
Respinta la richiesta dei legali dell'ospedale londinese per cui la madre doveva essere esclusa dal processo che deciderà sulla bimba in coma. Motivo: il suo credo islamico condanna il distacco dei supporti artificiali.Adesso la vita di Tafida Raqeeb, la bambina inglese di cinque anni in coma da mesi a causa di un grave malore, rischia di diventare una questione di carattere religioso. Perché pur di riuscire a spegnere il respiratore che la aiuta a vivere, la Fondazione Bart, che sovrintende al Royal London hospital, dove la bimba è ricoverata, ha richiesto un'udienza straordinaria davanti alla Corte inglese appellandosi alla teologia. Nell'istanza urgente presentata giovedì al Tribunale si chiedeva infatti di revocare la rappresentanza e quindi la presenza come parte in causa di Shelina Begum, la madre di Tafida, nel processo in cui si deve decidere del futuro della paziente. La motivazione per questa estromissione? Il fatto che è musulmana e la religione islamica condanna fermamente il distacco dei supporti artificiali. Per questa ragione, secondo il team di avvocati che segue la clinica, la mamma della piccola non sarebbe in grado di rappresentare adeguatamente la bambina e i suoi interessi. A dimostrarlo sarebbe anche la sentenza di diritto islamico emanata in proposito dal Consiglio islamico d'Europa, in base alla quale per un islamico «sarebbe inammissibile consentire la rimozione dei supporti vitali, anzi sarebbe un grave peccato». Secondo i legali della clinica, dunque, nessun musulmano potrebbe occuparsi del caso in modo obiettivo e con animo equilibrato per il timore di peccare. Una vera assurdità. Anche perché certi valori religiosi, insieme all'affetto, sono probabilmente all'origine della battaglia che la famiglia Raqeeb ha deciso di ingaggiare contro il sistema sanitario inglese, pur sapendo che in passato - ad esempio nei casi di Charlie Gard e Alfie Evans - sforzi analoghi sono stati inutili. Ma in fondo, la convinzione che non si possano staccare le macchine che aiutano una bimba innocente a respirare è condivisa anche dalla religione cattolica (contraria all'eutanasia) e, per la verità, pure dalle persone agnostiche che però nutrono la speranza nelle risorse della scienza e dell'animo umano. A dispetto di ciò, la Fondazione Bart ha avanzato la sua richiesta al giudice Alistar MacDonald, sostenendo che la madre di Tafida e in generale nessun musulmano potesse presentarsi in corte come «litigation friend», ovvero legale di supporto, in forza del proprio credo. Probabilmente un trucco per togliersi di torno una madre agguerrita e competente, visto che di mestiere fa l'avvocato, che ha finito per trasformarsi in un'affermazione contraria alla libertà di fede e quasi al limite dell'islamofobia. «Fortunatamente la Corte ha respinto l'istanza», commenta l'avvocato Filippo Martini, dell'associazione Giuristi per la vita che segue la famiglia Raqeeb in Italia - «e ha affermato che Tafida può rimanere parte in causa, con una rappresentanza legale in giudizio, in quanto ha un primario interesse in esso». In effetti, l'udienza che comincerà lunedì e si protrarrà fino a venerdì, per cinque giorni consecutivi, deve decidere del «suo» futuro. I genitori vorrebbero trasferirla all'ospedale Gaslini di Genova, che ha accettato di assisterla e di ospitarli, mentre l'ospedale inglese richiede il permesso di staccare la spina del suo respiratore, perché secondo i dottori non c'è alcuna speranza di ripresa. Giovedi pomeriggio in aula il confronto tra le due parti è stato serrato, ma alla fine l'avvocato David Lock, che difende Shelina Begum e Mohammed Raqeeb, i genitori della piccola, ha precisato come sia assurdo pensare che «a chiunque sia di fede islamica si debba impedire di diventare rappresentante presso la corte per Tafida». L'ultima mossa del Royal London hospital per evitare la presenza della madre di Tafida al processo, comunque, lascia intuire quanto acceso e senza riserve sarà il dibattimento della prossima settimana. I toni sono destinati ad alzarsi e finiranno per attirare l'attenzione del pubblico. Anche il giudice Alistar MacDonald se ne è reso conto. Per questo alla fine dell'udienza di giovedì ha invitato le parti a tenere moderato il livello di scontro durante le prossime sedute. Un ammonimento determinato dalla consapevolezza dell'alto tasso emotivo del caso.
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