2023-07-07
Tutti i collegamenti tra Soros, i giornalisti pro Qatar e il mondo dell’islam radicale
Nel 2019 «Daraj» ammetteva i legami con Open society. La battuta che suona beffarda: «Non ci danno borse di soldi». Un turco vicino agli estremisti mediava tra emiri e politici.I legami tra George Soros, un consorzio di sedicenti giornalisti democratici e i Fratelli musulmani sono assai stretti. Quanto, e attraverso quali nodi, lo raccontiamo in questo articolo. Che segue il sentiero tracciato dal titolo della Verità di ieri: «Per affondare il Qatargate e salvare i socialisti arriva l’“esercito” di Soros». Abbiamo, infatti, rivelato l’opera di revisionismo in corso sullo scandalo che ha coinvolto diversi europarlamentari socialisti accusati di essere a libro paga di Doha. Un pool di media sta utilizzando materiale rubato a una chiacchierata agenzia investigativa svizzera, la Alp services di Ginevra, che sarebbe stata incaricata da Abu Dhabi di «diffamare» i Fratelli musulmani in Europa. Il primo a pubblicare un dossier sulle sue attività di spionaggio è stato il sito di giornalismo investigativo francese Mediapart. Poi la Alp e il suo fondatore Mario Brero sono finiti al centro di una seconda inchiesta giornalistica, quella del settimanale New yorker, in cui si sosteneva che il detective svizzero avrebbe ingaggiato dei giornalisti per colpire i suoi bersagli. Adesso i file pubblicati da Mediapart e New yorker hanno iniziato a girare all’interno di un circuito giornalistico internazionale in cui i cronisti dei singoli Paesi stanno cercando risvolti locali. strani «panarabi»Tra i soggetti interessati ad avere chiarimenti c’è anche un network «panarabo», Daraj media, nato nel 2017 con base a Beirut e diretto da Alia Ibrahim. Sul sito internet della società apprendiamo che tra i finanziatori c’è la Open society foundations del filantropo ungherese. Il sostegno finanziario di Soros a Daraj che si definisce «indipendente» non è passato inosservato in questi anni. Anzi, il 5 novembre 2019 la stessa cofondatrice Alia Ibrahim ha pubblicato sul sito un lungo intervento per rispondere ad alcuni «utenti di social media non identificati» che avevano accusato la società di essere «agenti di Soros». La Ibrahim vi ricorda che inizialmente, «il piano era di finanziare Daraj come start-up tramite fondi di capitale di rischio. Quindi abbiamo registrato Daraj come società a scopo di lucro, con Beirut come sede». Ma «il giornalismo in cui crediamo è costoso e non può essere redditizio, perché si rivolge a coloro che detengono il potere ed è guidato principalmente dal desiderio di ritenerli responsabili delle loro azioni, e quindi rappresenta una minaccia per i loro interessi». Insomma, per colpa dei soliti poteri forti, delle multinazionali etc, Daraj ha dovuto trovare fonti di entrate alternative. E così, prosegue Ibrahim, «i nostri amici arabi solidali che ci avevano preceduto nello spazio dei media indipendenti sostenuti da organizzazioni internazionali, come l’Arab teporters for investigative journalism (Arij) in Giordania di cui ora facciamo parte, hanno fatto le presentazioni necessarie per metterci in contatto con organismi internazionali». Quali? «Abbiamo stabilito relazioni con International media support a Copenaghen, European endowment for democracy a Bruxelles e Open society foundations a New York», scriveva la Ibrahim. Sottolineando che «il finanziamento estero non è reato. Nessuna legge lo vieta. E niente al riguardo compromette nessuno dei nostri principi» perché - e questo è un passaggio importante - «condividiamo gli stessi obiettivi e valori con queste organizzazioni che non nascondono alcun programma segreto o cospirazioni per distruggere le società. I loro valori sono chiaramente indicati sui loro siti web e disponibili anche in arabo». Dopo tutto questo panegirico, la direttrice e cofondatrice di Daraj nel 2019 chiosava: «Per coloro che se lo stanno chiedendo, non abbiamo mai incontrato Georges Soros, né nessuno dei suoi ci ha offerto borse di denaro. Non è questa la sede per difendere Soros o la sua organizzazione. L’uomo è pienamente in grado di difendere se stesso e il lavoro che sta facendo». all’ombra dei cedriFine della polemica e di quello che la stessa Ibrahim aveva definito ironicamente «grande complotto»? Non proprio. Perché sul sito libanese thisisbeirut.com lo scorso 15 maggio è apparso un articolo firmato da Natasha Metni Torbey in cui si racconta che dietro le centinaia di associazioni nate in Libano negli ultimi anni, spunta spesso il nome di George Soros. Dal 2019, il miliardario americano di origini ungheresi concentra i suoi sforzi sulla regione. E, più in particolare in Libano. Da dove nasce questo interesse e quali sono queste organizzazioni finanziate da Open Society, si chiede la Torbey. Sottolineando che Soros «ha avuto il genio di inventare una controrivoluzione preventiva. Disponendo di una rete sociale di Ong operanti in vari campi e settori della società, è stato in grado di anticipare le proteste future e orientarle in una direzione favorevole alle sue opinioni e ai suoi interessi».Torbey scrive che «secondo una fonte, la somma di 3.618.000 dollari sarebbe stata trasferita in Libano dalla sua fondazione, Open Society. Nel 2020, la Rivoluzione d’Ottobre era al suo apice. Quell’anno, il finanziamento della Fondazione Soros raggiunse ufficialmente i 4,3 milioni di dollari; mentre altre fonti affermano che la somma ammontava a 6.655.000 dollari. Un investimento che è stato ridotto a circa 2,6 milioni di dollari nel 2021. Pertanto, il totale degli ultimi tre anni oscillerebbe tra 10.518.000 e 12.873.000 dollari». Ma chi sono i principali beneficiari? «È importante sottolineare che il 9% dei finanziamenti utilizzati da Open Society in Libano è destinato ai media e alla stampa, il 5% a questioni relative alla giustizia e il 7% a movimenti e associazioni di difesa dei diritti umani», si legge nell’articolo. Dove si cita, tra gli altri, anche Daraj media.Ma torniamo da dove siamo partiti, ovvero dall’operazione messa in piedi per smontare il Qatargate. Ricordando alcune coincidenze rilevate dalla Verità il 17 dicembre 2022. I progressisti e le Ong implicate nello scandalo erano in ottimi rapporti con Open society. L’attività lobbistica del Qatar in Europa ricorda non poco lo schema sperimentato da Soros e dalla sua Open society. Nel mirino di Doha c’erano, oltre ai Mondiali di calcio, anche l’esenzione dall’obbligo dei visti per i cittadini del Qatar e la liberalizzazione dei voli per e dall’Europa, ma probabilmente anche delle azioni per danneggiare alcuni Paesi del Golfo rivali. E, così, sarebbero arrivati fondi per oliare i meccanismi della burocrazia e per ottenere qualche dichiarazione favorevole in aula e sulla stampa. Pressing, insomma. Altra coincidenza: Antonio Panzeri, che stando alle accuse della Procura belga sarebbe uno dei perni attorno ai quali ruota tutta l’indagine sul Qatargate, veniva definito in un dossier per Open society come «alleato affidabile» dell’associazione di Soros. Ma nella lista degli alleati del miliardario con il pallino della filantropia e che finanzia le Ong dei taxi del mare nel Mediterraneo compariva anche il bassoliniano di ferro Andrea Cozzolino, europarlamentare dem napoletano che in Europa guidava il gruppo di lavoro sul Maghreb, assistito a Bruxelles da uno dei pezzi da 90 dell’indagine, Francesco Giorgi, compagno di Eva Kaili. L’altro uomo dell’inchiesta è Niccolò Figà Talamanca, segretario della Ong fondata nel 1993 da Emma Bonino e celebre per le battaglie per la protezione dei diritti umani No peace without justice. La vicinanza di Bonino a Soros è nota. Lo stesso deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova, non ha smentito, anzi: «Alcuni candidati di +Europa hanno ricevuto un contributo diretto da parte di Soros per le spese della campagna elettorale. Il filantropo di origini ungheresi da tempo condivide e sostiene i nostri valori europeisti e le nostre battaglie per i diritti umani e lo Stato di diritto».contatti loschiAltre coincidenze? All’inizio di marzo La Verità ha pubblicato una serie di articoli su Hakan Camuz, misterioso uomo d’affari legato alla famiglia del presidente turco Erdogan che sarebbe stato l’ufficiale di collegamento tra Panzeri, Giorgi e i presunti corruttori del Qatar. In quella inchiesta avevamo citato anche un interessante dossier pubblicato sul sito di DisInfo Lab (organizzazione che combatte la disinformazione e la propaganda) e dedicato alla campagna di boicottaggio lanciata dal gruppo estremista dei Fratelli musulmani contro l’India. È stata, si legge, «la prima campagna aperta di Fm attraverso il nuovo nesso emergente di Qatar-Turchia-Pakistan, soprannominato QTPi». Una pericolosa saldatura quella tra Fm e Qatar che avrebbe avuto in Camuz un suo prezioso addentellato. Nel lungo report pubblicato dal sito viene descritta l’«industria del conflitto» e il ruolo dei cosiddetti «attivisti avvoltoi» il cui interesse non è risolvere gli scontri, ma prolungarli coinvolgendo diversi Stati/religioni/etnie. Lo studio prosegue facendo una lista di volti e organizzazioni «produttori di rumore». Ed ecco che spuntano Camuz e la Stoke white a cui veniva dedicato un intero capitolo. Le persone chiave che riportano al sito dello studio legale Stoke white, che fa invece riferimento alla Stoke white limited, sono Camuz e Khalil Dewan, capo delle investigations presso la società, dal giugno 2021. Dewan nel 2018 ha anche lavorato come ricercatore presso Middle east monitor, un sito di notizie che promuove la visione pro Fratellanza e pro Hamas. Il turco Camuz non era però il solo mediorientale protagonista della vicenda legata al Qatargate. Accanto a lui, aveva scritto sempre La Verità a marzo, compare anche Hassan Dergham, un giovane che vive a Istanbul ma ha il «cuore in Palestina» ed è di Tripoli, in Libano.
Jose Mourinho (Getty Images)