2022-05-15
Guido e Maurizio De Angelis: «Portiamo in tour gli Oliver Onions e facciamo commuovere i metallari»
Guido e Maurizio De Angelis (Wikipedia)
La metà del duo che ha scritto la storia delle colonne sonore italiane: «Che trionfo in Ungheria per ricordare Bud Spencer: così ci siamo convinti a svelarci al pubblico. Chinaglia invece d’allenarsi cantava in studio per noi».Guido e Maurizio De Angelis, la colonna sonora delle nostre vite. Con le loro musiche inconfondibili hanno accompagnato le gesta della più celebre coppia del cinema italiano, Bud Spencer e Terence Hill, ma hanno lasciato un segno anche nella storia della televisione con Sandokan, Orzowei e Il maresciallo Rocca. Dopo essersi mimetizzati sotto il nome di Oliver Onions, sono tornati a esibirsi in pubblico, come ci racconta Maurizio, per rievocare una stagione irripetibile.Come avete iniziato a suonare?«Il nostro affacciarsi al mondo della musica è stato casuale. Abitavamo a Rocca di Papa, poi, per ragioni contingenti, abbiamo dovuto trasferirci nella campagna circostante. È stata la nostra fortuna perché ci siamo imbattuti nel figlio di un grande sceneggiatore e scrittore, Vittorio Metz, che abitava in una villa lì vicino. Cristiano cominciava a suonare e aveva una chitarra elettrica meravigliosa. Siccome andava a scuola nella stessa classe di mio fratello, è nata una bella amicizia tra di noi. Abbiamo seguito le sue orme perché poi ha inciso dei dischi per la Ricordi».Avete cominciato a suonare da autodidatti?«Sì, come tutti. Per arrivare ad acquistare la nostra prima chitarra i nostri genitori hanno fatto dei sacrifici enormi. Abbiamo cominciato a studiare privatamente musica. La mattina andavamo a scuola con il pullman o con il trenino e nel pomeriggio rimanevamo a Roma per le lezioni di musica. Dopo un po’ ci è venuta voglia di mettere su un gruppo. Abbiamo sparso un po’ la voce nei Castelli e siamo riusciti a trovare delle persone che avevano i nostri stessi interessi. Facevamo il repertorio del pop americano». Il gruppo come si chiamava?«G. & M., poi ne abbiamo avuto un altro che si chiamava Black Stones, scimmiottando i Rolling Stones. Abbiamo fatto sentire dei brani alla casa discografica di riferimento dell’epoca, la Rca, ci hanno messo in lista d’attesa per un po’ di tempo, poi ci hanno concesso il piacere di incidere un album».Beat Melody…«Questo disco ci ha fatto conoscere abbastanza nell’ambito dei produttori e dei funzionari della Rca, dove gravitavano tutti i maggiori cantanti dell’epoca. A un certo punto, per motivi sindacali, l’orchestra dell’Unione musicisti si rifiutò di suonare durante le registrazioni, lo sciopero è durato diversi mesi e siccome non si poteva fermare l’industria discografica, hanno cercato elementi fuori dal sindacato. Si è così formata un’orchestra di elementi nuovi, tra cui il sottoscritto come chitarrista e mio fratello come flautista e poi percussionista. Una volta che ci siamo fatti una buona reputazione, abbiamo intrapreso la carriera da arrangiatori, lavorando, tra gli altri, con Lucio Dalla per gli album Terra di Gaibola e Storie di casa mia e Claudio Baglioni per la canzone Una favola blu».E il passaggio alle colonne sonore com’è avvenuto?«Questi arrangiamenti sono arrivati alle orecchie di quello che per me è stato il più grande discografico dell’epoca, Vincenzo Micocci, il quale ci ha chiesto se ce la sentissimo di arrangiare un brano senza dirci nemmeno chi fosse l’artista. Poi ce l’ha detto: Nino Manfredi e il brano era Tanto pe’ canta’. Manfredi l’ha presentato come ospite d’onore al festival di Sanremo e ha avuto un successo strepitoso di vendite. Sulle ali dell’entusiasmo, avendo lavorato bene insieme, ci ha detto: “Ragazzi, io devo fare un film come regista, ve la sentireste di scrivere le musiche?”. Ovviamente abbiamo risposto di sì, sapendo che ci stavamo prendendo una bella responsabilità, ma era tale il nostro entusiasmo e soprattutto ci fidavamo di quanto avevamo vissuto in studio di registrazione: avevamo avuto il piacere di suonare per grandissimi nomi, come Rustichelli, Savina, Morricone, una volta anche Nino Rota». Il film di Manfredi era Per grazia ricevuta.«Ha avuto un successo incredibile e con nostra grande soddisfazione anche la musica. Mi ricordo che Arbore e Boncompagni usavano la canzone Viva viva Sant’Eusebio come jingle nella loro trasmissione. Sulla scia di Per grazia ricevuta abbiamo composto la colonna sonora un altro film, Trastevere di Fausto Tozzi, dove c’era un brano sempre cantato da Nino Manfredi, e poi i produttori Italo Zingarelli e Roberto Palaggi ci hanno chiamato per… Continuavano a chiamarlo Trinità, invitandoci a nozze perché noi già sognavamo un mondo fatto di chitarre acustiche e atmosfere country». Da lì è iniziato il vostro sodalizio con Bud Spencer e Terence Hill.«Abbiamo composto le musiche di quasi tutti i loro film. In un paio di occasioni abbiamo dovuto declinare a malincuore». Come sono nati gli Oliver Onions?«Nella colonna sonora di ...Più forte ragazzi! di Giuseppe Colizzi era previsto un brano e abbiamo fatto contattare dalla nostra casa discografica un gruppo inglese molto in voga in quel periodo, di cui non ricordo il nome, che però non ha accettato. Siccome io e mio fratello nei nostri gruppi cantavamo tranquillamente in inglese tutto il repertorio di Rolling Stones, Beatles, Paul Anka, Elvis Presley, ci siamo guardati in faccia: “Scusa, perché non la cantiamo noi?”». Olivier Onions è il nome di uno scrittore inglese.«Noi non lo conoscevamo, è stata un’idea della nostra autrice di testi, la signora Susan Duncan Smith, che è la compagna di vita di Cesare De Natale, uno dei produttori Rca, con il quale abbiamo collaborato sin dagli inizi. Avevamo l’esigenza di trovare un nome che fosse di facile pronuncia e Oliver Onions si pronuncia come si legge. Se si fosse scoperto che a cantare in inglese erano due italiani l’operazione sarebbe crollata subito. Doveva rimanere nascosto che c’eravamo dietro noi due, ma era il segreto di Pulcinella perché molti addetti ai lavori lo sapevano, anche se abbiamo indotto in errore famosissimi produttori discografici».Ricorda com’è nata la musica di …Altrimenti ci arrabbiamo!?«C’è stato un grande lavoro di invenzione in questa colonna sonora perché c’era l’esigenza di mettere molte musiche diverse tra loro, come il Coro dei pompieri. Pensa che per 30 anni questo brano era contraddistinto solamente da un numero, come succede in tutte le colonne sonore, poi a un certo punto ci ha chiamato l’editore per dire che bisognava trovargli un nome perché stava diventando, anche grazie a youtube e alla rete, un inno utilizzato per 2.000 tipi di eventi, dalla laurea al compleanno, dalla festa alla banda di paese. Il direttore del coro da solo vale il prezzo del biglietto. Quando eseguono il Coro dei pompieri in eventi divertenti, c’è sempre uno che fa la parte del direttore matto che spezza la bacchetta. È un classico».Com’è nato il motivo di Sandokan, altro cult?«Il regista Sergio Sollima ci ha detto: “Vorrei un urlo che potesse fare da sigla di presentazione di questo sceneggiato perché così la gente sa che sta iniziando qualcosa che non si può perdere”. Quale maggiore efficacia di un urlo che pronunciasse il nome del protagonista? Era una colonna sonora molto ricca di temi e suggestioni, in cui abbiamo utilizzato anche delle enormi conchiglie, difficili da intonare, per creare un’atmosfera particolare». Venendo ai giorni nostri, vi è tornata la voglia di esibirvi.«Purtroppo, nel 2016 Bud Spencer (Carlo Pedersoli, ndr) ci ha lasciato e un produttore ungherese di eventi dal vivo, siccome siamo molto conosciuti in tutti i paesi dell’Europa dell’Est, ci ha contattati per chiedere se ce la sentissimo di fare un concerto in sua memoria. Noi il discorso degli Oliver Onions lo avevamo affrontato solo in chiave discografica, vivendo una condizione ideale perché facevamo delle musiche e delle canzoni conosciute da tutti, ma la gente non conosceva le nostre facce, quindi riuscivamo ad avere una vita perfettamente tranquilla. E avevamo scelto di non fare il percorso dei concerti perché non ci andava di lasciare la famiglia. La prima cosa che abbiamo detto è stata: “No, non ce la sentiamo”, ma lui ha insistito per vie dirette e per vie traverse. A quel punto io e Guido ci siamo un po’ interrogati e alla fine abbiamo accettato».Com’è andata?«È stata un’apoteosi: c’erano 12 o 13.000 persone entusiaste. Uomini con la maglietta dei Metallica con le braccia tatuate si commuovevano perché quelle canzoni avevano rappresentato qualcosa nella loro infanzia». Vi è tornata la voglia di suonare dal vivo…«Siamo riusciti a fare ancora due-tre serate prima del Covid e ora ripartiamo con due concerti, il 26 maggio al Brancaccio di Roma e il 6 giugno agli Arcimboldi di Milano». Un’ultima curiosità: perché Giorgio Chinaglia cantò la canzone Football Crazy?«Stavamo facendo la colonna sonora di un film con Lando Buzzanca, L’arbitro. Siccome eravamo molto tifosi della Lazio, soprattutto mio fratello, Guido frequentava spesso Tor di Quinto, il campo di allenamento dell’epoca, quindi era diventato molto amico di Tommaso Maestrelli e conosceva i giocatori. Quando Guido raccontò a Maestrelli che stavamo componendo questa colonna sonora, c’era presente anche Chinaglia, il quale disse: “Se serve qualcuno che canta il pezzo, ci sono io”. Guido pensava che lo avesse detto a livello di battuta, Maestrelli pure, ma Chinaglia era serio. Insistette talmente tanto che alla fine accettammo, con il placet del suo allenatore, il quale ci chiese solo la cortesia di non divulgare la notizia perché non si doveva assolutamente far sapere che Chinaglia invece di allenarsi veniva a cantare in un disco. C’era un match con la Juventus, era una settimana delicatissima, ma fu lo stesso Chinaglia a svelare tutto. Per fortuna vincemmo (3-1 per la Lazio, il 17 febbraio 1974, ndr). La voce era incerta, ma lui era convintissimo: si sentiva Frank Sinatra!».