2020-05-31
Quei prelati convertiti al culto di Santa Ue
La Conferenza episcopale d'Europa, guidata da un vescovo lussemburghese, applaude il Recovery fund, che seguirebbe «l'appello di Bergoglio». Le fa eco Antonio Spadaro: «Scelte giuste». Ma così la rabbia e la paura dei cittadini sul lastrico restano inascoltate.Santa Unione europea, pensaci tu. I vescovi della Comece, la conferenza episcopale d'Europa, si inginocchiano davanti al Recovery fund gridando quasi al miracolo ottenuto per l'intercessione della (beata) Ursula von der Leyen.Se la crisi brutale della pandemia da Covid-19 ha rivelato «l'incapacità dell'Ue ad essere all'altezza dei suoi valori in tempi di crisi», scrivono in una nota i vescovi guidati dal cardinale lussemburghese Jean-Claude Hollerich, ora con l'apparizione del Recovery fund ecco che c'è «una chiara prospettiva per un'Europa che mira a crescere unita». È talmente chiara la prospettiva agli occhi dei presuli del Comece che il Recovery fund sembra essere un segno dal cielo, a dimostrazione che i politici e i burocrati della Commissione seguono «l'appello lanciato da papa Francesco, nel messaggio di Pasqua, all'Unione europea perché non perda l'occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative».L'innovazione però sembra la intravedano solo i vescovi, perché il Recovery fund, come ha dichiarato il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, rientra nella più classica categoria dei debiti. I fondi, ha detto Visco, «non potranno mai essere gratuiti in quanto il debito europeo è debito di tutti». Quei benedetti 172 miliardi che dovrebbero piovere sull'Italia, tanto per stare a casa nostra, in parte andranno restituiti e in parte sono soldi nostri, delle nostre tasse versate in Ue, e che ci tornano indietro (peraltro con qualche milioncino di ammanco). E pare che nemmeno potremo utilizzarli per abbassare le tasse, solo per riforme e investimenti, con il corollario delle varie condizioni tipicamente abbinate all'utilizzo dei soldi europei (cioè si spendono nel modo che vuole Bruxelles). Come ha detto il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, ammesso che il Consiglio europeo approvi questa «innovazione» solidaristica, non è vero che la manna arriverà «in tasca per default».Ma per la Chiesa più europeista che europea tutto ciò sembra secondario. Padre Antonio Spadaro, direttore della influentissima rivista dei gesuiti La Civiltà cattolica, ha twittato che «Bisogna dire che l'Europa si dispone ad essere all'altezza della crisi pandemica. E senza vincitori né vinti. La Commissione ha fatto le scelte giuste. Siamo di fronte a decisioni e scelte di grande portata e coraggiose in questo momenti storico. È necessario che reggano». Intanto speriamo che a reggere, come ha rilevato Visco nella sua relazione annuale di governatore della Banca d'Italia, sia innanzitutto il sistema economico e sociale dopo la crisi da pandemia, perché i segnali non sono buoni.Ma i fumi d'incenso si levano per la santa Unione europea sostenuta quasi come un dogma, non tanto l'Europa come idea di civiltà e di popoli, ma proprio l'Unione in quanto espressione politica e talora perfino burocratica. È questa l'Europa che sembrava sostenere anche il politologo di punta dei gesuiti de La Civiltà cattolica prima delle elezioni del 4 marzo 2018 quando scriveva che «difesa e sicurezza, crescita e occupazione hanno bisogno di più sovranità europea e di meno sovranità nazionale».Non si tratta di buttarla subito sul lato del populismo, no. Si tratta di riconoscere una strana corrispondenza di amorosi sensi di certi prelati verso l'accentramento e la normalizzazione dall'alto, abbinata a un amore smodato per la democrazia procedurale e formale, dimenticando quella sapienza politica che si realizza nella costruzione che parte dal basso. «L'Europa lo vuole» è il mantra che sembra aver sostituito, in tante sagrestie, episcopi e redazioni cattoliche a marchio registrato, quella necessità di «ascolto del popolo» che papa Francesco predica incessantemente.Invece no, «ce lo chiede l'Europa». È la nuova litania che sembra aver sostituito quelle ai Santi, o almeno è quello che sembra trasparire da una comunicazione ufficiale della Chiesa che più che in ascolto del popolo di Dio sembra fare l'eco a ogni battito di ciglia che arriva da Bruxelles. Pare così che la Commissione europea sia diventata depositaria dei criteri del bene e del male.La Chiesa, che ha sempre predicato l'Europa riuscendo anche a sferzarla, a richiamarla alle sue radici, oggi in talune espressioni sembra essere inginocchiata a un idolatrico «più Europa» e poco più. Nel frattempo il popolo di Dio affronta difficoltà enormi e necessita di ascolto e richiami forti e alti. Si fa presto a dire che un gilet arancione è bassa espressione di qualunquismo becero. Si fa presto a dire che il populismo è nazionalismo di bassa lega. Ma se non si ascolta il popolo, e ci si inginocchia a un Recovery fund come a un'apparizione celeste, dagli episcopi non ci si lamenti poi del prossimo gilet che scenderà in piazza.
(Ansa)
L'ad di Cassa Depositi e Prestiti: «Intesa con Confindustria per far crescere le imprese italiane, anche le più piccole e anche all'estero». Presentato il roadshow per illustrare le opportunità di sostegno.
Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)