2021-02-09
Lino Patruno: «Quando suonai per Benedetti Michelangeli»
Il chitarrista de I Gufi ricorda la stagione d'oro del cabaret: «Nanni Svampa era il “secchione" della canzone, Roberto Brivio il più sbarazzino, Magni il coreografo, io abbellivo con la melodia i versi. Al bar Jamaica il maestro mi applaudì: voleva pagarmi, lo pregai di non farlo»È morto qualche settimana fa Roberto Brivio, uno dei componenti de I Gufi, il popolare gruppo di canzoni e cabaret che fece scuola negli anni Sessanta. Ripercorriamo quella straordinaria pagina dello spettacolo con Lino Patruno, l'anima musicale del gruppo.Lei è di Crotone come Rino Gaetano, altro musicista dotato di un grande senso dell'ironia...«Esatto! L'ho visto una volta a Crotone». Come mai dalla Calabria si trasferì a Milano?«Mia mamma era di Crotone, mio padre di Napoli e lavorava alla Montecatini. Per motivi di lavoro fu trasferito in un primo tempo ad Avigliana, in provincia di Torino, poi a Tarquinia, quindi negli uffici di Roma, dove sono stato fino a quando avevo 13 anni, infine a Milano. Ho vissuto felice lì per tanti anni, sennonché il mio carissimo amico Pupi Avati, nel 1990, mi disse: “Vieni a Roma che dobbiamo scrivere assieme la sceneggiatura di un film da girare in America. Solo tu puoi fare questo lavoro perché, tra le persone che conosco, sei l'unico appassionato di jazz a grandi livelli". Scrivemmo così la sceneggiatura di Bix - Un'ipotesi leggendaria, di cui ho composto anche la colonna sonora sulla vita di Bix Beiderbecke. Andando a Roma, cominciai a pensare: “Ma qui non c'è la nebbia, ci sono le attrici del cinema, per cui rimango qua».Tutta colpa di Pupi Avati...«E delle attrici!».Aveva conosciuto Avati da giovane quando anche lui faceva il musicista?«Sì, suonavamo con un sedicenne che scoprimmo assieme, un grande clarinettista. Gli dissi: “Perché scrivi queste ca... di canzoni? Fai il jazz e basta!". Era Lucio Dalla».Lei quando ha cominciato a suonare?«A 16-17 anni. Avevamo il pianoforte a casa, io lo suonavo senza studiare, finché, dovendo andare a fare le vacanze a Senigallia, un mio compagno di scuola mi disse: “Se ti metti con la chitarra sulla spiaggia, cucchi come un matto!". “Ma io non ho la chitarra...". “Te la presto io e ti insegno anche due-tre accordi". Feci così e non venne nessuna ragazza! Cominciai però ad appassionarmi alla chitarra e rimasi chiuso in casa per tre mesi a suonare. Quando tornai a Milano, dopo le vacanze, entrai subito in un'orchestra».Un'orchestra jazz?«Solo jazz, io non mi occupo di altro. Si chiamava Seven Diplomatics Jazz Men, poi passai a un'altra, la Riverside Jazz Band, lasciando vacante il mio posto. Un giorno mi telefonò un ragazzo: “Mi chiamo Giorgio Gaberscik e devo fare il tuo sostituto nell'orchestra, ma non so come fare perché non conosco i pezzi". “Vediamoci e ti insegno". Andai a casa sua, gli insegnai i pezzi alla chitarra e poi divenne famoso come Giorgio Gaber».Quando cominciò a frequentare il Derby di Milano?«Molto dopo. Ero fidanzato con una bellissima fanciulla che si chiamava Didi Martinez. Un giorno litigammo e lei mi chiamò la notte svegliando tutta casa mia per dirmi che mi amava. Il giorno dopo avevamo appuntamento in un ristorante, Capitan Kidd, come il film con Charles Laughton. Lei era a capotavola, poi c'era un po' di gente e di fronte a me un ragazzo. “Come ti chiami?". “Mi chiamo Nanni Svampa. Tu che fai?". “Ho appena finito il militare". “Bello questo posto... conosci il proprietario?". “Sì, è lo stesso proprietario del locale dove suono il jazz". “Me lo puoi presentare?". Morale della favola, dopo qualche giorno, Didi mi chiamò al Piccadilly: “Ho parlato con il proprietario: possiamo andare a fare il cabaret lì. Io presento, Nanni canta le sue canzoni, poi viene un altro amico che tu conosci - me lo aveva presentato in un concerto -, Roberto Brivio. Tu puoi venire a suonare la chitarra? Ci danno 8.000 lire al giorno...". “Io per 8.000 lire al giorno vendo mia nonna! Vengo subito". È cominciata così, per caso, l'avventura dei Gufi».Nanni Svampa che tipo di canzoni faceva?«Cantava in milanese e aveva tradotto Georges Brassens dal francese all'italiano». Lei lo accompagnava con la chitarra?«Io suonavo la chitarra perché avevo molta tecnica, quindi praticamente abbellivo le sua canzoni milanesi».Come avete fatto a ingranare?«Cominciammo a fare anche i pezzi di Gigi Lunari, poi trovammo il più grande impresario italiano, Remigio Paone, che aveva lanciato Wanda Osiris, Alberto Sordi, Delia Scala e Walter Chiari. Siamo stati l'ultima scoperta di Remigio, che ci portò in giro per due anni, facendoci lavorare tutte le sere nei teatri italiani».Quando vi siete costituiti come I Gufi?«Nel 1964. Siamo durati fino al 1969, poi Gianni Magni se ne andò perché voleva far da solo e io rimasi con Nanni Svampa e Franca Mazzola, cantante-attrice milanese. Dopo dieci anni tornammo assieme per fare 40 puntate di un programma per Antenna 3 (Meglio Gufi che mai, ndr) e facemmo anche una partecipazione al festival di Sanremo 1981. Poi Magni se ne andò una seconda volta!».Avete provato ad andare avanti in tre?«Sì, ma non era la stessa cosa senza Magni». Magni com'era entrato in questa storia? «Avevo lavorato in uno spettacolo teatrale dove lui faceva la parte dell'arcangelo Gabriele. Abitava a Roma e venne a Milano per fare televisione. Una sera ci raggiunse nel locale dove suonavamo. Brivio gli disse: “Gianni, tu che sei un mimo perché non mimi una mia canzone che adesso ti canto?". Lui mimò la canzone e così trovammo lo stile de I Gufi».Brivio cosa faceva?«Scriveva le canzoni mortuarie, legati ai funerali, ai cimiteri! Facevamo il funerale, dicendo le battute e cantando mentre camminavamo!».Mi fa un ritratto di ognuno dei tre? «Svampa era molto testardo e volitivo, si preparava tantissimo per cantare ed era anche impegnato politicamente. Brivio era più sbarazzino: le sue canzoni erano molto divertenti. Magni era la parte coreografica del gruppo». La sua comicità ricordava quella di Marty Feldman...«Anche quella di Dario Fo, al quale assomigliava un po'. Era veramente molto bravo».L'idea della calzamaglia e della bombetta chi l'avuta?«L'abbiamo avuta assieme perché ci siamo riferiti al cabaret francese. C'era la moda dell'esistenzialismo...».Che ricordi ha del periodo del Derby?«Era una bel locale il Derby. Siamo stati i primi a esibirci, con Enzo Jannacci: lui è stato il primo come solista e noi come gruppo. Poi sono arrivati Liliana Zoboli, l'avvocato Walter Pinnetti e altri artisti. Massimo Boldi suonava la batteria per accompagnare i cantanti, mentre Diego Abatantuono era il figlio della guardarobiera e nipote del proprietario. Mi ricordo che aveva dieci anni e la sera doveva andare a letto presto, ma voleva rimanere a vedere lo spettacolo». Jannacci com'era?«Era molto simpatico. Era anche il mio medico!».Era bravo?«Insomma!». Lei frequentava pure il bar Jamaica?«È successa una cosa molto particolare al bar Jamaica, dove andavo tutte le sere. Una notte, dopo aver lasciato una delle mie fidanzate - ne ho sempre avute moltissime -, passai lì per bere una cosa prima di andare a dormire. C'era un mio amico che suonava il pianoforte e c'era un contrabbasso attaccato alle pareti, allora suonai un paio di pezzi. A un certo punto vidi un signore con gli occhiali scuri venire verso di me: “Scusi, potrebbe venire con me a quel tavolo? Il Maestro vorrebbe salutarla e farle i complimenti". Io non capivo: “Quale Maestro?". “Venga, venga". Io mi avvicinai e vidi Arturo Benedetti Michelangeli!".Addirittura!«Mi disse: “Le devo fare i miei complimenti perché lei suona benissimo. Vorrei chiederle una cosa...". “Mi dica, quello che posso fare". “Potrebbe suonare ancora per me il contrabbasso?". “Maestro, non me lo dica due volte" e cominciai a suonare come un pazzo! Tornai al tavolo per ringraziarlo e lui disse a quel signore, che era il suo segretario: “Hai preparato l'assegno?". “Sì". Mi mise in mano un assegno di 200.000 lire. “Maestro, senta, io ho suonato volentieri per lei. Se accettassi questo assegno sarebbe come non averlo fatto. Mi lasci questo ricordo meraviglioso". Stracciai l'assegno». Lo ha rivisto?«Passano dei mesi. Con I Gufi andammo a fare uno spettacolo a Verona, in una villa, e sentii suonare da lontano nel prato, un coro di alpini, bellissimo. Allora mi avvicinai e chi incontrai in mezzo al coro? Arturo Benedetti Michelangeli, che era uno degli arrangiatori del coro della Sac!». Ha fatto anche l'attore...«In diversi film. Ricordo, in particolare, Mussolini ultimo atto, con Rod Steiger, uno dei miei miti, Henry Fonda e Franco Nero, ancor oggi uno dei migliori amici. Ho recitato anche in Amarcord di Federico Fellini. Ero uno degli studenti. Gli ho detto: “Maestro, guardi che io sono senza capelli". “Non importa! Metta un cappellino"».E ha suonato per anni con Romano Mussolini...«Quarant'anni! Grande pianista. Una volta eravamo vicino Predappio e lui disse: “Ragazzi, siccome dobbiamo suonare ancora qui, domani mattina venite nella nostra casa di campagna, dove ci sono i nostri camerieri che sono gli stessi di babbo e di mamma e fanno le tagliatelle come le facevano una volta, negli anni Trenta-Quaranta". Allora andammo in questa casa di campagna vicino Predappio. A un certo punto Romano mi disse: “Senti, Lino, hanno dato a mia figlia Rachele un tema sul lavoro di suo papà. Siccome tu sei bravo a scrivere, preparami una cosa". “Romano, io non scrivo a penna, scrivo a macchina". “Vieni, vieni, nello studio del babbo". Uscimmo dalla sala da pranzo ed entrammo nello studio di Benito, che era tutto chiuso. Aprì le finestre: c'erano mobili scuri e un enorme tavolo nero, con i quadri di guerra alle pareti. Rimasi impressionato. Sulla macchina da scrivere degli anni Trenta battei una relazione sul jazz... genere musicale che Benito Mussolini aveva proibito!».
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson