2024-05-07
«I pro Gaza addestrati ai disordini». La Columbia annulla le feste di laurea
Saltano la cerimonia di consegna dei diplomi e la visita di Sergio Mattarella nell’ateneo di New York. Il «Wsj» parla di ex Pantere nere che hanno indottrinato i filopalestinesi. A Los Angeles tornano le proteste e scatta la Dad.Niente feste di laurea alla Columbia di New York. Dove non sarebbe riuscito il lanciafiamme pandemico di Vincenzo De Luca, è riuscito il timore di un’incursione degli studenti (o degli infiltrati) pro Gaza. Eppure, la preside dell’ateneo, Minouche Shafik, aveva ottenuto un presidio fisso di polizia fino al 17 maggio, proprio per assicurare il regolare svolgimento della cerimonia di consegna dei diplomi. Nonostante ciò, il maxi evento verrà sostituito da manifestazioni più circoscritte, nelle singole facoltà. «I nostri studenti», assicurano i vertici dell’università, «hanno sottolineato che celebrazioni più piccole, svolte nei loro istituti, hanno più significato per loro e le loro famiglie». Il 15 del mese, comunque, dovrebbe svolgersi un «evento festoso», in occasione del quale gli iscritti saranno autorizzati a radunarsi tutti insieme. la california si scaldaLa tensione nel campus, dove evidentemente non è bastato lo sgombero degli accampamenti dei filopalestinesi, aveva già in parte guastato la visita di Sergio Mattarella nella Grande Mela: il presidente della Repubblica, che si è recato all’Onu, ha dovuto annullare l’omaggio all’Italian Academy, situata proprio di fronte alla Hamilton Hall, il palazzo che era stato occupato dai rivoltosi.La Columbia non è nemmeno l’unica ad aver rinunciato alle iconiche liturgie col lancio dei cappellini neri. La Emory university di Atlanta, in Georgia, ha scelto festeggiamenti in tono minore, ricollocando i laureati a Duluth, località a mezz’ora di macchina dalla struttura accademica.Analoghe preoccupazioni per l’incolumità di giovani e docenti, intanto, hanno spinto la Ucla di Los Angeles, in California, a varare nuove misure d’ordine. È stata annunciata altresì un’indagine interna «approfondita sulle nostre procedure di sicurezza». Lì, come nella vicina San Diego, sebbene gli agenti avessero fatto sbaraccare gli attendati, le lezioni si stanno svolgendo da remoto, mentre rispuntano dei sit-in e la polizia ha proceduto a uan dozzina di arresti.A Princeton prosegue lo sciopero della fame di alcuni dimostranti, monitorati dai medici. Harvard, invece, gioca la carta della ritorsione accademica: quanti insistono a marinare i corsi per protestare saranno considerati assenti ingiustificati, perderanno l’accesso agli alloggi e potrebbero non essere ammessi agli esami. È il passo preliminare all’intervento degli uomini in tenuta antisommossa.Un’altra che ne ha davvero le tasche piene della situazione è la numero uno della George Washington university, nella capitale Usa. Secondo Ellen Granberg, il campeggio dei pro Palestina «è diventato qualcosa che possiamo classificare solo come un’occupazione illegale e potenzialmente pericolosa della proprietà privata dell’università». Qui, alcuni giorni fa, i fanatici avvolti da veli e kefiah avevano spiccato un vessillo dell’ateneo (il che, in quella giurisdizione, costituisce reato), per sostituirlo con una grande bandiera palestinese.Il bilancio delle due settimane di caos è di oltre 2.200 arresti in tutti gli Stati Uniti. A New York, la metà dei manifestanti finiti in manette era costituita da soggetti non affiliati alla Columbia e al City College. Sono fioccate le rimostranze nei confronti dei «metodi brutali» della polizia. Tuttavia, una rivelazione del Wall Street Journal ha messo la pietra tombale sulla presunta spontaneità del movimento di protesta.«mesi di formazione»Secondo il quotidiano, alcuni soggetti esterni alla galassia studentesca avrebbero «addestrato» gli universitari ai disordini. Il Wsj ha parlato di «tattiche politiche» che sarebbero il risultato di «mesi di formazione, pianificazione e incoraggiamento da parte di attivisti di lunga data e gruppi di sinistra», i quali avrebbero addirittura tenuto dei seminari per indottrinare i giovani, oltre ad aver suggerito gli slogan da adottare, i vestiti da indossare e la dotazione di cui munirsi, tra acqua, barrette energetiche e le inconfondibili sciarpe per coprirsi il viso. Qualche facinoroso, allo scopo, aveva rispolverato le mascherine anti Covid. Erano nascoste dal bavaglio, ma gli odiatori di Israele e dell’Occidente hanno avuto le facce toste di giustificarsi, invocando il rischio di contagio a causa degli assembramenti.Il giornale americano ha fatto i nomi delle associazioni dei reclutatori: c’erano di mezzo il National students for justice in Palestine, nonché cellule autonome sganciatesi dalle Pantere nere, la famigerata organizzazione politica afro ispirata al marxismo-leninismo. Sono legami, quelli tra i casinisti per vocazione e la gioventù à la page, che hanno radici antiche. Galeotto fu il ricevimento del 1970 a casa del direttore d’orchestra Leonard Bernstein, zeppo di vip, artisti e professionisti di colore della sedizione. Lo scrittore e giornalista Tom Wolfe, per etichettare un’élite così sensibile alle cause degli estremisti di sinistra, coniò la celebre definizione di «radical chic». I figli di quei ricconi che si divertivano a esibire il pugno chiuso, oggi, affollano la Ivy League. E magari, qualcuno di loro in futuro entrerà alla Casa Bianca.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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