Ora che la riforma carceraria va in archivio, la Lega e il M5s abbiano il coraggio di cambiare rotta per far funzionare la giustizia. Chi mente va punito severamente come negli Usa, anche se è l'imputato. La prescrizione deve essere interrotta durante il processo.Gli avvocati sono in lutto: la riforma carceraria non ha fatto in tempo a partire e difficilmente quei forcaioli di Lega e M5s la rimetteranno in pista. Il che è proprio quello che ogni persona dabbene si augura: in un Paese dove il processo penale si conclude 100.000 volte all'anno (trend in aumento) con la prescrizione, ci manca solo che la già esistente garanzia di non finire in prigione per pene fino a 3 anni sia incrementata fino a 4 anni; per non parlare di tutto il resto, in particolare dell'assenza di ogni progetto di costruzione di nuove carceri. In realtà le cose potrebbero peggiorare, sempre dal punto di vista avvocatesco: come ho già scritto su questo giornale, il programma giustizia di Lega e M5s non è niente male. Sarebbe bene integrarlo con un paio di iniziative coraggiose.Bisogna capire che la garanzia di impunità chiamata prescrizione (la durata media del processo penale è 7-8 anni; la grande maggioranza dei reati si prescrive in 6 anni e mezzo) non è solo odiosa e irragionevole in sé stessa; è anche causa prevalente dell'inefficienza del sistema giustizia penale. Con 3 milioni l'anno di processi nuovi, è ovvio che l'unica possibilità di farcela a celebrarli tutti è il ricorso massiccio al patteggiamento (c'è anche l'abbreviato, che però serve solo ai delinquenti per avere una pena più bassa; lo usano quasi solo gli assassini, che così si evitano l'ergastolo). Ma nessuno patteggia perché tutti sanno che, con un po' di fortuna e parecchi soldi (gli avvocati costano), riusciranno ad agguantare la prescrizione. Quindi processi in quantità industriale, tempi di definizione biblici, prescrizioni in aumento continuo, delinquenti in libertà e - che è la cosa più grave - consapevoli della quasi certa impunità. Che cosa fare è ovvio. Quando il processo comincia la prescrizione si interrompe; come succede dovunque nel mondo.Sulla falsa testimonianza c'è davvero da ridere, se non ci fosse da piangere. Come è ovvio, il processo si fonda sulle prove: documenti, perizie, intercettazioni (si, proprio loro), testimonianze. Il giudice non c'era quando il reato è stato commesso; deve capire come è andata ricostruendo il fatto: e i testimoni servono a questo. Naturalmente i delinquenti non sono molto contenti di essere incastrati da quelli che hanno visto o sentito e che raccontano tutto: da qui soldi e minacce; poi no, non è vero, non so, non ricordo e conseguenti assoluzioni. Tanto evidente è questa considerazione, che gli ordinamenti giuridici di tutti i Paesi sanzionano severamente la falsa testimonianza: come si fa a fare un processo se i testimoni possono mentire impunemente? Addirittura, negli Usa, li arrestano seduta stante, dall'aula di udienza direttamente in prigione; usciranno quando diranno la verità; altrimenti oltraggio alla Corte e 5 anni di galera. Insomma, mentire ai giudici non si può: se si potesse, fine della giustizia. Però in Italia si può; nel senso che è proibito, ma se lo fai non ti succede niente. Articolo 372 codice penale: falsa testimonianza, da 2 a 6 anni; che, nella pratica, significa (con patteggiamento e attenuanti generiche) 8 mesi, naturalmente finti (sospensione condizionale della pena o misure alternative, tipo assistenza ai vecchietti in casa di cura per un'ora alla settimana). C'è dubbio sulla scelta tra questa eventualità (mai certezza, sempre la prescrizione c'è) e i congrui riconoscimenti da parte dei delinquenti beneficiati? Anche qui, cosa fare è evidente: si copia anche su questo punto il codice di procedura in vigore negli Usa (d'altra parte lo abbiamo fatto nel 1988) e al testimone falso gli si fanno vedere i sorci verdi.Tutto questo ha anche un utile corollario che raccomando caldamente ai futuri legislatori. Il fatto è che, nel nostro straordinario codice di procedura penale, è previsto che l'imputato menta. Proprio così, l'imputato ha il diritto di dire bugie. Attenzione, questo diritto non ha nulla a che fare con il diritto costituzionale in base al quale nessuno può essere obbligato ad accusarsi, cui fa da contraltare l'obbligo dell'accusa di fornire le prove della colpevolezza. Ovviamente è diritto dell'imputato tacere: sia il pm a provare che è colpevole. Ma fornire prove false, mentendo, questa è tutta un'altra storia. Il giudice è obbligato a valutare tutte le prove che gli vengono sottoposte nel corso del processo; e non ha senso obbligarlo a valutare prove false per definizione (se l'imputato ha diritto di mentire, quanto dice non può mai essere attendibile), addossandogli l'onere di confutarle (se non lo fa, la sentenza sarà annullata). Dunque deve esservi una garanzia che le dichiarazioni dell'imputato siano vere; il che può avvenire solo se gli viene attribuito lo status di testimone, con tutte le conseguenti responsabilità penali. Scelga di non tacere, testimoni a favore di sé stesso e dica il vero; se mente sarà trattato come un qualsiasi teste falso. Che, tanto per cambiare, è proprio quello che succede negli Usa, il cui codice abbiamo copiato, salvo nelle parti che gli consentono di funzionare.Naturalmente ci sono tante altre cose da fare: abolizione del rito abbreviato e dell'Appello, riforma del patteggiamento, riduzione dei benefici carcerari, costruzione di nuove carceri, per non citare che le più urgenti. Ma già comprendere che l'inefficienza della giustizia pubblica conduce inesorabilmente alla diffusione della giustizia privata e, dunque, al collasso della convivenza civile sarebbe un progresso insperato.
Ambrogio Cartosio (Imagoeconomica). Nel riquadro, Anna Gallucci
La pm nella delibera del 24 aprile 2024: «Al procuratore Ambrogio Cartosio non piacque l’intercettazione a carico del primo cittadino di Mezzojuso», sciolto per infiltrazione mafiosa. Il «Fatto» la denigra: «Sconosciuta».
Dopo il comunicato del senatore del Movimento 5 stelle Roberto Scarpinato contro la pm Anna Gallucci era inevitabile che il suo ufficio stampa (il Fatto quotidiano) tirasse fuori dai cassetti le presunte valutazioni negative sulla toga che ha osato mettere in dubbio l’onorabilità del politico grillino. Ma il quotidiano pentastellato non ha letto tutto o l’ha letto male.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex capo della Dna inviò atti d’impulso sul partito di Salvini. Ora si giustifica, ma scorda che aveva già messo nel mirino Armando Siri.
Agli atti dell’inchiesta sulle spiate nelle banche dati investigative ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo, che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate, ci sono due documenti che ricostruiscono una faccenda tutta interna alla Procura nazionale antimafia sulla quale l’ex capo della Dna, Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare pentastellato, rischia di scivolare. Due firme, in particolare, apposte da De Raho su due comunicazioni di trasmissione di «atti d’impulso» preparati dal gruppo Sos, quello che si occupava delle segnalazioni di operazione sospette e che era guidato dal tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano (l’uomo attorno al quale ruota l’inchiesta), dimostrano una certa attenzione per il Carroccio. La Guardia di finanza, delegata dalla Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo già costruito a Perugia da Raffaele Cantone, classifica così quei due dossier: «Nota […] del 22 novembre 2019 dal titolo “Flussi finanziari anomali riconducibili al partito politico Lega Nord”» e «nota […] dell’11 giugno 2019 intitolata “Segnalazioni bancarie sospette. Armando Siri“ (senatore leghista e sottosegretario fino al maggio 2019, ndr)». Due atti d’impulso, diretti, in un caso alle Procure distrettuali, nell’altro alla Dia e ad altri uffici investigativi, costruiti dal Gruppo Sos e poi trasmessi «per il tramite» del procuratore nazionale antimafia.
Donald Trump e Sanae Takaichi (Ansa)
Il leader Usa apre all’espulsione di chi non si integra. E la premier giapponese preferisce una nazione vecchia a una invasa. L’Inps conferma: non ci pagheranno loro le pensioni.
A voler far caso a certi messaggi ed ai loro ritorni, all’allineamento degli agenti di validazione che li emanano e ai media che li ripetono, sembrerebbe quasi esista una sorta di coordinamento, un’«agenda» nella quale sono scritte le cadenze delle ripetizioni in modo tale che il pubblico non solo non dimentichi ma si consolidi nella propria convinzione che certi principi non sono discutibili e che ciò che è fuori dal menù non si può proprio ordinare. Uno dei messaggi più classici, che viene emanato sia in occasione di eventi che ne evocano la ripetizione, sia più in generale in maniera ciclica come certe prediche dei parroci di una volta, consiste nella conferma dell’idea di immigrazione come necessaria, utile ed inevitabile.
Adolfo Urso (Imagoeconomica)
Il titolare del Mimit: «La lettera di Merz è un buon segno, dimostra che la nostra linea ha fatto breccia. La presenza dell’Italia emerge in tutte le istituzioni europee. Ora via i diktat verdi o diventeremo un museo. Chi frena è Madrid, Parigi si sta ravvedendo».
Giorni decisivi per il futuro del Green Deal europeo ma soprattutto di imprese e lavoratori, già massacrati da regole asfissianti e concorrenza extra Ue sempre più sofisticata. A partire dall’auto, dossier sul quale il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha dedicato centinaia di riunioni.






