2025-09-24
La propaganda abortista capovolge la «Lettera» della Fallaci al suo bimbo
Per celebrare i 50 anni dalla prima pubblicazione, Rizzoli propone una riedizione dell’inno alla vita scritto dalla giornalista. Ma sulla «Stampa» l’opera è presentata come un manifesto pro interruzione di gravidanza.È esercizio futile ma, soprattutto, ingiusto tirare per la giacca gli scrittori, pretendere di aver pienamente compreso il significato delle loro opere, arrogarsi il diritto di stabilire che cosa dicano o non dicano davvero. Allo stesso tempo, contraddizione e bellezza dell’arte, le opere non sono gli autori e non appartengono totalmente a essi. Quando vanno nel mondo, si espongono fatalmente alle interpretazioni, vengono in qualche modo influenzate dalla ricezione del pubblico, dei critici e della società intera o delle società a venire. Ciascuno legge nei libri ciò che vuole leggervi, in un gioco costante fra la propria sensibilità e quella del creatore. Questo accade anche perché le opere letterarie, e talvolta anche i saggi e i pamphlet, sono un arazzo, un composto di sfumature, un crogiuolo di sensibilità che possono perfino essere in antitesi: dopo tutto, così funziona la mente umana e il cuore non è da meno.Un esempio significativo della complessità di cui parliamo è Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci. È uscito per la prima volta nel 1975 e, per celebrarne il cinquantennale, Rizzoli ne ha mandata in libreria una nuova edizione molto curata, che vale la pena procurarsi soprattutto per chi non avesse mai sfogliato l’opera, il cui potenziale esplosivo è a tutt’oggi intatto. In effetti, quando uscì, quel volumetto provocò una deflagrazione. Era dedicato «da una donna a tutte le donne», il monologo di una madre che si rivolge al figlio che prima ha sentito e saputo di avere in grembo e che poi perderà dopo aver, però, deciso di farlo nascere.Come giustamente ricorda Lucia Annunziata nella introduzione, la Lettera fu dirompente perché da un lato era una fiera rivendicazione della autonomia della donna, del potere femminile riguardante anche la capacità di generare e, in fondo, di decidere sulla vita e la morte. Ma, allo stesso tempo, era anche una strabiliante attestazione di forza vitale, la dimostrazione concreta del miracolo della vita nascente che sapeva avvolgere e conquistare una donna battagliera e determinatissima come l’Oriana. C’era materiale per tutti: per le femministe e per i cattolici, per i laici e per i critici dell’aborto. Non è un caso che quel libro sia diventato, negli anni, una lettura imprescindibile in ambito pro life e a ragion veduta. Perché è vero che Oriana fu protagonista di un memorabile dibattito televisivo in cui si prese la scena (talvolta travalicando leggermente la misura) e tenne testa al conduttore e ai vari uomini presenti ribadendo l’ineluttabilità della autodeterminazione femminile. Ed è vero anche che la Fallaci non poteva sopportare, alla fine degli Settanta, quello che definiva «dogma cattolico». Resta, però, il testo della Lettera, che è cristallino e rappresenta una delle più sofferte, appassionate e commoventi difese della vita di ogni tempo (e che ironia nel fatto che l’abbia scritta proprio lei).C’è quell’incipit fenomenale: «Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante».Vai a spiegare tutto questo con il calcolo delle settimane, vai a dire che la Fallaci stava parlando di «un grumo di cellule». E poi c’è tutto il seguito: il rifiuto iniziale della maternità, la lotta feroce quasi contro il concetto stesso di gravidanza. Infine quella scelta mariana di dire sì, di arrendersi alla vita sorgiva. La testardaggine nel tenere il figlio anche se tutti remano altrove e suggeriscono altro e, infine, il dolore per la gravidanza spentasi all’improvviso. Poi quelle righe che sembrano una manifesto: «Io temo il niente, il non esserci, il dover dire di non esserci stato, sia pure per caso, sia pure per sbaglio, sia pure per l’altrui distrazione. Molte donne si chiedono: mettere al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. Forse hanno ragione loro. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piano sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l’esclamare che nascere è meglio di non nascere». Se non è un inno...Eppure di tutto questo non c’è traccia nella nuova prefazione alla Lettera firmata da Francesca Mannocchi e pubblicata un paio di giorni fa anche dalla Stampa. Viene citata la mezza fake news secondo cui in Molise non si poteva abortire per eccesso di obiettori di coscienza, si stigmatizzano i medesimi obiettori, si suggerisce che la dignità delle donne non sia rispettata in Italia e altrove, si sostengono velatamente le ragioni dell’eutanasia. Ma nemmeno mezza parola per celebrare la potenza con cui la voce di Oriana ribadisce la bellezza e la necessità della vita. Sembra che di questo non si possa parlare, che quelle venature in cui la Fallaci smonta la retorica abortista vadano cancellate, affinché della toscana resti solo l’iconcina sinistrorsa che lei stessa, da viva, aveva demolito. Pare quasi che si voglia presentare Lettera a un bambino mai nato come il contrario di ciò che è, che lo si voglia emendare e rinchiudere in una gabbia. È concesso parlare male degli obiettori per levare loro la libertà di obiettare mentre la Fallaci che rifiuta l’aborto meglio edulcorarla, meglio sviare l’attenzione, che non si sa mai.Scrive Francesca Mannocchi: «Più che un monologo, Lettera a un bambino mai nato è una conversazione. Tra la donna senza nome che rivendica il suo posto nel mondo, nella società, nella piramide capovolta dei valori e la sua parte più inquieta, intensa, lucida, tormentata. Una donna consapevole della sua libertà e del prezzo che comporta esercitarla». Ci permettiamo di dissentire: è una conversazione tra una donna e il suo bambino. Quello che la Fallaci voleva ma che non è nato e lei era così testarda che lo fece comune vivere, almeno sulla carta.
Ecco #DimmiLaVerità del 24 settembre 2025. Il nostro Fabio Amendolara commenta la condanna di Ciro Grillo e dei suoi amici e la proposta del Pd sulla violenza sessuale.