2022-09-05
«Con il presidenzialismo non ci sono rischi autoritari»
Francesco Saverio Marini (Imagoeconomica)
Il giurista Francesco Saverio Marini: «È chiaro che il presidente della Repubblica diventerebbe un’istituzione di parte, tuttavia ci sarebbero i contropoteri che terrebbero il sistema in equilibrio».Parola d’ordine: stabilità. Per Francesco Saverio Marini, costituzionalista, ordinario di diritto pubblico all’università di Tor Vergata e membro laico del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, la strada per liberarsi di governi troppo brevi e maggioranze improvvisate passa attraverso un tagliando della Costituzione: «A distanza di più di 70 anni», spiega alla Verità, «l’evoluzione del nostro ordinamento rende necessaria una riforma. Questa valutazione è ampiamente diffusa nel nostro sistema politico, che mi auguro resti coerente anche dopo le elezioni».Professor Marini, per quale motivo ritiene che i tempi siano maturi per una nuova riforma ? «Più volte si è tentato di riformare la Costituzione per assicurare maggiore stabilità ai governi, con formule varie. Oggi, buona parte delle forze politiche concordano sulla necessità di un ritocco, l’esperienza dell’ultima legislatura è una conferma ulteriore». In meno di cinque anni, si sono succeduti tre governi diversi. «Presieduti da soggetti che non sono stati eletti in Parlamento, con maggioranze non predeterminabili prima delle elezioni e, soprattutto, troppo brevi rispetto alla durata della legislatura, contrariamente a quanto accade nel resto d’Europa». Lei sostiene che la democrazia si difende consentendole di funzionare: ritiene che non stia funzionando a dovere? «Per quel che riguarda il funzionamento della democrazia, il cittadino deve essere in grado di sapere chi andrà a governare, quale sarà la maggioranza di governo. L’ultima legislatura dimostra che tutto questo non è possibile. Avere governi stabili e scegliere chi governa è un vantaggio per la democrazia. Esecutivi deboli e di scarsa durata penalizzano il Paese in ambito europeo e internazionale. Ci siamo dovuti affidare a Mario Draghi, che ha una sua credibilità all’estero, per cercare di assicurare al Paese un peso politico che la nostra forma di governo non riesce a garantire». Nelle intenzioni della coalizione di centrodestra, la svolta si realizza attraverso l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Per quale motivo, un sistema presidenziale - o semipresidenziale - aiuterebbe?«Ci sono varie formule che si possono introdurre, non ce n’è una migliore delle altre. L’importante è trovare una soluzione equilibrata: la stabilità di un governo richiede l’introduzione di un sistema presidenziale, semipresidenziale o di altro genere, purché a fare da contraltare ci siano una serie di contropoteri, di strumenti di garanzia». Per esempio, quali? «In un sistema presidenziale, il rafforzamento dei poteri del Parlamento, a fronte del potenziamento dell’esecutivo». C’è chi sostiene che un sistema presidenziale finisca per deprimere il Parlamento. «Non sono d’accordo». Perché? «Nel sistema presidenziale c’è una netta divisione dei poteri e il Parlamento riacquisisce pienamente la sua funzione legislativa. Attualmente, il Parlamento si trova spesso a dover convertire i decreti legge, delegando l’esercizio della funzione legislativa al governo. Nel sistema presidenziale, ciò non accade: c’è un maggiore rispetto delle prerogative». Il presidente della Repubblica perderebbe la sua funzione super partes. Pierferdinando Casini, ex presidente della Camera, sostiene che se l’arbitro diventa un giocatore si rischia di «scassare tutto».«È chiaro che, in un sistema diverso da quello parlamentare, il Presidente della Repubblica è un’istituzione di parte. Tuttavia, a fronte del rafforzamento politico di questa figura, ci sono dei contropoteri che mantengono il sistema in equilibrio. Non ci sono rischi. Ovviamente dovranno essere garantite le opposizioni: in un sistema di quel genere, a mio avviso, la legge elettorale più corretta sarebbe quella proporzionale. Una volta che si rafforza il potere esecutivo, si deve dare piena espressione alle minoranze presenti in Parlamento». Nella proposta di riforma costituzionale di Fdi, che auspica una Repubblica semipresidenziale sul modello francese, si fa ricorso anche all’istituto della sfiducia costruttiva, tipico del sistema parlamentare tedesco. I due aspetti sono in contraddizione?«I sistemi esteri funzionano perché ci sono una serie di meccanismi a tenerli in piedi. Quando si esportano, prendendo un po’ da una parte e un po’ dall’altra, la resa va valutata con molta attenzione. In un sistema semipresidenziale, la sfiducia costruttiva potrebbe non essere uno strumento indispensabile, dal momento che si coniuga meglio con un sistema parlamentare. Nel sistema semipresidenziale, ci sono altri strumenti che garantiscono la stabilità. È chiaro che la disciplina della forma di governo richiede fisiologici assestamenti, che si realizzano attraverso modifiche successive e grazie alle consuetudini costituzionali che si formano sui testi scritti. È accaduto in Italia, è accaduto in Francia dopo De Gaulle, accade ovunque». In Parlamento giacciono diverse proposte di legge per modificare la Costituzione, depositate praticamente da tutti gli schieramenti politici. Per quale motivo il semipresidenzialismo che ha in mente Giorgia Meloni genera una tale polarizzazione del dibattito politico? «In parte perché il centrodestra è dato in vantaggio da tutti i sondaggi realizzati finora. E in parte perché alcuni paventano l’eventualità che la coalizione possa ottenere i due terzi dei componenti di ciascuna Camera e quindi, teoricamente, fare le riforme costituzionali senza le forze politiche di minoranza. Io credo che ciò non accadrà: le forze responsabili, anche se ottengono la maggioranza dei due terzi, scelgono percorsi condivisi quando si tratta di mettere mano alla Costituzione. Le riforme della Carta devono coinvolgere tutte le forze politiche: ciò non significa che devono essere tutti d’accordo su qualsiasi passaggio, però un tentativo di convergere su posizioni comuni deve essere esplorato, a prescindere dai numeri».Qualcuno ritiene che la «concentrazione del potere favorirebbe l’autoritarismo e soffocherebbe le posizioni di dissenso», altri agitano una presunta deriva orbaniana. Che cosa pensa al riguardo?«Non mi sembra che i Paesi esteri a cui si guarda per riformare la nostra Costituzione siano governati da tiranni. Semmai, si fa riferimento a Stati, come la Francia o gli Stati Uniti, che hanno tradizioni democratiche che durano da secoli. Mi sembrano delle preoccupazioni eccessive. Si tratta di fare una riforma costituzionale equilibrata, certo, ma basta con il pericolo della dittatura». Qual è la sua idea sul sistema presidenziale americano? Una tale impostazione sarebbe impensabile per l’Italia?«Non vedo perché non dovrebbe funzionare. Quando si trapianta un sistema che ha avuto fortuna e successo all’estero, ci si deve interrogare su tutte le conseguenze, ma non vedo ostacoli a una sua introduzione». Secondo lei, il presidenzialismo americano darebbe maggiori garanzie rispetto a un semipresidenzialismo alla francese?«A mio avviso, il sistema presidenziale americano è più lineare».Per quale motivo?«Si basa su una netta divisione dei poteri: il Parlamento ha la sua maggioranza e il Presidente della Repubblica ha il suo colore politico. Il sistema semipresidenziale rischia di creare un eccesso di potere nel caso in cui il Presidente della Repubblica e il Parlamento condividano lo stesso colore politico: per esempio, il Presidente potrebbe sciogliere le Camere, circostanza impossibile negli Stati Uniti. A dispetto del nome, il sistema semipresidenziale, in alcuni casi, concentra il potere nelle mani del Presidente in maniera maggiore rispetto al presidenzialismo classico. Comunque, una volta scelto il modello di riferimento, tutti i meccanismi devono essere calati nella realtà italiana e devono essere studiati e dosati con grande sapienza».Cosa pensa dell’ipotesi di una Assemblea Costituente?«L’Assemblea Costituente mi sembra un’idea intelligente: consente di eleggere persone con un’elevata conoscenza dei meccanismi che regolano la democrazia e quindi anestetizzare il conflitto politico. Tuttavia, al di là delle mie preferenze, il metodo migliore è quello che nasce dalla condivisione tra maggioranza e opposizione: è l’unico modo per fare le riforme». Dopo il 25 settembre potrà esserci una convergenza?«Me lo auguro, mi aspetto quantomeno un dialogo. Se non tra tutte le forze politiche, almeno tra la maggioranza di esse. Lo spero per il Paese, a prescindere dalla soluzione che concretamente si troverà. L’obiettivo deve essere chiaro: l’Italia ha bisogno di una stabilità che per troppi anni è mancata».
Edoardo Raspelli (Getty Images)
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