2025-04-04
Pure la Nato nei negoziati con gli Usa tra riarmo e shopping Oltreoceano
Marco Rubio (Getty Images)
Rubio giura: non vi abbandoniamo se devolvete il 5% del Pil alla Difesa. Gli alleati: le tariffe violano il Patto. Se Trump faciliterà l’export di mezzi bellici, potrebbero garantirgli acquisti in cambio di sconti alle dogane.Il generale dazio entra anche al quartier generale della Nato. Ieri, a Bruxelles, il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione si è svolto con un ospite speciale: il segretario di Stato americano, Marco Rubio. Sul tavolo c’era la questione dell’aumento delle spese militari; «il più grande dalla fine della guerra fredda», ha commentato Mark Rutte. Gli Usa, ha insistito il capo politico dell’Alleanza, si aspettano passi concreti da europei e canadesi. E il funzionario statunitense è stato chiaro: Washington vuole che «ogni singolo membro si impegni e mantenga la promessa di raggiungere fino al 5% della spesa» militare sul Pil. Tuttavia, la partita dei fondi per la Difesa si incrocia con i negoziati sulle tariffe introdotte da Donald Trump.La questione, ieri, è stata sollevata apertamente. Ottawa ha collegato l’imperativo della sicurezza comune a quello della sicurezza economica. E sia la Norvegia sia l’Italia hanno evocato l’articolo 2 del Trattato Nato, che prescrive ai contraenti di sforzarsi di «eliminare i conflitti nelle loro politiche economiche internazionali» e di incoraggiare «la collaborazione economica» reciproca. L’imposizione dei dazi - ha argomentato il titolare della Farnesina, Antonio Tajani - è «contraria» a questa logica e, dunque, ostacola il proposito di devolvere al riarmo il 5% della ricchezza delle nazioni. Benché Rutte abbia dribblato una domanda sulla paventata guerra commerciale Usa-Europa («La Nato non è un forum economico», ha tagliato corto), il Vecchio continente e il Canada hanno tentato di indicare una strada per intavolare un dialogo con l’amministrazione repubblicana. Trump mantiene il coltello dalla parte del manico. È difficile credere che molli l’osso in cambio di un onere che i partner, in ogni caso, avrebbero dovuto assumersi. E all’Alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, non servono certo altri incentivi per spingere sul riarmo, sebbene l’estone abbia provato a evitare di firmare una cambiale su quel fatidico 5%. Il punto è che il tycoon, semmai, potrebbe essere ingolosito dalle opportunità di business per le industrie a stelle e strisce.È qui che emerge l’importanza della notizia trasmessa da Reuters un paio di giorni fa: The Donald si appresterebbe a diramare un ordine esecutivo per snellire le procedure di autorizzazione, da parte del Congresso, all’esportazione di equipaggiamento militare. Sarebbe una manna per i giganti del settore: Lockheed Martin (la casa produttrice del caccia F-35), Rtx Corporation (quella che costruisce i missili antiaerei Patriot, di cui ha disperato bisogno l’Ucraina), Boeing (vincitrice dell’appalto per il jet multiruolo di sesta generazione, l’F-47). E dal momento che, per raggiungere davvero una condizione di «Prontezza» entro il 2030, come va predicando la Commissione Ue, le capacità delle aziende europee non sembrano sufficienti, la promessa di una campagna acquisti europea in America potrebbe ingolosire il presidente col ciuffo biondo. In fondo, la dottrina del «Mar-a-Lago accord», che ispira la politica dei dazi, punta proprio a questo: riequilibrare la bilancia commerciale, facilitando la vendita di prodotti americani all’estero. Forse non è un caso che Emmanuel Macron, speranzoso di portare i campioni francesi al banchetto del piano Von der Leyen, ieri abbia insistito per una reazione muscolare alle misure di The Donald, remando nella direzione opposta: lo stop agli investimenti Oltreoceano.La visita di Rubio in Belgio è servita anche a rassicurare i membri del Patto atlantico sulle intenzioni di Washington. «Vedo dell’isteria in giro per il mondo e anche negli Stati Uniti: gli Usa», ha giurato, «sono attivi nella Nato come non mai. Il presidente Trump ha chiarito che sostiene la Nato. Rimarremo nella Nato. Ma vogliamo che la Nato sia più forte. Vogliamo che la Nato sia più vitale. E l’unico modo in cui la Nato può diventare più forte e vitale» è che i partner si rendano maggiormente autonomi. L’Alleanza, in effetti, è costituita da «Paesi ricchi che hanno la capacità di fare di più. Capiamo», ha aggiunto il diplomatico, «che bisogna fare dei compromessi. Abbiamo anche noi esigenze interne, ma abbiamo dato la priorità alla Difesa a causa del ruolo che abbiamo svolto nel mondo. E vogliamo che i nostri partner facciano lo stesso. E capisco che ci sia la politica interna, dopo decenni di costruzione di vaste reti di sicurezza sociale e che forse non si vuole ridurre tutto questo per investire di più nella sicurezza nazionale. Ma gli eventi degli ultimi anni […] ci ricordano che la forza bruta», l’hard power in quanto contrapposto al soft power, «è ancora necessaria come deterrente».gli anglofrancesiNessun abbandono dell’Europa, quindi. «Il presidente Trump», ha precisato Rubio, «non è contro la Nato. È contro una Nato che non ha le capacità necessarie per adempiere agli obblighi che il trattato impone a ogni singolo Stato membro». Dopodiché, il disimpegno dal Vecchio continente per concentrarsi sull’Indo-Pacifico sarà inevitabile. Però, ha spiegato Rutte, sarà «graduale» e non avverrà «all’improvviso», anche se l’olandese, da sempre in buoni rapporti con Trump, già la prossima settimana volerà in Giappone, a discutere dello scenario geopolitico che più interessa all’America, in lotta col Dragone. Nel frattempo, le iniziative di parziale secessione da Washington arrancano. Se è vero quanto ha riferito ieri il Financial Times, ad esempio, la famigerata coalizione anglofrancese dei volenterosi, finora inconcludente sul piano militare, su impulso di Londra, si starebbe reinventando quale «istituzione sovranazionale», con il compito di procedere ad acquisti congiunti di materiali bellici attraverso un fondo multilaterale. Da contingente per l’Ucraina a comitato d’affari. E dove andrebbe a farli? Magari negli Stati Uniti?
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