2025-03-18
Poteri forti in pressing sul partito. «Si cambi rotta o niente governo»
Da Paolo Mieli al «Foglio», tutto il mondo espressione delle élite sposa la linea Pina Picierno. il cappio si stringe attorno a Elly Schlein. Che nei pressi della segretaria tirasse una bruttissima aria l’aveva già fatto capire, prima della piazzata, il solito Paolo Mieli, cioè l’uomo che ogni volta si assume il compito di ricordare al Partito democratico da quali poteri dipenda. Quando, dopo circa un annetto di guerra in Ucraina, una frangia dei dem tentò di portare al centro della discussione il tema della pace, subito Mieli intervenne a ribadire che la linea da tenere era quella sancita nel 2022 da Enrico Letta: si combatte fino all’ultimo ucraino. La settimana passata, invece, l’editorialista del Corriere della Sera ha colto l’occasione per biasimare Elly e le sue tentazioni antibelliciste (molto superficiali, certo, ma già così è troppo). «Dall’esperienza passata della Meloni, Schlein avrebbe dovuto apprendere che, quando si è all’opposizione, sulle questioni di principio - come sono ad ogni evidenza quelle connesse a Putin, Trump e Zelensky - si tiene duro», ha scritto Mieli. «È così che ci si candida a guidare un futuro governo. Stavolta l’ha salvata in extremis Stefano Bonaccini». Come a dire: Schlein non è all’altezza, non può aspirare a una futura presidenza del Consiglio. Che questo pensiero sia molto diffuso, soprattutto nei salotti che contano, lo confermano almeno due indizi. Il primo vale quello che vale, e cioè poco: trattasi dell’opinione di Carlo Calenda. Tuttavia il ragionamento del capetto di Azione è interessante. «Credo che alla fine il Pd si spaccherà. I voti di politica estera diventeranno sempre più frequenti ed Elly Schlein non potrà andare avanti a gestire il partito con i “ma anche”. L’indecisione della segretaria del Pd è pari a quella di Giorgia Meloni», dice Calenda al Corriere della Sera. E insiste: «Si aprirà un grande spazio al centro. I prossimi due anni saranno difficilissimi da un punto di vista economico, noi cerchiamo di proporre soluzioni ma sono molto distratti tutti a cominciare da Schlein e Meloni. Quindi io credo che si arriverà con un governo logorato e con l’opposizione di Schlein, M5s e Avs non in grado di formulare adeguate proposte economiche. Poi dovremo stare attenti alle interferenze estere». Insomma: Schlein sarebbe troppo tiepida sulla questione Ucraina e sul ReArm Europe. È la stessa visione di Mieli, condivisa -e questo è il secondo e più importante indizio - da una fetta rilevante dei dem. Giusto ieri il Foglio - a conferma di ciò che alcune élite gradiscono - esibiva in prima pagina il faccione di Pina Picierno e il titolo: «Un altro Pd è possibile». A queste condizioni, a dirla tutta, un diverso assetto dem sembra non solo possibile ma anche probabile. E non si tratta di sopravvalutare la Picierno (che comunque è vicepresidente del Parlamento europeo) bensì di dare il giusto peso alle spinte europeiste che da tempo governano le sorti piddine. «Inutile girarci intorno, siamo in fibrillazione, ci sono dei problemi con il posizionamento europeo del Pd», decreta la Picierno, che in questa fase non è troppo distante da Stefano Bonaccini. Ed è solo l’inizio, perché la dem alza la posta: «Arrivano decisioni dall’alto senza che ci si confronti», dice. «L’uomo solo, anzi la donna sola al comando non è un modello che va bene al Pd. Più che un congresso, serve un confronto vero sui temi». Non è dunque una vera e propria dichiarazione di guerra, piuttosto un pressante avvertimento. Il punto, manco a dirlo, sono le armi europee. Una «questione che alcuni di noi ritengono fondativa rispetto all’idea di Europa di oggi e di domani», dice Picierno, che sul riarmo ha votato a favore assieme a Bonaccini e un manipolo di eurodeputati (Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Irene Tinagli e Raffaele Topo). «Se l’eurocamera avesse bocciato la risoluzione, il progetto della difesa comune europea sarebbe morto per sempre», insiste la simpatica Pina. Insomma: bisogna armarsi, e se la Schlein tentenna allora probabilmente non va bene per guidare i democratici. Certo, è noto che Elly non brilli per determinazione e chiarezza. La scelta di contestare il ReArm Europe nasce - più che dalla convinzione - dalla necessità di non perdersi per strada tutti i residui di pacifismo ancora presenti a sinistra. Ma è piuttosto evidente che tra i progressisti si sia spalancata una faglia difficile da richiudere. Per ora ci hanno messo una pezza, presentandosi in piazza nascosti dietro a slogan fumosi e giri di parole. Ma il piede in due scarpe - vale per tutti - non si può più tenere. La Picierno, come altri, da tempo ha preso posizione, qualificandosi come una delle più spietate cacciatrici di putiniani sulla piazza (a tale proposito vale la pena ricordare che fu suo marito, per altro, ad annunciare in un articolo la chiusura dei conti bancari di Visione Tv e della associazione Vento dell’Est). Sul versante bellicista si sono collocati anche Paolo Gentiloni, Romano Prodi e illustri e influenti osservatori come il già citato Mieli: che cosa desiderino le élite è dunque piuttosto ovvio. Sulle armi, il Pd resta fratturato. Ma i missili contro la Schlein stanno arrivando comunque.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)