2021-06-15
Dalle primarie di Torino a Roma. Letta inciampa e si va a schiantare
Nel capoluogo piemontese numeri ridicoli incoronano il nemico dell'alleanza con i grillini. Nella capitale la scelta di Roberto Gualtieri rischia di favorire Virginia Raggi. E a Bologna continua la faida tra i candidati della sinistra.Alla fine l'uscita più innocua finisce per essere il consiglio non richiesto a papa Francesco di accelerare sul sacerdozio femminile. Per il resto Enrico Letta sta attraversando la primavera italiana con la consapevolezza di sé che aveva mister Magoo quando attraversava la strada. «È politicamente miope, va a sbattere ovunque», sibila un colonnello romano del Pd, ancora amareggiato per la scelta simil-suicida di subìre la candidatura di Virginia Raggi da parte del Movimento 5 stelle, con il terrore di doverla votare eventualmente al ballottaggio. Ma le conseguenze dell'accrocchio capitale del tenero segretario arrivano dopo, oggi va di scena il pasticcio di Torino.Le primarie di sabato e domenica sono state un flop, lo annunciano scandendo la parola onomatopeica anche i media progressisti (quasi tutti). E lo sono state per due motivi: hanno partecipato quattro gatti e ha vinto il candidato sbagliato. Si chiamavano «di coalizione», hanno votato in 11.651 mentre anni fa per Piero Fassino erano andati ai gazebo in 45.000. Altri tempi, ma da quel numero ai 4000 voti (solo il 37%, neanche fossero le parlamentarie della piattaforma Rousseau) di Stefano Lo Russo, capogruppo dem in comune, sembra essere trascorsa un'era geologica. Con un'aggravante, secondo i calcoli del partito non doveva vincere lui. Il Pd puntava su Enzo Lavolta, ritenuto l'uomo adatto per stringere un patto elettorale con i grillini. Il successo di Lo Russo mette una croce sopra alla santa alleanza; fu proprio lui a promuovere la denuncia penale di Chiara Appendino sul bilancio, finita con una condanna a sei mesi per falso in atto pubblico. E quella vicenda - più che le conseguenze giudiziarie dei fatti di piazza San Carlo - fu decisiva nell'indurre l'ex sindaca pentastellata a non ricandidarsi. Un brutto colpo per i dem, che avevano posto l'asticella a 23.000 voti. «Il clima è positivo, le previsioni meteo sono buone, abbiamo organizzato una macchina importante», aveva annunciato alla vigilia il segretario cittadino Mimmo Carretta. «Certo, c'è una soglia minima al di sotto della quale la situazione si farebbe critica: 23.000 votanti. Andare sotto ci porrebbe alcuni interrogativi». La metà. Numeri assimilabili alle velleità grilline; c'era solo un partito felice di mandare in parlamento o al governo locale perfetti sconosciuti votati da una trentina di click. Adesso ce ne sono due. Più che interrogativi quel numero rappresenta una sentenza, a Torino e al Nazareno. Per tutti tranne che per Letta, ormai calato in pieno nel ruolo di Vispa Teresa. Dopo il flop guarda i numeri e li interpreta a modo suo: «Vedere 12.000 torinesi che partecipano alle primarie è un massaggio importante poiché la partecipazione è alla base di tutto. Noi siamo diversi dal centrodestra, che decide i candidati in due in una stanza». Davanti a simili parole ondeggianti nel nulla, i leader delle tre correnti più importanti scuotono all'unisono la testa. Dario Franceschini (cattodem), Andrea Orlando (sinistra) e Lorenzo Guerini con Luca Lotti (Base riformista) hanno la riprova che il segretario rappresenti solo sé stesso. Sostenuto al massimo da Goffredo Bettini, potente king maker del Pd romano che ha ottenuto per la capitale il candidato che voleva, Roberto Gualtieri, a costo di far arrabbiare un pezzo da novanta come il governatore del Lazio ed ex segretario, Nicola Zingaretti. Mentre a Torino si naviga a vista, a Roma i sondaggi mettono proprio in allarme: la trovata lettiana di accettare la Raggi nel pacchetto rischia di far decollare Carlo Calenda a scapito proprio di Gualtieri. Con il risultato che al ballottaggio, contro Enrico Michetti, potrebbe andarci proprio l'ex sindaca. «E a quel punto», ammette una voce dal sen fuggita dalla numerosa pattuglia degli ex renziani «saremo costretti a dire ai nostri di votarla. Ma non lo faremo perché nessun progressista romano la voterebbe dopo i cinque anni di scempi. Complimenti».Le cose non vanno meglio in Calabria, dove un candidato unitario non c'è ancora e il Pd teme di veder decollare Roberto Occhiuto senza avversari credibili. L'ex premier-nipote non ha in mano il partito, non ha in mano i territori, non ha in mano il parlamento. È il fumoso regno di Letta, che flirta con le Sardine, alza il dito contro Matteo Salvini, chiede il voto ai sedicenni, fa irritare il premier Mario Draghi. E sembra vivere in un'allegra crociera per reduci dell'Ulivo. Che nacque a Bologna quando Beniamino Andreatta, pulendosi gli occhiali con la cravatta, 25 anni fa pronunciò la famosa frase: «Perché non proviamo con Romano (Prodi)?». Letta sembra fermo lì, politicamente nato vecchio e incapace di tenere le redini di un Pd liquido. Proprio a Bologna si assiste all'ultima pantomima. Alle primarie del prossimo weekend il Nazareno ha dato ordine di votare Matteo Lepore mentre il partito emiliano vuole convergere sulla renziana Isabella Conti. La guerra si è estesa ai gazebo, i candidati si disputano anche i marciapiedi con il coinvolgimento dei vigili urbani. Il famoso popolo della sinistra osserva. E sta alla larga.