2022-05-29
Psicosi pandemia pure sulle bufale. Abbattuti 140.000 esemplari sani
La legge dispone la soppressione dei capi con brucellosi o tubercolosi. Ma degli animali uccisi nel Casertano soltanto il 2% è poi risultato contagiato. Un’inutile strage e una condanna al comparto della mozzarella.e miopia sanitaria che ha caratterizzato i due anni di gestione pandemica. E sempre di epidemie stiamo parlando, quelle di brucellosi e tubercolosi, che avevano colpito gli allevamenti di bufale del casertano, in Campania, nel lontano 2007. In ballo oggi c’è il futuro dell’oro bianco italiano, la mozzarella (il 60% di quella di bufala si produce in quest’area), e un lavoro ereditato da generazioni, parte integrante della cultura del nostro Paese. Ma anche il destino di centinaia di migliaia di bufale mandate incredibilmente al macello anche se sane: finora, ne sono state abbattute 140.000, inutilmente. Sulla questione è intervenuto direttamente il ministro della Salute Roberto Speranza, interpellato in un recente Question Time alla Camera. Riavvolgiamo il nastro. «Quando, quindici anni fa, la brucellosi e la TBC colpirono gli allevamenti campani - racconta Gianni Fabbris, portavoce del Coordinamento in difesa del patrimonio Bufalino - scattò il piano straordinario antibrucella; in otto anni la diffusione scese dal 18% a zero». Merito della vaccinazione delle bufale, ma anche di un clima di «condivisione, coinvolgimento e ascolto» che oggi, dopo l’affidamento del piano di gestione ordinaria alla Regione Campania, è soltanto un lontano ricordo. «Dal 2015 è cambiato il quadro», spiega Fabbris, che dal 18 maggio ha imboccato la strada estrema dello sciopero della fame per protestare, e parla con la flebo attaccata al braccio. «La vaccinazione non si fa più: invece di prevenire, si interviene a valle». In che modo? Abbattendo tutti gli animali senza però verificarne la reale positività.Speranza replica appellandosi ai riferimenti normativi: «La macellazione degli animali positivi non è un fatto opzionale, ma un obbligo di legge«. Grazie, ci mancherebbe. Peccato però che dalle analisi post mortem dei capi abbattuti si sia scoperto che in realtà soltanto il 2% delle bufale uccise era positivo, mentre il restante 98% non era contagiato. Non solo: il Piano della Regione Campania prevede che se il contagio supera il 20% di bufale infette, si deve abbattere tutto l’allevamento, ma la normativa europea cui fa riferimento Speranza non lo dice affatto. Speranza ovviamente sa tutto (era scritto a chiare lettere nell’interrogazione, ed è stato accertato dalla procura di Santa Maria Capua Vetere ), ma tira dritto. Eppure, i numeri della psicosi sanitaria sono impressionanti: nel 2019, solo 95 contagi su 10.455 capi abbattuti per «sospetta Tbc». Nel 2020 sono risultate realmente positive 30 bufale su 8.187 abbattute. Stessa storia per la brucella: nel 2019 solo 39 bufale positive su 11.722 abbattute, nel 2020 sono state trovate positive solo 16 su oltre 14.000. I dati sono stati resi pubblici soltanto dopo una denuncia penale delle associazioni degli allevatori. Una strage inutile, e un colpo pesantissimo al comparto: la metà delle aziende, finora 300, ha dovuto chiudere i battenti. Non è finita qui: le bufale abbattute per sospetta brucellosi o tubercolosi, lo stesso giorno che vengono macellate, sono dichiarate «idonee per il libero consumo» e arrivano sulla nostra tavola come carne bovina, vendute quasi tutte a un macello che fa parte del gruppo industriale Cremonini.Le norme stabiliscono che se il contagio supera il 20% di bufale infette, si deve abbattere tutto l’allevamento. «Siamo tutti d’accordo sull’abbattimento dei capi positivi» (stabilito dal Regolamento UE 2016/429 e dal Regolamento Ue 2020/689, ndr), spiega il portavoce del Coordinamento - ciò che non torna è il metodo attraverso cui vengono individuati i capi da abbattere. In Campania la regola è interpretata: per principio di precauzione, vengono abbattuti anche i casi sospetti, senza prova diretta del contagio. Questo perché spesso l’applicazione delle profilassi da parte delle Asl mostra falle che favoriscono la diffusione della malattia invece che risolverla. Non sono applicate - lamenta Fabbris - le consuete metodiche prudenziali: qui si tira dritto in nome del principio di precauzione».Il risultato di questa politica sostenuta direttamente dal ministero della Salute e condotta attivamente dalla Regione Campania presieduta da Vincenzo De Luca, ha portato a 140.000 bufale abbattute, quasi tutte sane, 300 aziende chiuse, e un rialzo dei contagi al 18%, causato dai ritardi nella diagnostica effettuata dalle Asl veterinarie. «Nel frattempo, l’Istituto zooprofilattico del Mediterraneo è passato da 130 dipendenti a 500», osserva il portavoce degli allevatori, che si rivolge anche alla Regione chiedendo di «non fare scaricabarile».La vicenda è approdata in tribunale: il Consiglio di Stato ha accolto i ricorsi di alcuni allevatori e ha congelato gli abbattimenti. «Li stiamo perseguendo in giustizia anche per diffusione di epidemia animale - spiega Fabbris - perché la Regione Campania si è impegnata per individuare la positività dei nostri animali ma non è in grado di farlo».Dopo mille proteste, la Regione ha accolto due dei tanti suggerimenti presentati dagli allevatori: riprendere la vaccinazione e affidare agli stessi l’autocontrollo del contenimento delle epidemie («è nostro interesse evitare l’abbattimento delle nostre bufale, vigilando sulla loro salute»). L’aggiunta avrebbe dovuto determinare un cambio sostanziale dell’impianto normativo, ma la Regione, anziché adeguare il piano precedente, ha semplicemente sommato le due nuove disposizioni. Risultato: «Un groviglio normativo che aiuta solo a tenere in piedi la caotica gestione che ha portato a questi disastrosi risultati», dice Fabbris. I consumatori, alla fine, avranno sulle loro tavole meno mozzarella di bufala? «No - dice Fabbris - anzi: negli ultimi 3 anni la produzione di mozzarella di bufala è rimasta costante se non addirittura aumentata». Indice inequivocabile che la produzione si sta spostando in altre aree, dove però non c’è lo stesso latte, le stesse bufale iscritte all’albo genealogico, la stessa tradizione. Sarà venduta come mozzarella di bufala, ma non sarà «autentica».