2024-03-20
Prodi cede alle sirene di Macron e sogna un’Europa a guida francese
L’ex premier va matto per Parigi (e Pechino) e lascerebbe ai transalpini la Difesa Ue.Romano Prodi, detto il parigino: l’ex presidente del Consiglio italiano e della Commissione europea rilascia un’intervista al Quotidiano Nazionale e per quel che riguarda la politica estera non rinuncia alla sua antica passione per i cugini d’Oltralpe, che individua come leader del Continente per quel che riguarda la Difesa. «Lo ribadisco», dice Prodi, «all’Europa servono una politica estera e una Difesa comuni. E riguardo a quest’ultima la Francia, che detiene l’atomica, ha una responsabilità più grande e una leadership naturale, ma dovrà sbrigarsi, a mettere l’arma nucleare a disposizione dell’Europa, visto l’aumento della spesa militare tedesca». Con il rispetto che si deve all’ottantaquattrenne Prodi, questa affermazione fa tremare le vene ai polsi: che cosa dovremmo farcene della bomba atomica francese? Sulla testa di quale nazione dovremmo sganciarla? E perché mai Prodi rilancia la sua antica fissazione sulla leadership francese dell’Europa proprio ora che Emmanuel Macron sta insistendo sull’idea di spedire in Ucraina truppe della Nato, il sistema più veloce e efficace per scatenare una bella terza guerra mondiale? Domande destinate a restare senza risposta; risposte, quelle di Prodi al Qn, che confermano il fascino che Parigi, così come Pechino, hanno costantemente esercitato sullo storico sfidante di Silvio Berlusconi. Avvicinare la Cina all’Europa e all’Occidente è infatti un altro pallino di Prodi, che lo scorso ottobre, sul Messaggero, così concludeva un suo articolo sui problemi del gigante asiatico: «Dal punto di vista della politica estera si rende sempre più indispensabile la diminuzione delle tensioni con gli Stati Uniti. Gli incontri e i colloqui fra gli esponenti politici dei due Paesi si sono già moltiplicati e si stanno ulteriormente moltiplicando in questi giorni, ma non sono ancora arrivati al livello presidenziale. Ci auguriamo che vi giungano presto perché ne hanno bisogno non solo gli Usa e la Cina, ma ne abbiamo bisogno tutti noi». Che la diminuzione delle tensioni sia cosa buona e giusta è cristallino, ma è altrettanto cristallino che è proprio la Cina a portare avanti una politica economica aggressiva nei nostri confronti, mentre dal punto di vista militare il seppur non esplicito sostegno di Pechino alla Russia colloca Xi Jinping dall’altro lato del campo di gioco. Un campo larghissimo, ampio quanto l’intero pianeta, non certo infeltrito come il campetto dell’attuale centrosinistra, che si avvia allegramente a perdere prima ancora di disputarle le elezioni in Basilicata e in Piemonte, a causa delle divergenze tra Pd e M5s e delle continue risse tra Elly Schlein e Giuseppe Conte da un lato e il centrino by Carlo Calenda e Matteo Renzi dall’altro. Su questo versante, Prodi ha molto da insegnare ai suoi «nipotini» del centrosinistra: la sua Unione, che teneva insieme più di 20 liste, dall’Udeur di Clemente Mastella a Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti, nel 2006 vinse, seppure di un soffio, le elezioni contro Berlusconi. Una vittoria che però si rivelò di Pirro: nel 2008 quella maggioranza che si fondava sul voto di sei senatori a vita crollò, e fu la fine del governo Prodi. Come fece a mettere d’accordo così tanti partiti? «Ne misi attorno a un tavolo i rappresentanti», ricorda Prodi, «per uscirne con un’idea di governo e di Italia. Ci sono voluti molti mesi, ma funziona. E non creda che all’estero sia diverso. È prerogativa di molte democrazie occidentali essere obbligati a coalizioni ampie e, per tenerle in piedi, serve pazienza e concretezza». Doti che i leader del centrosinistra attuale sembrano non possedere neanche in minima quantità.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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