2019-02-07
Quando scoppiò la furia ideologica e travolse anche i partigiani patrioti
La storia della brigata Osoppo testimonia la verità sui fatti del confine orientale. Clicca sul file qui sotto per vedere i nomi dei lettori che hanno aderito alla raccolta firme Firme orrori rossi from La Verità Che le cose si erano messe molto male sulla frontiera orientale italiana non era un mistero per nessuno, nel 1945. La guerra in Europa è finita ufficialmente da pochissimi giorni, quando a Castel San Pietro (Bologna), sul tavolo del comandante della brigata Maiella, avvocato Ettore Troilo, arriva una comunicazione partita da Cormons il 10 maggio. «È la vostra lotta che ha dato la possibilità a noi di esplicare in pieno il nostro sforzo dimostrando così a tutti di quali risorse spirituali sia ricca la nostra Italia. Noi patrioti del battaglione Libertà della 3ª brigata Osoppo-Friuli, siamo ancora qui sulla breccia di fronte all'invadenza slava e ci auguriamo che tutte le forze migliori d'Italia si portino verso questo estremo lembo della patria a difendere i sacrosanti diritti di una terra conquistata dai nostri padri a prezzo di tanto sangue». È un appello disperato, a firma del comandante «Marina» e del delegato politico «Tacito» della 1ª divisione d'assalto Osoppo-Friuli, 3ª brigata, battaglione Libertà-Comando. La brigata Maiella, al contrario della Osoppo-Friuli, non fa parte del Corpo volontari della libertà, è l'unità col più lungo ciclo operativo della guerra di liberazione e del tutto atipica nel panorama variegato della Resistenza: non è una brigata partigiana ma di patrioti, e a quella parola ci tengono. Dal giorno della fondazione, il 5 dicembre 1943, i volontari abruzzesi sono stati inquadrati militarmente dapprima nel V Corpo d'armata inglese e poi nel II Corpo polacco del generale Anders, sempre nell'8ª Armata britannica. Gli inglesi non permetterebbero mai ai 1.500 patrioti giunti dal centro Italia di raggiungere in armi la frontiera orientale, con le jeep, i camion, i mortai e le mitragliatrici pesanti di cui è dotata, né la Osoppo potrà fare argine all'«invadenza slava», che è proprio un'invasione. La resa dei conti aveva avuto il suo tragico preludio dopo l'armistizio. L'orrore era serpeggiato in tutt'Italia quando a dicembre, da una foiba profonda 135 metri, i vigili del fuoco di Pola avevano estratto i cadaveri di ventisei italiani, tra i quali il corpo nudo e mutilato dei seni della ventitreenne Norma Cossetto. Quando i partigiani comunisti li avevano fatti precipitare nell'inghiottitoio carsico erano tutti vivi. Ci sono le immagini dell'Istituto Luce ed esiste un rapporto ufficiale sulla sorte della studentessa: «Detenuta dai partigiani slavi nella ex caserma dei Carabinieri di Antignana viene fissata a un tavolo con legature alle mani e ai piedi e violentata per tutta la notte da 17 aguzzini. Viene poi gettata in foiba (notte dal 4 al 5 ottobre 1943) con un ultimo sfregio al corpo martoriato. L'esecuzione della Cossetto è stata fatta perché, ricercato il padre, fascista, e non trovato, venne arrestata lei al suo posto. Più tardi anche il padre veniva arrestato e massacrato (vedi foiba di Treghelizza) ma ciò così constatato non ha portato alla libertà della figlia innocente». I tedeschi avevano poi identificato e catturato 16 dei 17 criminali con la stella rossa sul berretto responsabili della strage costringendoli a vegliare per una notte il corpo in decomposizione di Norma Cossetto, per poi fucilarli all'alba. Tre di loro erano impazziti. La foiba, parola sin allora pressoché sconosciuta, diventa il luogo fisico dell'odio etnico. Quella del 1943 è solo la prima fase. Nel 1945 le cose precipiteranno. Quando la Osoppo si rivolge alla Maiella, ha già conosciuto sulla sua pelle cosa sia l'odio ideologico che si aggiunge a quello nazionale, se possibile ancor più forte. Nella malga di Porzus, nell'Udinese, tra il 7 e il 18 febbraio 1945, diciassette fazzoletti verdi sono stati fucilati dai partigiani comunisti di Mario Toffanin «Giacca», il quale sarà poi fatto riparare al sicuro all'estero dal Pci (che aveva tentato di attribuire la responsabilità dell'eccidio ai nazifascisti) e a cui l'Inps verserà pure regolarmente la pensione di guerra sino alla morte avvenuta in Jugoslavia nel 1999. Le foibe hanno intanto continuato a inghiottire gli italiani, spinti con le mani legate sul ciglio, mitragliati o gettati vivi, non senza aver concluso la mattanza con lo sgozzamento di un cane nero che secondo una superstizione slava doveva impedire alle loro anime di perseguitare i carnefici.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)