2021-03-23
Pronta l’autorizzazione a Reithera. Ma non c’è il farmaco da produrre
Nicola Zingaretti (Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images)
Presto l'ok dell'Aifa a insaccare i sieri. In attesa del brevetto, la fase 3 inizierà tra mesi.In settimana lo stabilimento di Reithera a Castel Romano dovrebbe ricevere un importante luce verde. L'Aifa potrebbe sbloccare l'autorizzazione a insaccare vaccini. Il sito non ha infatti la capacità di infialare le dosi, ma di produrre «contenitori» di dimensioni maggiori da inviare a centri di vaccinazione in grado di gestirle o ad altri stabilimenti a cui toccherebbe il compito di suddividere le singole dosi. Il paradosso è che lo stabilimento, una volta incassata l'autorizzazione, non ha un vaccino da produrre. Fino ad oggi a spingere per il brevetto autoctono è stata soprattutto la sanità guidata da Nicola Zingaretti che già dallo scorso marzo ha chiuso accordi con Reithera con l'intento di appropriarsi la gestione del brevetto e di dare il calcio d'inizio lavori. Come La Verità ha già documentato, l'avvio degli studi è stato finanziato grazie a fondi provenienti dal Cnr. La prima tranche versata è stata di 8 milioni complessivi. In attesa di un ingresso di Invitalia, guidata da Domenico Arcuri, e dei tempi del pubblico. Gli altri 88 milioni sono arrivati soltanto il primo di febbraio 2021, quando Invitalia ha formalizzato la partnership con l'azienda di Castel Romano. L'Aifa ha a sua volta dato l'ok all'avvio della fase due ma per passare alla tre serviranno altri mesi. E a quanto risulta alla Verità anche altri soldi. Un iter che certo non va abbandonato perché potrebbe darci la possibilità di avere un vaccino in più per il 2022, con la speranza che non venga doppiato dai sieri di seconda generazione. Il governo, ora, sembra aver compreso che la priorità è un'altra. Al di là delle mosse politiche di Zingaretti, l'obiettivo finalmente dovrebbe essere quello di usare gli impianti per produrre altri vaccini. Non a caso quasi un mese fa i vertici di Reithera avevano lanciato un messaggio. L'azienda farmaceutica si era già offerta di produrre le dosi di Astrazeneca, Johnson&Johnson e pure Sputnik in Italia. «Le tecnologie sono simili», si leggeva in una nota, «e i nostri bioreattori sarebbero in grado di trattare e far crescere anche gli adenovirus utilizzati dalle tre aziende per produrre il virus depotenziato necessario per attivare gli anticorpi. Ma c'è un ma», riferiva una agenzia stampa. «Reithera è concentrata sulla produzione del suo vaccino e il governo non ci ha rivolto nessuna richiesta del genere». Sembra che ora qualcosa si stia sbloccando. Il recente incontro tra Giancarlo Giorgetti e il commissario al mercato interno, Thierry Breton, ha toccato pure questo tema. Mentre il Mise sta studiando altri siti che potrebbero essere convertiti per la produzione, diventa urgente chiudere accordi per ricevere i bulk necessari alla trasformazione e la produzioni di vaccini. Altrimenti l'Italia si troverà ultima nella corsa alle difese vaccinali, dentro un continente che di suo sta sbagliando tutto nella guerra alla pandemia. Sanofi ad esempio è in corsa per produrre sul suolo francese vaccini Johnson&Johnson. Lonza, in Svizzera, ha chiuso un accordo quadro con Moderna per avviare la produzione del siero a stelle e strisce per il Vecchio Continente. Insomma, da un lato bisogna accelerare e dall'altro il fatto di muoversi allineati e coperti con l'Ue ci infila in una enorme rete di problematiche. L'Europa non gestisce l'intera filiera dei vaccini e può trovarsi da un momento all'altro con la spina staccata.