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2019-11-06
Prima fanno causa, poi vanno da Conte. Gli indiani pronti alla guerra totale
Ansa
Il futuro dell'Ilva è appeso a un filo. Oggi è in programma l'incontro tra il premier, Giuseppe Conte, e i proprietari di Arcelor Mittal, la multinazionale angloindiana dell'acciaio che ha annunciato il suo addio allo stabilimento di Taranto. Un incontro che si annuncia molto complicato per il governo, anche alla luce della mossa di Arcelor Mittal, che ha depositato al Tribunale civile di Milano, come rivelato dal Corriere del giorno, un atto di citazione nei confronti dell'Ilva in amministrazione straordinaria e delle aziende collegate, preparando il terreno per lo scontro legale con l'Avvocatura dello Stato.
L'atto di citazione, firmato da ben 7 avvocati, composto 37 pagine e altrettanti allegati, inchioda il governo giallorosso alle proprie responsabilità, elencando i motivi che hanno indotto il colosso siderurgico a rinunciare all'investimento a Taranto. Come ampiamente prevedibile, è la cancellazione della protezione legale per i nuovi manager di Ilva, votata dalla maggioranza giallorossa pochi giorni fa, il punto cardine dell'atto di citazione.
«In particolare», si legge nell'atto, «l'art. 2, comma 6, del D. L. n. 1/2015 aveva previsto un periodo di tutela durante il quale i commissari e poi l'aggiudicatario della procedura competitiva avrebbero potuto eseguire il Piano ambientale senza incorrere in responsabilità penali conseguenti ai problemi ereditati dalle precedenti gestioni. In altri termini, la protezione legale costituiva una necessaria tutela per contemperare diversi diritti e interessi di rilevanza costituzionale, fra cui, da un lato, la protezione dell'ambiente, della salute e della sicurezza; dall'altro, le esigenze produttive e i connessi livelli occupazionali. Del resto, nel corso della gestione commissariale, i manager di Ilva sono stati sottoposti a procedimenti penali in relazione a situazioni preesistenti, che non sono sfociati in rinvii a giudizio proprio per effetto della protezione legale. Quindi», prosegue il documento, «Arcelor Mittal InvestCo ha accettato di partecipare all'operazione e di stipulare il contratto proprio nel presupposto e per l'esistenza della Protezione Legale».
Il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, ha risposto attraverso un post su Facebook al vetriolo: «Arcelor Mittal», ha scritto Patuanelli, «ha deciso di andarsene da Taranto ancora prima della ristrutturazione della governance dell'azienda. Il compito del nuovo ad e dei nuovi dirigenti è di traghettare la proprietà indiana fuori dallo stabilimento; il piano industriale dell'azienda è stato disatteso nei numeri, disatteso nella prospettiva di rilancio e non ha proiezione futura. Questa notte (ieri, ndr)», ha aggiunto Patuanelli, «è stato depositato da Arcelor Mittal, presso il Tribunale di Milano, un atto di citazione nei confronti dei Commissari straordinari, a dimostrazione che da settimane, forse da mesi, l'azienda preparava l'abbandono dell'area». In realtà basta leggere l'atto di citazione per verificare che l'azienda ha imputato alla cancellazione della protezione legale, avvenuta pochi giorni fa, l'addio a Taranto.
Ieri il premier Conte ha esternato sulla vicenda, in attesa dell'incontro di oggi con i proprietari dell'azienda: «È stato stipulato un contratto», ha detto Conte, «e domani (oggi, ndr) saremo inflessibili sul rispetto degli impegni incontrando Arcelor Mittal. Ci sono impegni contrattuali da rispettare, non si può pensare di cambiare una strategia imprenditoriale adducendo a giustificazione lo scudo o il non scudo penale che tra l'altro non è previsto contrattualmente».
Ieri sera, nel corso di un incontro che si è svolto presso lo stabilimento di Taranto, l'ad di Arcelor Mittal Italia, Lucia Morselli, che oggi non parteciperà all'incontro con il governo, ha confermato ai segretari generali di Fim, Fiom, Uilm e Usb, la volontà di recedere dal contratto per l'acquisizione. La mancata partecipazione della Morselli al tavolo con il governo di oggi, a questo punto, potrebbe voler dire che la proprietà è pronta a sciogliere la «succursale» italiana, creata apposta per questa operazione. Un ulteriore segnale del fatto che il colosso indiano fa sul serio: il multimiliardario indiano Lakshmi Mittal, presidente e amministratore delegato del colosso siderurgico, non ha alcuna intenzione di farsi prendere in giro da Conte, Patuanelli e compagnia bella. «Non permetteremo la ripresa dei lavori del parlamento», ha annunciato ieri il leader della Lega, Matteo Salvini, «fino a che il presidente del Consiglio non verrà in aula a dire che nessun posto di lavoro è a rischio. Altrimenti si dimetta. Questo governo indegno ha nominato un ministro del Sud ma il primo atto concreto è stato mettere in mezzo a una strada 10.000 lavoratori dell'acciaieria Ilva. Questo vuol dire», ha argomentato Salvini, «che al governo ci sono degli incapaci ignoranti. Il governo Conte 1 aveva partorito un decreto con lo scudo penale. Invece Leu e 5 stelle hanno tolto lo scudo penale ed è stato approvato con la fiducia dal Conte 2, senza scudo».
Una bussola tra i paletti ambientali. Ecco cosa prevede l’immunità penale
Da quando Arcelor Mittal ha fatto marcia indietro sull'Ilva, si sente molto parlare di immunità penale per i vertici aziendali del colosso angloindiano. Su questo tema è il caso di fare chiarezza.
L'immunità penale è stata concessa all'Ilva quando era in amministrazione straordinaria. Successivamente è stata concessa anche ai nuovi proprietari di Arcelor Mittal. La norma era nata nel 2015 con il decreto legge n.1. Quell'anno l'Ilva era entrata in amministrazione straordinaria a gennaio; erano aperte tutte le conseguenze del sequestro giudiziario dell'area fatto nel 2012, e con questa norma si era voluto di fatto garantire una protezione legale sia ai gestori dell'azienda (i commissari), che ai futuri acquirenti, relativamente all'attuazione del piano ambientale della fabbrica.
Si voleva evitare, cioè, che attuando il piano ambientale, normato da un decreto ministeriale del settembre 2017, i commissari o i futuri acquirenti restassero coinvolti in vicissitudini giudiziarie derivanti dal passato, essendo l'inquinamento Ilva un problema di lunga data. In parole povere, il problema era che gli altiforni delle acciaierie non si possono spegnere, pena la loro completa sostituzione. Per questo, durante la fase di rinnovamento che avrebbe reso meno inquinanti gli altiforni, questi ultimi avrebbero inevitabilmente continuato a danneggiare l'ambiente fino a lavori ultimati.
L'idea dello scudo penale nasceva dunque per evitare che i commissari prima e i nuovi proprietari poi potessero andare incontro a guai legali per problemi che non dipendevano da loro.
Le trattative con ArcelorMittal iniziano però a incrinarsi nella primavera del 2019, ad un anno circa dell'insediamento del primo governo Conte. I 5 stelle ritenevano infatti che questa norma fosse illegittima e andasse abrogata perché si trattava di un privilegio concesso ad Arcelor Mittal.
La fine dello scudo penale ebbe inizio con il decreto Crescita voluto dal governo di coalizione gialloblù. Una scelta che non fu per nulla gradita ad Arcelor Mittal che aveva intenzione di rilevare l'azienda con un altro quadro giuridico.
Così la minaccia di lasciare l'impianto costrinse l'esecutivo a tornare sulla questione e a concedere, anche se in maniera ridotta rispetto al disegno originale, l'immunità penale presente al momento dell'acquisizione. La stop, solo parziale, prevedeva «l'impunità per la violazione delle disposizioni a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro».
Il colpo di grazia, però, arrivò quando 17 senatori M5s chiesero la linea dura e, all'interno del decreto Salva imprese, venne aggiunto un emendamento a firma della pentastellata Barbara Lezzi (e votato da Pd, Italia viva e Leu) che eliminava del tutto lo scudo penale per i vertici del gruppo. Il provvedimento è andato in Gazzetta il 3 novembre e il giorno successiva il colosso ha comunicato l'intenzione di abbandonare il tavolo delle trattative.
Prima che lo scudo cadesse, Arcelor Mittal si era impegnata a realizzare investimenti ambientali per 1,1 miliardi, industriali per 1,2 miliardi e a pagare l'ex Ilva 1,8 milioni di euro, una volta terminato il periodo d'affitto, iniziato il primo novembre dello scorso anno e che avrebbe dovuto durare per 18 mesi. Va ricordato che lo scudo penale non copriva i vertici aziendali da qualunque reato potessero commettere all'interno dello stabilimento tarantino, ma solo da «eventuali reati ambientali nel momento in cui l'azione dell'azienda è conforme alla legge e al piano ambientale».
Ora non resta che attendere l'esito dell'incontro di oggi tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e i vertici di Arcelor Mittal, nel tentativo di ricomporre la frattura tra le parti. Il premier si è detto intenzionato «a fare di tutto, qualsiasi misura» pur di non far chiudere gli stabilimenti.
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I commissari dell'ex Ilva citati in tribunale da Arcelor Mittal. Oggi l'incontro proprietà-premier, che insiste: «Noi inflessibili».Il lasciapassare era nato per consentire le bonifiche senza incorrere in cause pregresse.Lo speciale contiene due articoli.Il futuro dell'Ilva è appeso a un filo. Oggi è in programma l'incontro tra il premier, Giuseppe Conte, e i proprietari di Arcelor Mittal, la multinazionale angloindiana dell'acciaio che ha annunciato il suo addio allo stabilimento di Taranto. Un incontro che si annuncia molto complicato per il governo, anche alla luce della mossa di Arcelor Mittal, che ha depositato al Tribunale civile di Milano, come rivelato dal Corriere del giorno, un atto di citazione nei confronti dell'Ilva in amministrazione straordinaria e delle aziende collegate, preparando il terreno per lo scontro legale con l'Avvocatura dello Stato.L'atto di citazione, firmato da ben 7 avvocati, composto 37 pagine e altrettanti allegati, inchioda il governo giallorosso alle proprie responsabilità, elencando i motivi che hanno indotto il colosso siderurgico a rinunciare all'investimento a Taranto. Come ampiamente prevedibile, è la cancellazione della protezione legale per i nuovi manager di Ilva, votata dalla maggioranza giallorossa pochi giorni fa, il punto cardine dell'atto di citazione.«In particolare», si legge nell'atto, «l'art. 2, comma 6, del D. L. n. 1/2015 aveva previsto un periodo di tutela durante il quale i commissari e poi l'aggiudicatario della procedura competitiva avrebbero potuto eseguire il Piano ambientale senza incorrere in responsabilità penali conseguenti ai problemi ereditati dalle precedenti gestioni. In altri termini, la protezione legale costituiva una necessaria tutela per contemperare diversi diritti e interessi di rilevanza costituzionale, fra cui, da un lato, la protezione dell'ambiente, della salute e della sicurezza; dall'altro, le esigenze produttive e i connessi livelli occupazionali. Del resto, nel corso della gestione commissariale, i manager di Ilva sono stati sottoposti a procedimenti penali in relazione a situazioni preesistenti, che non sono sfociati in rinvii a giudizio proprio per effetto della protezione legale. Quindi», prosegue il documento, «Arcelor Mittal InvestCo ha accettato di partecipare all'operazione e di stipulare il contratto proprio nel presupposto e per l'esistenza della Protezione Legale».Il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, ha risposto attraverso un post su Facebook al vetriolo: «Arcelor Mittal», ha scritto Patuanelli, «ha deciso di andarsene da Taranto ancora prima della ristrutturazione della governance dell'azienda. Il compito del nuovo ad e dei nuovi dirigenti è di traghettare la proprietà indiana fuori dallo stabilimento; il piano industriale dell'azienda è stato disatteso nei numeri, disatteso nella prospettiva di rilancio e non ha proiezione futura. Questa notte (ieri, ndr)», ha aggiunto Patuanelli, «è stato depositato da Arcelor Mittal, presso il Tribunale di Milano, un atto di citazione nei confronti dei Commissari straordinari, a dimostrazione che da settimane, forse da mesi, l'azienda preparava l'abbandono dell'area». In realtà basta leggere l'atto di citazione per verificare che l'azienda ha imputato alla cancellazione della protezione legale, avvenuta pochi giorni fa, l'addio a Taranto.Ieri il premier Conte ha esternato sulla vicenda, in attesa dell'incontro di oggi con i proprietari dell'azienda: «È stato stipulato un contratto», ha detto Conte, «e domani (oggi, ndr) saremo inflessibili sul rispetto degli impegni incontrando Arcelor Mittal. Ci sono impegni contrattuali da rispettare, non si può pensare di cambiare una strategia imprenditoriale adducendo a giustificazione lo scudo o il non scudo penale che tra l'altro non è previsto contrattualmente».Ieri sera, nel corso di un incontro che si è svolto presso lo stabilimento di Taranto, l'ad di Arcelor Mittal Italia, Lucia Morselli, che oggi non parteciperà all'incontro con il governo, ha confermato ai segretari generali di Fim, Fiom, Uilm e Usb, la volontà di recedere dal contratto per l'acquisizione. La mancata partecipazione della Morselli al tavolo con il governo di oggi, a questo punto, potrebbe voler dire che la proprietà è pronta a sciogliere la «succursale» italiana, creata apposta per questa operazione. Un ulteriore segnale del fatto che il colosso indiano fa sul serio: il multimiliardario indiano Lakshmi Mittal, presidente e amministratore delegato del colosso siderurgico, non ha alcuna intenzione di farsi prendere in giro da Conte, Patuanelli e compagnia bella. «Non permetteremo la ripresa dei lavori del parlamento», ha annunciato ieri il leader della Lega, Matteo Salvini, «fino a che il presidente del Consiglio non verrà in aula a dire che nessun posto di lavoro è a rischio. Altrimenti si dimetta. Questo governo indegno ha nominato un ministro del Sud ma il primo atto concreto è stato mettere in mezzo a una strada 10.000 lavoratori dell'acciaieria Ilva. Questo vuol dire», ha argomentato Salvini, «che al governo ci sono degli incapaci ignoranti. Il governo Conte 1 aveva partorito un decreto con lo scudo penale. Invece Leu e 5 stelle hanno tolto lo scudo penale ed è stato approvato con la fiducia dal Conte 2, senza scudo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prima-fanno-causa-poi-vanno-da-conte-gli-indiani-pronti-alla-guerra-totale-2641228447.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="una-bussola-tra-i-paletti-ambientali-ecco-cosa-prevede-limmunita-penale" data-post-id="2641228447" data-published-at="1765504165" data-use-pagination="False"> Una bussola tra i paletti ambientali. Ecco cosa prevede l’immunità penale Da quando Arcelor Mittal ha fatto marcia indietro sull'Ilva, si sente molto parlare di immunità penale per i vertici aziendali del colosso angloindiano. Su questo tema è il caso di fare chiarezza. L'immunità penale è stata concessa all'Ilva quando era in amministrazione straordinaria. Successivamente è stata concessa anche ai nuovi proprietari di Arcelor Mittal. La norma era nata nel 2015 con il decreto legge n.1. Quell'anno l'Ilva era entrata in amministrazione straordinaria a gennaio; erano aperte tutte le conseguenze del sequestro giudiziario dell'area fatto nel 2012, e con questa norma si era voluto di fatto garantire una protezione legale sia ai gestori dell'azienda (i commissari), che ai futuri acquirenti, relativamente all'attuazione del piano ambientale della fabbrica. Si voleva evitare, cioè, che attuando il piano ambientale, normato da un decreto ministeriale del settembre 2017, i commissari o i futuri acquirenti restassero coinvolti in vicissitudini giudiziarie derivanti dal passato, essendo l'inquinamento Ilva un problema di lunga data. In parole povere, il problema era che gli altiforni delle acciaierie non si possono spegnere, pena la loro completa sostituzione. Per questo, durante la fase di rinnovamento che avrebbe reso meno inquinanti gli altiforni, questi ultimi avrebbero inevitabilmente continuato a danneggiare l'ambiente fino a lavori ultimati. L'idea dello scudo penale nasceva dunque per evitare che i commissari prima e i nuovi proprietari poi potessero andare incontro a guai legali per problemi che non dipendevano da loro. Le trattative con ArcelorMittal iniziano però a incrinarsi nella primavera del 2019, ad un anno circa dell'insediamento del primo governo Conte. I 5 stelle ritenevano infatti che questa norma fosse illegittima e andasse abrogata perché si trattava di un privilegio concesso ad Arcelor Mittal. La fine dello scudo penale ebbe inizio con il decreto Crescita voluto dal governo di coalizione gialloblù. Una scelta che non fu per nulla gradita ad Arcelor Mittal che aveva intenzione di rilevare l'azienda con un altro quadro giuridico. Così la minaccia di lasciare l'impianto costrinse l'esecutivo a tornare sulla questione e a concedere, anche se in maniera ridotta rispetto al disegno originale, l'immunità penale presente al momento dell'acquisizione. La stop, solo parziale, prevedeva «l'impunità per la violazione delle disposizioni a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro». Il colpo di grazia, però, arrivò quando 17 senatori M5s chiesero la linea dura e, all'interno del decreto Salva imprese, venne aggiunto un emendamento a firma della pentastellata Barbara Lezzi (e votato da Pd, Italia viva e Leu) che eliminava del tutto lo scudo penale per i vertici del gruppo. Il provvedimento è andato in Gazzetta il 3 novembre e il giorno successiva il colosso ha comunicato l'intenzione di abbandonare il tavolo delle trattative. Prima che lo scudo cadesse, Arcelor Mittal si era impegnata a realizzare investimenti ambientali per 1,1 miliardi, industriali per 1,2 miliardi e a pagare l'ex Ilva 1,8 milioni di euro, una volta terminato il periodo d'affitto, iniziato il primo novembre dello scorso anno e che avrebbe dovuto durare per 18 mesi. Va ricordato che lo scudo penale non copriva i vertici aziendali da qualunque reato potessero commettere all'interno dello stabilimento tarantino, ma solo da «eventuali reati ambientali nel momento in cui l'azione dell'azienda è conforme alla legge e al piano ambientale». Ora non resta che attendere l'esito dell'incontro di oggi tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e i vertici di Arcelor Mittal, nel tentativo di ricomporre la frattura tra le parti. Il premier si è detto intenzionato «a fare di tutto, qualsiasi misura» pur di non far chiudere gli stabilimenti.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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