2024-05-09
La bomba giudiziaria rimette in moto l’intera riforma delle vie d’acqua
Dal governo può partire un progetto organico per centralizzare i porti, asset strategici ora in ordine sparso e nel mirino cinese. Aldo Spinelli, l’imprenditore genovese accusato di corruzione nell’inchiesta che ha portato ai domiciliari anche il governatore Giovanni Toti, è una colonna portante dell’industria portuale ligure. Il giovane Spinelli si affaccia al settore quando ancora c’è la flotta sovietica, di cui in Europa è uno dei pochi a poter gestire la logistica di terra. La tegola giudiziaria smonta dunque certezze ultratrentennali. Se il caso si fermerà qui, non dovrebbe però impattare su un sistema che permette di collegare Nord e Sud. Diverso sarebbe se l’attività dei pm a un certo punto si allargasse alle questioni infrastrutturali, appalti e grandi progetti, elementi vitali al mondo portuale almeno se si immagina l’Italia con un posto di primo piano dentro l’Ue. Quindi per comprendere eventuali effetti collaterali dovremo attendere qualche settimana. La bomba dei pm sembra però già destinata a creare un’onda concentrica che arriverà a Roma, generando una eco politica in grado di risollevare il velo rimasto calato sull’intero progetto di riforma delle Autorità portuali. Dopo decenni di letargo il sistema Italia, inteso come politica ma anche come economia e impresa, sembrerebbe aver scoperto l’importanza strategica del mare e quindi dei porti. A mettere il turbo è stata la crisi del Mar Nero con la guerra russo-Ucraina e quindi la tensione del Mar Rosso e del canale di Suez. A fronte di questi elementi geopolitici però la loro governance naviga in un mare di incertezza. La riforma portuale che il viceministro Edoardo Rixi aveva annunciato come pronta per il dicembre 2023 è stata successivamente posposta a fine 2024 o forse a metà al 2025. Con un risultato del tutto imprevisto: l’ammiraglio Pierpaolo Ribuffo, nominato dal ministro del Mare Nello Musumeci a capo del Cipom, ovvero il Comitato di coordinamento interministeriale per le politiche del mare, avrebbe manifestato l’intenzione di elaborare e lanciare le linee guida della riforma portuale entro la fine del prossimo mese di giugno.Guarda caso dopo i risultati delle elezioni europee che potrebbero anche alimentare l’idea di qualche rimpastino. Al di là della riforma che verrà, a far scattare più di un segnale di allarme è la situazione attuale: nove porti su 17. ovvero 17 autorità di sistema portuale (come le volle chiamare il ministro Graziano Delrio) hanno al timone un commissario ed entro fine anno i porti con un presidente effettivamente in carica rappresenteranno una marginale eccezione. E i commissari - con l’eccezione di quelli entrati in carica per risolvere emergenze come il ponte Morandi di Genova - hanno spesso se non quasi sempre poteri di ordinaria amministrazione. Aggiungiamo un dettaglio non da poco: quello del porto di Genova, Paolo Piacenza, da ieri è coindagato nell’inchiesta su Toti. Nel complesso, ciò accade nel momento in cui i porti, peraltro diventati oggetto negli ultimi anni (come La Verità ha sempre testimoniato) di crescenti interessi internazionali, avrebbero bisogno di una pianificazione territoriale e operativa di dettaglio nonché di un coordinamento funzionale con i territori industriali e produttivi che sono chiamati a servire. Il tutto all’interno della politica estera del governo e del Piano Mattei. Con il Pnrr in fase esecutiva e con problemi che appaiono difficili da risolvere in pochi mesi, l’assenza di guide autorevoli potrebbe produrre conseguenze particolarmente pericolose lasciando spazio anche all’ambizione di investitori esteri, in particolare cinesi, che non hanno mai rinunciato completamente all’idea di mettere la mano su gangli strategici della portualità italiana a partire da quella pugliese dove presidenti come Prete e Patroni Griffi e lo stesso governatore Michele Emiliano non hanno fatto mai mistero della loro predisposizione favorevole rispetto a Pechino. Per altro i cinesi rappresentati da uno dei maggiori operatori portuali di Genova Augusto Cosulich (citato di striscio anch’egli nell’inchiesta) sono già presenti a Savona e Vado. Ma gli interrogativi riguardano anche grandi investitori già presenti in forze nei maggiori porti italiani, in particolare quella Msc di Gianluigi Aponte che è leader assoluto dei terminal container e che mai come oggi necessitano di controparti in grado di gestire lo sviluppo infrastrutturale. Questo riguarda in particolare Genova, dove sul solo porto si concentrano investimenti per circa 3 miliardi con un ruolo guida svolto dalla nuova diga. Tre miliardi che raddoppiano se si considera il territorio allargato di logistica e quindi gli interventi sulle ferrovie, Terzo valico e sulle autostrade.Vedremo se il governo riuscirà a trovare 17 manager di livello ai quali affidare entro il 2025 i porti italiani. In ogni caso, la situazione internazionale e il costante rimescolamento di carte sulle rotte dell’interscambio marittimo potrebbero richiedere soluzioni anche legislative di assoluta emergenza che prevedano una centralizzazione dei poteri di programmazione e gestione dei porti a Roma nonché sulla selezione degli scali effettivamente strategici bloccando la rincorsa di tanti presidenti o commissari a dotarsi di terminal container poco utili alla nostra sicurezza nazionale. Così chi guida l’inchiesta genovese, Nicola Piacente, era a Brindisi negli anni Novanta e, oltre a essere collega del pm Emiliano, si occupò a lungo di porti. La cosa oltre a creare un filo ideale con la questione Puglia spiega che al di là delle questioni giudiziarie, che qui poco ci interessano, il sistema portuale merita e necessita di una stretta di bulloni. I porti sono il principale asset strategico del Paese e andrebbero gestiti sotto un’unica agenzia efficace e in grado di garantire una sola proiezione estera e non tanti interessi locali e rotte utili a mantenerli intatti.
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