2025-05-04
Cina, islam, progressismo. Con lo Spirito, pure gli Stati sussurrano ai cardinali
Il cardinale Pietro Parolin (Imagoeconomica)
Washington critica la politica pro Pechino e i milionari sostengono Burke. L’Africa boccia candidati francesi, la Svezia le frontiere spalancate. L’Italia gradisce Parolin.Guardare in basso. In attesa di seguire lo Spirito Santo, meglio seguire il flusso dei soldi e del potere temporale per capire le mosse del pre-conclave. Il più mediatico della storia, quello più condizionato da accordi sotterranei, neanche fosse un congresso della Dc anni Ottanta. Chi si ferma alla pagliacciata di Donald Trump con la veste papale si accontenta del folclore, ma dietro ci sono pressioni e interessi che una Chiesa con un buco di 70 milioni non può che favorire.Il messaggio trumpiano via intelligenza artificiale ha un retroterra significativo. La Casa Bianca prova ad essere kingmaker e da tempo ha i suoi candidati: sono i tradizionalisti Raymond Burke e Timothy Dolan. Il primo è il noto «nemico pubblico numero uno» di papa Francesco, che gli tolse casa e prebende per emarginarlo e non lo ha mai riavvicinato. Troppo conservatore e divisivo per salire al soglio pontificio, il cardinale del Wisconsin è considerato tuttavia un fattore per via della fitta rete di interessi che è riuscito a tessere. Il suo primo sostenitore è Peter Thiel, fondatore di PayPal e finanziatore del partito repubblicano (è stato la cassaforte di J.D. Vance in Ohio), nonché avversario storico della finanza e della cultura woke. Della squadra fa parte anche il miliardario californiano dell’immobiliare Timothy Busch, che ha fatto una donazione di 15 milioni di dollari per costruire alcuni nuovi edifici del Santuario dell’Immacolata Concezione a Washington, la più grande basilica cattolica nel Nord America. Quanto a Dolan, l’investitura è arrivata direttamente da Trump in San Pietro, con l’incontro in favore di telecamere prima dei funerali di Jorge Bergoglio, alla presenza anche di Melania. È fondamentale anche tenere conto della geopolitica. La Casa Bianca chiede che il prossimo pontefice rallenti la marcia di avvicinamento alla Cina, accelerata dal protocollo della discordia che papa Francesco ha firmato con Pechino nel 2018. Allora il segretario americano, Mike Pompeo, si precipitò in Vaticano per impedire che l’accordo diventasse realtà. Il dossier è stato motivo di forti polemiche: oggi i vescovi in Cina vengono nominati dal Vaticano ma devono essere approvati da Xi Jinping. E le persecuzioni non sono finite. «Quell’accordo è stato siglato sulla pelle dei cristiani», ha ripetuto il cardinale emerito di Hong Kong, Joseph Zen. Il nuovo Papa avrà il compito di confermarlo o farne una fumata nera. La politica è destinata a entrare in conclave e chi vorrà avere i voti dei cardinali africani dovrà offrire garanzie di discontinuità con le aperture gesuitiche su coppie gay, transgender e mondo musulmano, osteggiate da un intero continente con ben altre priorità. Quando il cardinale Víctor Manuel Fernández siglò la lettera sulla benedizione alle coppie omosessuali, l’arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo, si presentò in Santa Marta e disse bruscamente a Francesco che i vescovi africani non avrebbero seguito le indicazioni. Per contrapposizione geopolitica, quella Chiesa è pronta a bocciare il candidato progressista battezzato con troppa fretta da Emmanuel Macron, Jean Marc Aveline, anche in chiave antifrancese e anticolonialista.Da secoli la lunga mano di Parigi tenta di condizionare il conclave. Per tre volte i francesi provarono a portare via il papato da Roma: nel Trecento, con il grande scisma e poi con Napoleone. E Charles De Gaulle non fece mistero di avere sponsorizzato papa Giovanni XXIII, già nunzio apostolico a Parigi. Questa volta l’Eliseo, che spera nella totale continuità con Francesco, ha trovato in casa un formidabile oppositore: il tycoon Vincent Bolloré, vicino alla tradizione (e con enormi interessi in Africa), che da un anno ha lanciato sui suoi media il cardinale guineiano Robert Sarah. Secondo la nervosissima sinistra francese, il giorno dopo la morte del Papa, Sarah è stato citato 70 volte sui media della galassia Vivendi per la sua difesa delle radici cristiane, per l’ostilità all’islam radicale e all’ideologia woke.Come dicono a Genova, «qui ciascuno ha la sua convenienza». Ce l’ha l’ultraprogressista Chiesa tedesca (il cardinal Reinhard Marx viene definito «più a sinistra dell’omologo Karl, ma senza la sua genialità») che pretende di accalappiare fedeli a pagamento seguendo le loro mode. Quindi viva le svolte green, via il celibato dei preti, largo al sacerdozio femminile. Con il risultato di far fuggire il gregge dalle chiese. In Spagna, dove impera il relativismo, al potere socialista conviene ancora un Papa contrario alla tradizione. Con Pedro Sánchez alla Moncloa, la chiesa spagnola ha accettato ogni affronto, perfino la definizione di «essere umano» delle scimmie. Pure la Svezia è scesa in campo. Ha un suo cardinale, Anders Arborelius, e lo vorrebbe Papa per confrontarsi con il mondo protestante e per allontanare la pervasiva presenza musulmana. Quanto a Israele, il ritorno alla tradizione sarebbe il benvenuto. Ma non col nunzio apostolico, Pierbattista Pizzaballa, percepito come troppo aperturista: dopo la strage del 7 ottobre si offrì come ostaggio di Hamas. Per l’eterogenesi dei fini, il gesto fu visto come un’antipatica ingerenza politica. E l’Italia? Si è scritto tutto e il suo contrario. Di sicuro la grande finanza cattolica, sulle orme dei «papi laici» Giuseppe Guzzetti e Giovanni Bazoli, conosce a memoria le strade per arrivare a dire messa su ogni altare. Ma un candidato come Parolin potrebbe dare maggiori garanzie di unità rispetto agli altri, troppo condizionati dalla comunità di Sant’Egidio. Sulla cupola sacra viene montato il comignolo e i fedeli sono pronti a guardare in alto. Ma gli accordi che contano vengono siglati ad altezza scrivania.
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Nel libro postumo Nobody’s Girl, Virginia Giuffre descrive la rete di abusi orchestrata da Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e ripercorre gli incontri sessuali con il principe Andrea, confermando accuse già oggetto di cause e accordi extragiudiziali.