Scendono i prezzi dell’elettricità, valori all’ingrosso vicini allo zero. Ma sui cittadini ricadono ancora gli aiuti per l’energia verde.
Scendono i prezzi dell’elettricità, valori all’ingrosso vicini allo zero. Ma sui cittadini ricadono ancora gli aiuti per l’energia verde.Prezzi dell’energia elettrica a zero? Più un abbaglio che una realtà. Domenica 24 marzo il prezzo dell’energia elettrica sul mercato del giorno prima (Pun, prezzo unico nazionale) è stato pari a 0,62 euro al megawattora, per un’ora, dalle 13 alle 14. Non è la prima volta che si registra un prezzo a zero sulla cosiddetta borsa elettrica e un prezzo così basso sembra una buona notizia, ma forse l’occasione è buona per ribadire qualche concetto che sfugge a molti.Con l’aumento degli impianti fotovoltaici, che producono solo di giorno con punta massima nelle ore centrali, saranno sempre più frequenti i momenti in cui si verificherà un prezzo pari a zero. Il problema però è che con un prezzo a zero nessun produttore ha interesse a produrre energia elettrica. Detto in altri termini, i privati costruiscono impianti se questi hanno una redditività. Se le condizioni del mercato, con un’offerta di energia che supera la domanda, spingono i prezzi strutturalmente verso lo zero, è chiaro che nessun impianto sarà costruito o produrrà energia, perché avrebbe solo costi. Un impianto fotovoltaico o eolico non sostiene costi per il combustibile, è vero, ma deve pur avere dei ricavi per poter ripagare l’investimento negli anni.Ecco dunque a cosa servono gli incentivi. Gli incentivi, in vigore per i nuovi impianti eolici e fotovoltaici, prevedono che per ogni kilowattora il produttore incassi una tariffa tra i 60 e gli 80 euro/Mwh, a prescindere da quale è il Pun che si determina giornalmente. La differenza con il Pun viene corrisposta come incentivo e consente ai produttori di stabilizzare i ricavi, qualunque sia la condizione di mercato. Questo incentivo viene ripagato dai consumatori di energia elettrica, cioè da famiglie e imprese. Si tratta dell’onere di sistema chiamato Asos, che viene riversato su tutte le bollette, aggiornato periodicamente dall’Autorità di settore, l’Arera. Per questo primo trimestre dell’anno esso vale 25,3 euro/Mwh. Dunque, i consumatori vedono un prezzo Pun basso, ma nel complesso qualcuno deve comunque ripagare la differenza tra il Pun e la tariffa incentivante (o meglio, tra il prezzo zonale e la tariffa, ma semplifichiamo). Del resto, non può che essere così, se si vuole forzatamente sostituire il parco impianti attuali con le fonti rinnovabili.Come i migliori liberali ci insegnano, non esistono pasti gratis. Se non ci fossero incentivi, gli impianti non offrirebbero certo la propria energia in borsa a prezzo zero, sicuri che comunque incasseranno tutto l’incentivo. Di fatto, dunque, si tratta di una enorme partita di giro, che ha delle conseguenze.La prima, immediata e visibile dal grafico, è che nelle ore in cui il fotovoltaico non produce, gli impianti con fonti diverse si prendono una rivincita per recuperare il denaro perso nelle ore in cui non hanno prodotto o hanno prodotto incassando zero: in una domenica di scarsa domanda, un prezzo di quasi 100 euro/Mwh alle ore 20 non è certo basso.La seconda è che gli incentivi, che pure dovranno rimanere molto a lungo per consentire la transizione energetica, al contempo rappresentano una distorsione del mercato. Quel mercato di cui tutti parlano ma che nessuno in realtà sembra volere. Vi sono due nuovi decreti di incentivo alle fonti rinnovabili che incombono. Il primo è il decreto Fer 2 (Fer sta per «Fonti di energia rinnovabile»), non ancora pubblicato, che riguarda l’incentivazione agli impianti da fonti rinnovabili innovative (eolici offshore, fotovoltaici galleggianti e altri). Per gli impianti eolici offshore è previsto un volume di 3.800 Mw con contratti per differenza che garantiscono al produttore 185 euro/Mwh per 25 anni. Quindi, anche se il Pun fosse sempre zero, quegli impianti riceveranno 185 euro/Mwh, pagati dagli oneri di sistema inseriti in bolletta. L’altro è il decreto Fer X, che disegnerà il nuovo quadro di incentivi, esauriti quelli in vigore oggi. Le bozze del decreto, ancora in attesa dell’ok della Commissione europea sugli aiuti di Stato, indicano in 45.000 Mw la potenza fotovoltaica incentivabile tra il 2024 e il 2028, 16.500 Mw di eolico e circa 600 Mw di idroelettrico. Le tariffe base, cioè i valori iniziali delle aste al ribasso, saranno rispettivamente di 85, 80 e 110 euro al megawattora per 20 anni. Valori più bassi dell’eolico offshore, ma certo molto lontani da zero.L’idea che le fonti rinnovabili abbiano costo zero perché «sole e vento sono gratis» porta alla falsa convinzione che le bollette possano scendere come d’incanto. Non è così, perché fare una centrale elettrica costa e nessuno investe senza un ritorno finanziario. Da qualche parte qualcuno paga.La pressione sulle fonti rinnovabili resta alta, nonostante i recenti disastri di casi come Orsted e Siemens gamesa. Un’urgenza alimentata anche da narrazioni ansiogene come quella comparsa ieri sulla prima pagina del Sole 24 ore, che considera un periodo di 14 anni come un «trend» capace di allarmare sul cambiamento climatico. Cavalcare strumentalmente dati scelti non appare però un buon servizio, soprattutto per chi opera in buona fede.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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