2020-07-07
A governo sbagliano i conti. Spunta un buco da 100 milioni
Trovato un buco di 100 milioni: il testo torna in commissione. Si riapre la guerra sugli emendamenti. Giuseppe Conte tira dritto su Semplificazioni e Piano di riforma, destinati a diventare i cavalli di Troia per Mes e Recovery fund.A metà aprile il governo annuncia un maxi decreto per favorire la ripresa economica dopo il Covid, rafforzare la cassa integrazione e dare continuità ai bonus istituiti dal Cura Italia di marzo. Il decreto slitta e fino al 30 del mese viene battezzato, in occasione delle varie conferenze stampa, con il nome di «decreto aprile». Poi, per motivi di calendario, diventa il «decreto maggio» e - dopo una decina di giorni - il «decreto Rilancio». Il testo va in Gazzetta soltanto il 17 maggio. Mentre il 26, nove giorni dopo, entra in Parlamento e avvia l'iter di conversione in legge. Il tutto mentre la maggior parte degli italiani vive il periodo più cupo del lockdown, lo supera e si appresta a tornare a una parvenza di normalità. Purtroppo solo da un punto di vista sanitario, non certo economico. Il decreto, così pensato, è infatti lo strumento sbagliato per realizzare interventi d'urgenza: lo dimostra il fatto che, una volta entrato in Aula, il testo ha subito il legittimo controllo delle Commissioni, ma anche l'assalto degli emendamenti. Paradossalmente i più invasivi sono stati quelli della maggioranza, che verso la fine di giugno erano arrivati ad alzare l'asticella del budget di circa 40 miliardi. Una follia, sebbene su una cifra che nel suo complesso ne vale circa 155. La cosa ha rallentato non poco i lavori, fino a una sorta di compromesso. Lo scorso venerdì notte, la Camera ha detto sì a un versione che nel bene - e soprattutto nel male - avrebbe dovuto essere definitiva. Invece, nel week end i tecnici si sono messi lì con il pallottoliere a spulciare il documento prima di inviarlo al Senato, che necessariamente entro il 14, martedì prossimo, dovrà farlo diventare legge. Pena, la decadenza. Ma i tecnici si sono accorti che il dl Rilancio ha un buco, per la precisione di 100 milioni. E così ieri mattina, senza le adeguate coperture, l'hanno rispedito indietro alla Commissione della Camera, da dove era venuto. «Chi non capisce la sua scrittura è un asino addirittura», commenta Alberto Bagnai, senatore e responsabile economico della Lega, «il governo continua a emanare provvedimenti ingestibili. Abbiamo più volte criticato la volontà di trasformare in enormi decreti omnibus tutti i provvedimenti di gestione dell'emergenza. Per dare a ognuno la propria quota di marchette, si disperdono risorse, si ritardano i tempi, e si rende impossibile un'analisi approfondita». A gestire la commissione più delicata, quella al Bilancio, alla Camera è il leghista Claudio Borghi, ma è chiaro che a incartarsi sono stati i relatori. Vista la mole di emendamenti della maggioranza, i relatori si coordinano con i sottosegretari, che a loro volta hanno, in questo caso avrebbero, il compito di vigilare, in parallelo alla Ragioneria dello Stato, il livello di avanzamento delle coperture. «Il problema non è tecnico», conclude Bagnai, «in questo caso, ma politico». Nel senso che, spulciando tra le pieghe del maxi decreto, 100 milioni probabilmente il governo riuscirà a recuperarli. Gli sarà certo più facile perseguire questa strada piuttosto che cassare altri emendamenti della maggioranza per limare la spesa. Ma in ogni caso il taglio colpirà qualche intervento già approvato a favore dei cittadini. Il problema, sempre politico, sta nel fatto che la figuraccia rischia di non servire a nulla. Il governo non cambia lo schema. Anzi, insiste in questa direzione. Il Consiglio dei ministri avvenuto ieri sera ha avviato l'impalcatura per tenere in piedi un altro decreto, quello sulle Semplificazioni, estremamente complicato da gestire in Aula. Non contento, il premier Giuseppe Conte ha deciso di realizzare un piano nazionale di riforme. Che, tradotto, sono le disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato. Conte e il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, però, preferiscono fare un po' di marketing e mettono nero su bianco ciò che che vanno dicendo negli ultimi giorni: «È il momento di cominciare a correre». Lo scrivono nel piano nazionale di riforma che, a causa del coronavirus, quest'anno non è stato allegato al Def di aprile ma, in compenso, delinea quel Recovery plan che Conte ha annunciato di voler portare a settembre a Bruxelles. Sommare due interventi mastodontici come il Semplificazione e l'assestamento di bilancio e portarli avanti come si è fatto per il dl Rilancio è pericolosissimo. I due veicoli per ciò che si è potuto visionare al momento contengono una lunga serie di interventi e desiderata che non coincidono con il concetto di riforme. Ma implicherebbero l'idea di azione. Il problema aggiuntivo è che non valutano con attenzione alcun limite di budget. Eppure ci sono due enormi campanelli che si sono messi a suonare nelle ultime ore. Il primo viene da Bruxelles, e fa capire che dal 2021 tornerà il Patto di stabilità: come dire, c'è poco da ricorrere continuamente al deficit. Il secondo riguarda il gettito fiscale. Nei primi cinque mesi del 2020 l'Erario ha raccolto 149,7 miliardi di euro: circa il 10% in meno dello stesso periodo del 2019. Il problema è che a maggio si è riscontrato un crollo del 27%. Dove il dato più preoccupante ricade sull'Iva (la crisi dei consumi), e poi sull'Irpef dei lavoratori dipendenti e degli autonomi. Solo la Pa ha assunto e aumentato il gettito Irpef. Questi dati ci dicono che fino a ottobre le casse dello Stato piangeranno, eppure al momento non si registrano interventi del governo per tappare un buco che, se si assetasse sul 20%, varrebbe circa 100 miliardi. Conte continua a volere fare deficit per sussidiare i disoccupati e non per dare la possibilità alle imprese di rialzarsi da sole. Così facendo arriveremo a fine anno vicini al baratro, e allora quelle scatole vuote che sono il piano nazionale di riforme assieme al Recovery plan rischiano di diventare il veicolo perfetto per far scattare il Mes e dare il via al Recovery fund dell'anno successivo. Esattamente ciò che una buona parte del Parlamento non vuole.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
Ecco #DimmiLaVerità del 12 settembre 2025. Il capogruppo del M5s in commissione Difesa, Marco Pellegrini, ci parla degli ultimi sviluppi delle guerre in corso a Gaza e in Ucraina.