2019-06-11
Qualcuno salvi il mondiale delle donne dalla retorica rosa
La bella vittoria sull'Australia ha scatenato reazioni spropositate, che danneggiano in primis le azzurre.Ho visto l'impresa delle italiane allo stadio di Valenciennes. Non sapevo che l'Australia fosse una delle squadre più forti al mondo, che le giocatrici si chiamassero Matildas dal titolo di una canzone e neppure che venissero pagate quanto i colleghi maschi. E non avevo mai sentito i nomi delle azzurre: Sara Gama, Alia Guagni, Valentina Bergamaschi, Barbara Bonansea…Mi sono commossa quando hanno cantato l'inno di Mameli e ho esultato per il risultato, quel gol al novantacinquesimo ci voleva per zittire le Matildas che, proprio come succede tra i maschi, ci hanno accusato di aver rubato. Non è vero. Quindi brave azzurre e brava anche la ct, Milena Bertolini, che ieri veniva intervistata a nastro da radio, televisioni e giornali come se si trattasse di Enzo Bearzot dopo il 3-1 rifilato alla Germania nella notte magica di Madrid. Beh, c'è una bella differenza nel senso che lei non è Bearzot, anche se l'eroe di Spagna 1982, Paolo Rossi, in un eccesso di entusiasmo ha detto di essersi «rivisto» nei movimenti di Barbara Bonansea, autrice della doppietta. Pablito riprenditi. Ieri invece la Gazzetta dello Sport titolava trionfale: «Le azzurre volano anche in tv: 3,5 milioni di spettatori. Meglio anche di CR7». Infatti, si spiegava nell'articolo, «la finale di Nations league Portogallo-Olanda ha raccolto meno spettatori: 2.959.000, 14,2% di share. Bonansea e compagne meglio di Cristiano Ronaldo, quindi».Senza nulla togliere alle nostre ragazze, brave e ancora brave, si sfiora il ridicolo avventurandosi in parallelismi del genere. Non è una questione sessista, noi donne possiamo fare tutto e meglio. Lo abbiamo dimostrato. Però non prendiamoci in giro: il divario tecnico tra il calcio femminile e quello maschile è, almeno al momento, impietoso. Si assottiglierà, si colmerà con il tempo, ma di strada da fare c'è n'e ed è tantissima. Nell'entusiasmo sfrenato dell'esordio vincente nessuno l'ha scritto, ma va detto, anche per rispetto nei confronti delle nostre atlete che ci hanno messo il cuore. E speriamo continuino a farlo anche contro la Giamaica. Avete visto il gol su rigore di quella che viene definita dalla stampa la «temibile attaccante australiana» Samantha Kerr? L'ha sbagliato, come non lo ciccherebbe un dilettante, tirandolo quasi in bocca a Laura Giuliani, che ha respinto senza riuscire a trattenere. Quindi la Kerr, al secondo tentativo e col portiere a terra, ha infilato la palla in rete. Ebbene mi ha ricordato i «gollonzi» commentati dalla Gialappa's dei tempi d'oro di Mai dire gol. Ma anche le reti della brava Bonansea non passeranno agli annali del calcio. Sicuramente ne farà ancora e più spettacolari. Non sto criticando lei che ha fatto il suo dovere. Ma la retorica altisonante che ha accolto l'impresa delle azzurre. Lo dico con orgoglio di donna: non ne hanno bisogno, forse ad averne bisogno sono i giornalisti frustrati da una nazionale maschile che nemmeno è riuscita a qualificarsi ai mondiali. E che quindi si attaccano anche alla prima speranza.Sulla Bonansea, attaccante della Juventus da Pinerolo, si sono così versati fiumi d'inchiostro, con racconti epici anche sul viaggio dei genitori che, avendo paura di volare, hanno acquistato un camper per «accompagnare da vicino l'esaltante numero 11». Scrive con toni agiografici Sky Sport: «Una favola senza fine per Bonansea, che iniziò a giocare a 4 anni nel Torinese e proprio dai genitori trovò la forza per andare fino in fondo». E via incensando: «Barbara diceva che avrebbe fatto la ballerina qualora non avesse sfondato nel calcio, ora sogna in grande insieme ai suoi genitori. Che non hanno badato ai 1.000 chilometri al volante pur di vederla».Insomma, siamo un Paese che ha bisogno di eroi e basta una partita vinta, anche con qualche fortuna, per innalzare undici ragazze nell'Olimpo del pallone. Anche se di grande calcio non si può parlare, almeno a giudicare dagli assist, dalle punizioni e dai ripetuti fuorigioco che abbiamo visto in tv. Dietro i castelli di retorica c'è anche la spinta del business, perché gli sponsor scesi in campo sono pesanti: da Nike a Visa, da Boots a Barclays, da Adidas a Orange e Hyundai. Certo i numeri sono ancora lontani da quelli maschili, ma i premi sono saliti a 30 milioni di dollari dai precedenti 15 del 2015. Premio raddoppiato anche per le future campionesse del mondo, ci auguriamo italiane, che porteranno a casa 4 milioni. Per esempio Visa ha giustificato l'investimento con le seguenti motivazioni: «Vogliamo celebrare l'empowerment delle donne. Il torneo 2019 può cambiare la percezione del calcio femminile nel mondo e dimostrerà l'impatto positivo di avere più donne leader nell'economia». Quindi se cominciano a girare cifre importanti e interessi è conseguente che i media parlino e straparlino. Non è una novità che obbediscano all'irresistibile richiamo della pubblicità, del potere e del denaro.Resta da chiedersi come mai il livello del calcio femminile non sia ancora degno del grande show. Perché, inutile nasconderlo, così è. In altri sport, come il nuoto ma anche nel tennis, nello sci o nel volley è diverso. Forse la risposta giusta viene da Evelina Christillin, prima donna nel Consiglio Fifa espressa dal calcio europeo, che ha proposto una riduzione del campo di gioco e del tempo, in modo che anche le donne possano esprimersi al meglio. Un'idea che però la ct dell'Italia sembra non promuovere: «Se fosse così, non avremmo vinto 2-1… C'è un fondo di verità, considerando che le ragazze hanno un 20-30 per cento di forza in meno rispetto agli uomini, ma a livello pratico credo sia molto difficile e quindi va bene così», spiega Milena Bertolini. Che, nonostante la meritata soddisfazione per la vittoria, ammette che le azzurre sono tutt'altro che campionesse fatte e finite: «Il livello di questo mondiale si alzerà nelle altre fasi, ma già si vedono partite spettacolari. Non so quando ci arriveremo ma quella è la direzione da prendere. Una nazione come l'Italia non può permettersi più queste differenze di genere. Non dobbiamo farci ingannare dal risultato, ma essere realistici: siamo state grandi nel carattere, ma l'Australia è più avanti. Non siamo ancora al top perché le altre hanno investito».Quindi anche lei rifiuta i toni di esaltazione e sproporzionata esultanza che vanno in onda a reti unificate in queste ore. Anche lei sa che c'è ancora tanto da fare perché il calcio femminile offra spettacolo alla pari di quello dei colleghi maschi: «Dovremo essere brave a tornare alla realtà, con i piedi per terra: se dimentichiamo di essere umili, quanto fatto con l'Australia non servirà». Cosa aggiungere? Nulla, se non che guarderò la partita con la Giamaica e tiferò per le azzurre. Ma per favore basta con i trionfalismi, non ne abbiamo bisogno.
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