sono soltanto le 2 e c'è tutto il tempo di vincerne un'altra». E in effetti, con i suoi soldati, rovescia le sorti dello scontro e consente ai francesi di strappare una grande vittoria. Sfortunato come sono spesso gli eroi, riceve una palla nemica in pieno petto e muore fra le braccia di Bonaparte, che esclama: «Perché non mi è permesso piangere?». Per onorarne la memoria, lo farà tumulare presso il Gran San Bernardo. Commenta lo storico Jacques de Nervine: «Così, una sola battaglia vinta dopo 12 ore di una ritirata offensiva, ma perigliosa, ha nuovamente posto sotto l'influenza della Francia la Lombardia, il Piemonte, la Liguria e le 12 piazze fortificate che difendono tali Stati».A Parigi, nel frattempo, giungono notizie contrastanti: a un certo punto, sembra che il Primo console sia stato sconfitto. Impossibile - dicono i ministri - lasciare un vinto alla guida del Paese. Lazare Carnot vorrebbe ricostituire il Comitato di salute pubblica; altri pensano a un nuovo Direttorio. Joseph Fouché e Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, rispettivamente ministri della Polizia e degli Esteri, si incontrano in segreto per un piano B. Non prendono posizione in pubblico, ma si guardano bene dal sostenere Bonaparte, con cui si erano schierati nel colpo di Stato di Brumaio.Non a caso detti «gli uomini pallidi», tessono intrighi alla luce delle candele. Honoré de Blazac prenderà lo spunto per scrivere un romanzo, Une ténébreuse affaire, i cui protagonisti saranno proprio Talleyrand e Fouché, che avrebbero organizzato una congiura, insieme a un senatore di nome Clément de Ris, per prendere il potere vacante. Che il fatto sia vero o meno, non si sa; ma in giro c'è un'atmosfera di cospirazioni e intrighi. Nella vicenda di Marengo, un dato salta agli occhi: al primo dubbio di sconfitta, tutti si affrettano ad abbandonare il loro eroe. Si sente dire: «Vincitore, lo adoreremo; morto, lo seppelliremo».Il caos domina, quando arriva la notizia della grande vittoria. Subito dopo Napoleone - avvertito dal clan familiare - piomba nella capitale. Prende contromisure e licenzia Carnot, che si è esposto maggiormente. Non caccia Talleyrand né Fouché, ma non se ne fida più. Come ricorda Balzac, il loro atteggiamento rappresenta le petit détail, il piccolo dettaglio, all'interno di una vicenda molto ampia; ma è davvero indicativo. «Aiuto certo nella fortuna, incerto nella sventura», è Stefan Zweig a dirlo. «Un governo costruito sulla spada e sulla vittoria - parla ancora il grande Zweig - è destinato a cadere alla prima sconfitta, e ogni dominatore cui manchi la legittimità del sangue e degli antenati, deve tempestivamente procurarsene un'altra». Il «piccolo Corso» se ne sta rendendo conto, per cui comincia ad avvertire l'urgenza di fondare una dinastia cui lasciare tutto.Un'idea siffatta si farà strada nella sua testa, fino a divenire un tarlo che lo corroderà facendogli commettere uno dei suoi più gravi errori, cioè il matrimonio asburgico. Ma quell'epoca è ancora lontana; Napoleone è al massimo della creatività costruttrice, del genio edificatore: a giovarsene, è la Francia intera e per certi aspetti anche l'Europa. Negli anni del Consolato, Bonaparte - erede e terminale ultimo della Rivoluzione - è un titano, un Prometeo che dalla confusa materia post-rivoluzionaria estrae, forma, modella la nazione. Essa, metaforicamente, partorisce una nuova sé stessa grazie a quello straordinario demiurgo. Quando ha prestato giuramento, dopo il 18 Brumaio, ha dichiarato: «La Rivoluzione resta legata ai principi che ne hanno segnato l'inizio. Ora è finita». In seguito, commenterà: «L'uomo civilizzato, come il selvaggio, ha bisogno di un padrone che gli impedisca di mordere a sproposito».Il padrone è lui; Talleyrand gli fornisce lo strumento «legislativo», operativo, per adempiere all'immane compito. «Perché la Francia sia ben governata, perché ci sia una vera unità di azione, bisogna che voi siate Primo console, e che il Primo console abbia in pugno tutto ciò che attiene direttamente alla politica, e cioè i ministeri degli Interni e della polizia per quanto concerne gli affari del paese, il mio per gli Affari esteri, nonché i due massimi strumenti dell'esecutivo, ossia i ministeri della Guerra e della marina...quelli complementari della Giustizia e delle finanze dovranno essere affidati a semplici esecutori... Varrà a tenerli occupati... mentre voi vi dedicherete alla rigenerazione della Francia».E davvero di rigenerazione si tratta. Innanzitutto, viene redatta una nuova Costituzione, adottata il 13 dicembre 1799. Il potere legislativo è diviso in quattro livelli: il Consiglio di Stato (creato da Bonaparte) prepara i progetti di legge; il Tribunat (composto da 100 deputati) li discute; il Corpo legislativo li vota o li boccia; il Senato sceglie i Consoli e le Assemblee e controlla la costituzionalità dei testi. Un'architettura a strati, in virtù della quale Napoleone tiene in mano le redini del potere.Dopodiché, egli lavora in tutti i campi per ricostruire e dare un progetto al Paese. Riunisce i più grandi giuristi e affida loro il compito di redigere un Code civil, - la «massa di granito» - che ispirerà tutti gli altri compreso il nostro. Agevola la fondazione della Banca di Francia e crea una moneta stabile, il franco germinale. Attua una riforma centralizzata dello Stato, che parte dalle intuizioni di Richelieu e Mazzarino, e divide il territorio nazionale in dipartimenti, arrondissements, cantoni e municipalità. Crea le Grandes Ecoles, fucina delle élite, fra cui l'antesignana della celebre Ena, ma si dedica anche alla scuola e all'università per tutti i cittadini. Investe in infrastrutture materiali e immateriali, fa costruire ponti, strade, porti, risistemare le città e i paesi. Inventa la Legion d'honneur per premiare i più meritevoli. Dà nuovo impulso all'industria, al commercio, all'artigianato. Si occupa di valorizzare il patrimonio artistico, arraffando anche parecchi beni dei paesi conquistati, fra cui soprattutto l'Italia. Vara il concordato con la Chiesa cattolica. Dà vita a un'amnistia - progetto di pacificazione nazionale - e agevola il rientro degli emigrées.Ha ragione il duca di Broglie - lo ricorda lo storico Duff Cooper - quando dice: «I quattro anni del Consolato sono, con il regno di Enrico IV, uno dei due periodi più gloriosi della storia di Francia». Enrico IV, però, era stato fermato dal pugnale di un esaltato (forse diretto da altri); mentre Napoleone dovrebbe trovare da solo la forza di fermarsi a un certo punto e trattare, come dirà Talleyrand, «il riposo del mondo». In quella fase, è ciò cui anche lui tende; dopo, le cose cambieranno.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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